Il Natale visto da don Giovanni Minozzi

don Marcello Stanzione

 Giovanni Minozzi nasce il 19 ottobre 1884 in una piccola frazione della montagna aquilana, in quella terra d’Abruzzo, Preta D’Abruzzo, così si chiama il paesetto perso tra i monti, oggi sotto la giurisdizione della Provincia di Rieti. Sin da piccolo porta nel cuore un’idea costante: fare il bene, avere come finalità ad ogni cosa il bene, sempre, ovunque,comunque. Mentre cresce in età, sapienza e grazia tra i profumati fiori , i verdi pascoli erbosi e le innevate montagne d’Abruzzo va prendendo vita dentro il suo animo ardente la vocazione al sacerdozio. Per questo passa dalla sua terra natale a Roma, dove frequenta con straordinari risultati i suoi studi dalla quinta elementare, al Ginnasio, Liceo, Filosofia, Teologia e infine all’Università statale. Ordinato sacerdote  l’8 luglio 1908, si sente subito chiamato sulle vie della Carità e della Missione per annunciare il Vangelo ai semplici e ai poveri. La Provvidenza lo fa incontrare con un altro grande sacerdote, il barnabita Giovanni Seteria, attraverso una tragica vicenda, la terribile guerra mondiale del 1915 – 1918. i due ignari l’un l’altro si trovano fianco a fianco come cappellani militari a condividere la barbarie della guerra, a vedere le tante vittime innocenti che questa mieteva a causa dell’ingiustizia di un  popolo che vuole opprimere un altro popolo. Già tra i soldati vanno costituendo opere sociali importanti come l biblioteche e le case del soldato, dove questi si ritrovano per rifocillare l’animo e la mente attraverso la lettura, i dialogo e l’amicizia. Per Minozzi e Seteria, finita la guerra, fiduciosi della Provvidenza e armati della loro promessa, girano in lungo e largo l’Italia, raccolgono gli orfani, i bambini abbandonati, quegli adolescenti o giovani che rischiano l’emarginazione e la delinquenza. Senza nulla possedere, ma forti della fede, in pochi anni costruiscono tante case per questi innocenti, fucine di formazione, di preghiera , di impegno a preparare uomini per il futuro . nasce l’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia. Il primo orfanotrofio è stato l’Istituto femminile di Amatrice, dover ospita alcune orfanelle. Ma subito sente forte l’importanza di costituire un orfanotrofio maschile. Dopo poco apre anche l’Istituto maschile, dove vengono costruite officine e scuole per centinaia di ragazzi orfani, e abbandonati raccolti d’ogni dove. Piani paino l’opera si estende dalla Sicilia alle colonie alpine di Courmayeur. Si cerca collaborazione attraverso i tanti Istituti Religiosi già esistenti, così che l’Opera per il Mezzogiorno diventa attraverso lo strumento della carità un centro di comunione tra religiosi di diversi istituti.  Incoraggiato dall’amico Padre Seteria, egli istituisce la Famiglia dei Discepoli, uomini di Dio che devono stare  sempre alla scuola del Divino Maestro per apprendere l’amore e la gioia e trasmetterla al prossimo. In seguito progetta la fondazione delle Suore Ancelle, che devono essere le dolci mamme di quei ragazzi raccolti dalla strada. La Provvidenza pone sui suoi passi Gina Valenti, una delle sue piccole orfanelle, ragazza brillante che alla scuola di padre Minozzi ascolta la chiamata di Dio. Il miracolo si compie, la piccola orfana diventa la Madre e collabora con don Giovanni nella nuova fondazione religiosa. Con le due fondazioni l’Opera diventa più stabile e accresce di ora in ora. Alle due fondazioni religiose associa infine anche l’Associazione nazionale degli ex – Alunni, perché si rinforzi il legame di famiglia tra l’Opera e quelli che ad essa si sono abbeverati. Consumato dalla sua ansia di bene muore nella casa di Roma alle ore 10,15 dell’11 novembre 1959. Anche a don Minozzi quel Natale rimase scolpito nel cuore se sentì il bisogno di condividerne i sentimenti e le emozioni con gli amici e confratelli: “Barile, la notte di Natale 1921. tu scendi dalle stelle! E’ il vero canto di Natale, il canto popolare classico…Il canto della mia giovinezza che animava d’ali misteriose la casa e la Chiesa, che mi cullava in fantasie divine, il canto dell’amore vero, che viene su dal cuore del popolo che sa, che sente, che vibra, il popolo semplice, puro, buono, schiettamente entusiasticamente religioso. E’ esso ancora, oggi come ieri, l’inno ispirato certo da una fede che S. Francesco avrebbe lodata, è l’inno per eccellenza natalizio che ogni borgo a, che riempie ora e avvolge nell’onde armoniose le Chiese d’Italia…Alla tenera bellezza de’ canti del popoli che furono cari ai miei Padri, io m’inchino reverente e commosso. Ecco son qui, in un paese lontano di Basilicata, ove è buona l’aria e buono il vino… Sono in una delle povere Capanne nostre. V’abitano le figlie di S. Francesco , semplicissime e umilissime. Scintillano gli occhi vivaci delle bimbe come l stelle in cielo. Frugale il cibo, ma vario e gustoso. Gareggiano in letizia le Suore con le orfane, cantando scherzando come Francesco fosse tra loro. Si leva a un tratto il canto dell’amore: “Tu scendi dalla stelle, o Re del cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo. O Bambino mio divino, io ti vedo qui tremar, o Dio beato. Ahi, quanto ti costò l’avermi amato…”. E il ritornello preme, insiste su la nota dell’amore con una dolcezza, un accoramento, un abbandono che solleva , distacca l’anima dalle miserie pettegole dei sensi e la curva, tutta la piega,la dona al Divino che per l’amore soffre, che nell’amore attende…

L’amore di Dio che Bimbo per noi, che si fa povero per noi, come noi!T remava di commozione l’animo mio a sentirlo ripetere dalle candide voci delle carde bimbe. Parea proprio fosse lì, Gesù , piccolo tenero ridente alla carezza materna che l’avvolgea calda e premurosa, sola sola sola. Come non amarlo, se tutti i bimbi noi amiamo nel mistero della vita che risale per essi alle fonti sue prime; come non amarlo più degli altri, più di tutti, se più di tutti ci ama, infinitamente di più…”.