Barua, lettera

Padre Oliviero Ferro*

Non tutti sanno scrivere e leggere, soprattutto gli anziani e molti adulti. Ma il ricevere una lettera, una barua, è sempre un avvenimento. Quando arriva, si va alla ricerca di qualcuno che la possa leggere. Se poi viene dal figlio che è andato via lontano, provoca tante emozioni. Quasi quasi lo si vede con gli occhi, si partecipa alla sua vita, ai suoi problemi. Verrebbe voglia di toccarlo, di accarezzarlo, di riempirlo di tenerezza. Di solito è la mamma che si emoziona di più. Ma anche il papà non è da meno, anche se non lo fa a vedere. Poi però, bisogna rispondere. Il medesimo che l’ha letta, si offre di scrivere la risposta. Mi viene quasi da pensare alla scena di Totò che detta a Peppino la lettera. Non è proprio così, ma quasi. Viene voglia di scrivere tante cose, tutte insieme. Ma lo scrivano chiede di andare con calma e di mettere le frasi una alla volta, altrimenti non ci capisce più. E allora, con un po’ di pazienza, i sentimenti, le emozioni, i consigli prendono il loro posto sulla carta, come tanti soldatini che seguono il loro comandante. Verrebbe voglia di non smettere più, ma ormai siamo quasi alla fine. “Cosa ci mettiamo ancora?” chiede il giovane scrittore, “saluti, arrivederci e …”. Rimangono un po’ in silenzio e poi le ultime frasi scendono veloci, quasi volessero anche loro non perdere gli ultimi posti su quella carta bianca. La lettera è finita. Rapidamente viene scritto l’indirizzo sulla busta con la raccomandazione di farla partire al più presto, senza perderla per strada. Poi, la fantasia vola, insieme alla lettera a quando il figlio la aprirà e la leggerà. Chissà cosa penserà?

*missionario saveriano