L’Italia del meticciato

Giuseppe Lembo

C’è da chiedersi e sempre più dove va il mondo, oggi fortemente dominato da umanità separate in cammino; da umanità identitarie di cui, camminando nelle diverse realtà umane del mondo, nessuno vuole negare, spogliandosi della propria appartenenza, delle proprie radici, rimanendo, così facendo, parte di un mondo separato dagli altri; di un mondo forte della propria appartenenza sacralmente intesa e per nessunissima ragione rinunciabile, in quanto considerata parte di sé; parte di un patrimonio umano identitario da non contaminare con gli altri del mondo; da non confondere con le identità umane degli altri della Terra. Tanto, anche di fronte ad un mondo aperto; di fronte ad un mondo che vuole capire le ragioni degli altri, attivando concrete azioni di mediazioni culturali per così fare delle differenze umane, delle diversità identitarie un bene comune, liberandole dal chiuso del loro mondo umanamente limitato ed utilizzandole, cammin facendo, come risorse per un multiculturalismo, per un meticciato umano, l’assolutamente nuovo del Terzo Millennio, dove ciascuno del Mondo, si deve sapere e potere considerare a casa propria, in qualsiasi parte della Terra e da “cittadino globale” di un tempo nuovo, pensare di poter essere protagonista di un nuovo futuro umano del mondo in una Terra-Stato, parte viva di una Società-Mondo. Purtroppo, il mondo in cammino non è il nuovo del mondo; non è umanamente il nuovo identitario del mondo con alla base il rispetto reciproco delle tante diversità del mondo che, anziché integrarsi, vogliono vivere, ovunque vadano, così come sono, rimanendo sempre se stesse e con dentro tanta, tanta indifferenza per gli altri che, per loro non significano niente, al fine di un mondo comunamente nuovo che la mediazione culturale deve comunque cercare di costruire, evitando così crescenti forme di disperazione, di solitudine e di disumano rifiuto dell’altro in quanto visto come un diverso da tenere lontano. Tanto, chiudendosi in se stessi e parlando solo la propria lingua, senza alcun interesse per la lingua di chi gli sta a fianco; altrettanta triste indifferenza c’è anche per l’altro nella cultura, nelle tradizioni, nella religione che praticano, nel cibo che mangiano e nelle, a volte tribali tradizioni antropiche, riguardanti sia l’esteriorità come il velo che devono indossare tutte le donne sin da bambine, senza poter mai frequentare gli altri e/o essere avvicinate dagli altri giovani della diversa appartenenza umana. Ma, oltre a tutto questo, ci sono espressioni di vere e proprie violenze disumane e fortemente tribali; tali l’infibulazione delle bambine, una violenza fisica che lascia il segno nel corpo e nell’anima di chi ancora bambina innocente è costretta a subire con riti disumani di cui gli altri dei mondi separati, difficilmente riescono a darsene una ragione, se non quella della violenza a causa di una tradizione che non giova a nessuno, dico a nessuno, mantenere in piedi, per un fare ereditario barbaramente disumano ed antropicamente da mondi lontani e separati dal mondo nuovo in cui devono entrare da integrati, accettando le regole della nuova civiltà in cui hanno scelto di vivere. Da un mondo nuovo, come il nostro mondo occidentale, fortemente attento agli altri e sempre dialogante per capire a fondo, le ragioni degli altri. Per capire le ragioni degli altri, nella quotidianità dei comportamenti che, vanno molto al di là delle sofferenze da popoli in cammino che globalmente, con un’universalità d’insieme, assolutamente senza precedenti, si muovono in tutte le direzioni geograficamente possibili, correndo, tra l’altro, gravi rischi per la stessa sopravvivenza, occorre, con saggezza, saper guardare le cose del mondo; le tanti gravi cose di un mondo sempre più umanamente differenziato; sempre più separato con i ricchi sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri, al punto da rendersi migranti per non morire di fame. Per liberarsi dalla propria triste condizione da “stato di fame”, con una feudalità padronale di privilegi solo per pochi ed un fanatismo senza senso che rappresenta in sé non un’utilità – risorsa, ma una grave e dannosa inutilità umana, spesso tenuta in piedi per rafforzare, oltre il divino, anche l’umano, con il suo potere padronale dalle radici profonde e lontane. Un potere coinvolgente che, soprattutto, nel mondo arabo-islamico si fa ferocemente sentire anche nel rapporto familiare, con il maschio-padrone e la donna fortemente sottomessa e costretta a vivere secondo la tradizione islamica fanaticamente intesa, come per il velo in testa e sul viso, per non mostrare il proprio volto agli estranei.