L’angolo della lettura: LE VITE DI DUBIN – Bernard Malamud

‎Angelo Cennamo

La vita di ogni uomo è la mia non vissuta. Si scrive delle vite che non si possono vivere. Vivere in eterno è una brama umana.” William Dubin ha varcato la soglia della mezza età. Dopo anni trascorsi a scrivere necrologi su un giornale locale, ha deciso di fare il biografo “sentì che i frammenti della sua povera esistenza si sarebbero potuti concatenare in un’unita’”. Vive a Center Campobello, un paesino di poche migliaia di anime nello Stato di New York, al confine con il Vermount, insieme a sua moglie Kitty, una vedova conosciuta in un modo curioso “lei si era inventata un annuncio per offrire se stessa, lui aveva reagito in modo fantasioso. In questo caso si era trattato di un matrimonio combinato“. Combinato sì, ma abbastanza riuscito, dice Kitty. Per quanto la figura di Nathaneal, il primo marito di lei, sia troppe volte materia di discussione tra i due; a volte Dubin “aveva l’impressione di aver sposato il matrimonio di sua moglie”. La routine noiosa e solitaria di William comprende lunghe passeggiate in campagna. Una fuga necessaria per meditare, pensare ai suoi figli lontani – il primo nato dal precedente matrimonio di Kitty –  e distrarre la mente dagli impegni professionali. Una specie di vagabondaggio naturalistico fuori dal tempo e dalla malinconia che lo pervade. Ora William sta lavorando alla biografia dello scandaloso poeta inglese D.H. Lawrence: appunti, cartelle da scrivere, ricerche fatte e ancora da fare. Giornate intere chiuse nello studio ad elaborare la monografia che verrà. Tutto scorre come sempre sul binario della ripetizione e di una metodica oramai collaudata. E mentre i giorni si susseguono, lenti e uguali uno all’altro, William non può sapere che di lì a poco quella ritualità triste e sonnolenta, quel rullo incessante di momenti ordinari, quel ciclostile di abitudini, sarà scompaginato da una nuova e inaspettata presenza. Che tra le pareti di casa sua, tra i gesti, le movenze di quel matrimonio forse già logoro, nei fogli disordinati del libro che ha appena cominciato a scrivere, sta per abbattersi un urugano di lussuria con le  sembianze della giovane domestica assunta da Kitty. Fanny Bick e’ una studentessa universitaria, procace, disinibita, che fatica a controllare le proprie pulsioni sessuali. Sogna di trasferirsi a New York, nel frattempo si guadagna da vivere facendo lavoretti saltuari. Non passeranno molte ore prima che la ragazza si faccia trovare nuda nello studio di William per offrirsi alle sue cure. La casa è vuota, Kitty è uscita per delle commissioni. Il biografo potrebbe approfittarne – e Dio solo sa quanto desidererebbe stringere a sè quel corpo così giovane e sinuoso. Eppure la respinge. Un appuntamento rimandato, si direbbe. I due si ritrovano infatti a Venezia per una vacanza segreta, lontano da tutti, a seimila km da Kitty e da Lawrence. Eccoli per calli e canali come una coppia in una romantica luna di miele. Ma qualcosa va storto. Anche qui. Prima i crampi di lei, poi la fregola di visitare chiese e musei di lui. E il sesso? Il volo da Venezia a Stoccolma per rivedere Gerald, il figlio adottivo fuggito in Svezia per non combattere in Vietnam, e’ per William il goffo e disperato tentativo di riallacciare un contatto, ma anche il modo per giustificare alla propria coscienza l’allontanamento da sua moglie. E se anche Kitty avesse un segreto da confessargli?  ‎Il ritorno a casa è avvilente, William è atteso da un duro inverno. Tra alti e bassi, però, l’avventura erotica con Fanny prosegue. Di tanto in tanto i due amanti si vedranno di nascosto a New York, nell’appartamento di lei. Perfino a Campobello, nel nuovo studio che William ha ricavato dalla stalla dietro casa sua. Giorni di intensa passione che aiuteranno il biografo a comprendere meglio la personalità di D.H. Lawrence, e a calarsi in un rischioso intreccio sentimentale che sembra giovare anche al suo matrimonio. ‎Pubblicato nel 1979, Le Vite di Dubin  è con L’Uomo di Kiev e Il Commesso, uno dei tre capolavori di Bernard Malamud. Meno conosciuto e celebrato degli altri due romanzi, ma non inferiore a questi per intensità e qualità della scrittura, come riconosce lo stesso autore. Una commedia brillante sulle contraddizioni delle nostre esistenze e sulla suggestione degli attimi fuggenti: “vivere significa investire nella vita“, dice il protagonista in un passaggio cruciale del racconto. Ma anche il generoso tributo alla bellezza e alle opportunità che sa regalarci la letteratura, moltiplicatrice di esperienze e di emozioni altrimenti mai vissute. Saul Bellow, Philip Roth e Bernard Malamud sono i maggiori esponenti della narrativa ebraica americana. Malamud meno impetuoso di Roth e più minimalista di Bellow. Eppure il suo immenso talento, in Italia, sarebbe pressoché sconosciuto se una casa editrice attenta e coraggiosa come la Minimumfax non avesse deciso di pubblicare le sue opere, testimoniando così la traccia profonda e indelebile che esse hanno lasciato nella letteratura del Novecento.