Laicità e impegno politico secondo Giuseppe Lazzati

 don Marcello Stanzione

Un primo fondamentale insegnamento che Giuseppe Lazzati (1909-1986) lascia ai cattolici impegnati in politica è la necessità che esista coerenza tra pensiero, tra riflessione, tra dichiarazioni e i comportamenti personali e politici; e questo costi quel che costi anche in termine di voti di preferenza. Cossiga afferma: “Per molti di coloro che giovani o giovanissimi, alla fine della guerra, sentirono il dovere dell’impegno cristiano, cogliendo nel grande fervore di quegli anni un segno provvidenziale per la rinascita spirituale e civile dell’Italia, Giuseppe Lazzati è stato un maestro, un esempio, un fratello”. Nei suoi “Ricordi di un universitario politico suoi malgrado”, scritti in occasione del conferimento della  laurea honoris causa da parte dell’Università cattolica di Loviano, Lazzati diceva: “Dire “politica”, almeno nel mio paese…, è usare un termine che si presta a significato equivoco. Esso è forse più spesso usato nel suo senso peggiorativo, il senso di “cosa sporca” , di realtà ove non il si di regola ma quel nì che sta di mezzo tra il si e il no, realtà dalla quale ti ritrai per non sporcarti le mani”. Orbene, una tale idea di politica è lontanissima da Lazzati così come gli è tutto estranea un’idea per la quale la politica è vista come frutto del fare dell’uomo e così si riduce a puro prassismo, a un determinismo meccanicistico privo di quella creatività che ha nell’uomo il suo artefice e la sua misura. Per egli, invece, fare politica, cioè “costruire la città dell’uomo” è un dovere del cristiano in senso morale. Nell’intervista televisiva realizzata da Leonardo Valente per la seconda rete Rai nell’estate 1985 e trasmessa per la prima volta una decina di giorni prima della morte, al giornalista che gli chiese se abbia mai sentito il desiderio di darsi alla vita sacerdotale o monastica come fece Dosseti, Lazzati rispose no: perché agire nella realtà temporale, al servizio della comunità, è l’impegno religioso dei laici. L’associazione “Città dell’uomo” , sua ultima fatica, nasce infatti dalla convinzione sulla “…scarsa  o del tutto insufficiente chiarezza che, nella coscienza di noi cristiani, o di una buona parte di noi, ha il “fare politica” nella sua accezione piena”. Nei riguardi della Democrazia Cristiana, di cui aveva visto tempestivamente già dal 1946 alcuni segni di crisi e non aveva mai mancato di esporli in pubblico, egli fu sempre molto severo per la sua degenerazione, in un partito borghese – conservatore molto lontano dal progetto di don Luigi Sturzo. L’idea politica di cui egli scrive e testimonia, pur di profilo alto, non ha, però, nulla di ottimisticamente utopico. Il suo ideale è concreto e realizzabile a condizione che alla base di tale nozione di politica vi sia il senso ultimo dell’uomo e del mondo cioè  che la fede da sé non trova le adeguate soluzioni, e cioè che la fede non sostituisce l’intelligenza, mentre senza la fede l’intelligenza può trovarle anche se con maggiore fatica e talora solo imperfettamente. Conviene qui precisare che per fede intendiamo i contenuti della rivelazione creduti per fede e gl’insegnamenti del Magistero che quei contenuti interpretano e storicizzano. Avere una visione chiara di questo rapporto – conclude Lazzati – è indispensabile per non cadere nelle opposte ed errate posizioni nascenti dalla confusione tra fede e intelligenza o dalla separazione della seconda dalla prima”. Inoltre, per egli il laico cristiano che si impegna in politica deve avere almeno due caratteristiche: anzitutto, la competenza al più alto livello operativo possibile, in modo da permettere di vedere i problemi di strutturazione e gestione della comunità politica in cui si opera nella migliore luce e di trovare le migliori soluzioni . La seconda caratteristica è la capacità e la volontà di dialogo, la ricerca delle “migliori soluzioni”, infatti, venendo dall’intelligenza che si ha delle situazioni, può risultare solo dalla ricerca comune di ogni intelligenza disponibile. Una ricerca, quindi, che comporta di necessità il dialogo. A questo proposito è proprio l’invito lucido e pressante al dialogo e al confronto che ci dà la misura della sua statura di cattolico democratico attento ai grandi temi e della libertà e della democrazia: “ “Se non si cammina su strade aperte, nella prospettiva di autentica capacità dialogica, la politica resterà chiusa dentro vecchi schemi senza trovare via  d’uscita”. Per egli il laico cristiano che s’impegna in politica deve diventare, attraverso il suo servizio, più uomo ed egli afferma: “Talvolta i cristiani sono stati accusati di attendere alle cose del cielo e di non impegnarsi nelle cose delle terra; se è vero, tutto ciò è assai grave perché li colpisce in un punto nel quale dovrebbero essere modelli perché loro compito primario è di esercitare la loro intelligenza, volontà e abilità per ridurre a servizio dell’uomo tutte le realtà che sono nel mondo; se il cristiano non fa ciò non realizza neanche in misura piena la sua umanità”.