Modernizzare, innovare, formare, aggregare, le vie obbligate per un nuovo sud i gravi mali del sud, sono in se’, i gravi mali d’Italia

 Giuseppe Lembo
Le sofferenze del Sud, non sono solo un’eredità del passato; sono sofferenze anche e soprattutto, della quotidianità dei nostri giorni; così come sono nella gente e tra la gente, proprio non promettono niente di buono per la società meridionale, sempre più sedotta ed abbandonata. Sono mali di un passato che, per crescenti colpe umane, sono stati ereditati anche dal presente e che, così facendo, possono sicuramente diventare anche mali del futuro meridionale, o meglio dire dell’Italia, con una dualità assolutamente da mettere da parte e da cancellare, se vogliamo salvare questo nostro malcapitato Paese, dove un male umanamente oscuro ne mina il futuro possibile, trasformandolo e sempre più, in futuro negato. Dall’Unità d’Italia ad oggi le cose si sono andate aggravando; al Sud, cammin facendo, è sempre più diminuita la produzione che, dal solo 8% in meno del 1861, è passata nel 1970 al misero valore aggiunto del solo 14% del totale italiano. Un calo inarrestabile che, purtroppo, è cresciuto nel tempo senza conoscere inversioni di tendenza; tanto, con un Nord che produce i tre quarti del valore aggiunto del manifatturiero italiano; tanto, con un crescente calo di produzioni nel mondo meridionale che, per nanismo umano e culturale e soprattutto per indifferenza ad essere imprenditori del Sud al Sud, è andato sempre più giù, creando così una dipendenza mortale dal Nord dinamicamente in crescita, e quindi in movimento, ricco com’è di risorse umane capaci di produrre, come produce, sviluppo, crescita e cambiamento umano e sociale. Il corso ineguale tra il Nord ed il Sud è continuato in modo inarrestabile; è continuato a tal punto da determinare un’economia fortemente duale, con un Nord sempre più ricco ed un Sud, purtroppo, sempre più povero; sempre più, “Cenerentola d’Italia”; tanto, con una grave sofferenza umana, soprattutto nel mondo dei giovani; oltre a fare male, tanto male al presente, fa veramente male, tanto male, al futuro italiano possibile, partendo dal futuro meridionale, rimasto disumanamente indietro e con le sole caratteristiche di futuro maledettamente negato. La questione meridionale ed al suo interno, la sempre più problematica questione campana, è una questione, amaramente aperta e, purtroppo, di grande e sofferta attualità. È, nel suo insieme, una questione fortemente italiana; l’Italia, comunque, non si salva, se non si salva il Sud; l’Italia non cresce e non si sviluppa, se non cresce e si sviluppa il Mezzogiorno italiano. Siamo ad un unicuum assolutamente inscindibile. Da veri italiani, spogliandoci della condizione triste di “italianuzzi”, bisogna capire questo; bisogna, per questo importante fine italiano, pensare all’insieme italiano, evitandone spezzettamenti che non porterebbero, a giusta soluzione, i tanti problemi italiani, problemi che vengono da lontano, non trovano le soluzioni giuste nel presente e si trasferiscono, purtroppo appesantiti, al futuro che così facendo, diventa un futuro italiano socialmente, umanamente e territorialmente negato; assolutamente negato, per mancanza di protagonismo dell’insieme italiano. Che fare? È, prima di tutto, importante volgere con intelligenza lo sguardo al passato; ai tanti uomini italiani e meridionali in particolare che, con il Sud nel cuore e nella mente, da pensatori intelligenti che, di quel passato, raccogliendone le sofferte testimonianze, ne sono stati protagonisti, descrivendone, tra l’altro, i mali e trovandone anche le soluzioni intelligenti ed antropologicamente possibili, prima di tutto, nella gente italiana insieme alla gente del Sud, ossia nei tanti uomini del territorio, un tempo ormai passato, fortemente coesi e protagonisti d’insieme in Italia e nell’intero Mezzogiorno italiano. In questo percorso, tutto da ricostruire e da ricordare come testimoni e memoria di un passato importante, in primo piano ci sono le figure italiane e specificamente meridionali di Antonio Gramsci, di Carlo Levi e dell’antropologo Ernesto de Martino, morto mezzo secolo fa. Sono pensatori italiani da tenerne viva la memoria; sono parte viva della Storia d’Italia unita e più specificamente dell’Italia umana e culturale che, tanto deve ai suoi uomini che saggiamente e sapientemente ne hanno tracciato il solco umanamente profondo.
Una storia importante da non dimenticare e da affidare alla memoria del futuro che, come noi e più di noi, ne ha tanto, ma tanto bisogno, per costruire insieme un’Italia nuova; un’Italia non più duale, ma unita, per il bene del futuro di tutti gli italiani.
Gramsci, Levi e de Martino, forti del loro pensiero e soprattutto della loro grande umanità, ci vengono incontro con il loro coinvolgente umanesimo antropologico, fortemente calato nel Sud, dalle loro illuminate guide del pensiero, saggiamente utile per la conoscenza dell’umanità e del mondo meridionale più in generale, da cui intelligentemente partire per meglio conoscere e quindi affrontare anche i gravi mali del Sud; mali antropologicamente gravi e sofferti, i cui margini fondamentali sono quelli di esplorare a fondo e quindi da conoscere, una via obbligata per meglio comprendere la costruzione storica e sociale dell’Italia e del Sud in particolare, utile a meglio conoscere le “diversità italiane” ed a trovare le soluzioni possibili, affrontando e risolvendo i tanti mali meridionali, non più assolutamente rinviabili.
Le ulteriori soluzioni mancate creerebbero nuovi gravi problemi al futuro meridionale, contestualmente all’inseparabile futuro italiano.
Sono soprattutto i tratti del pensiero demartiniano che hanno in sé una grande attualità; tanto, non solo umana, sociale, culturale, ma anche fortemente politica. Un’attualità utile per cambiare e finalmente, le sorti del Sud, insieme alle sorti dell’Italia che, da disunita, deve necessariamente diventare unita, per il bene italiano in Italia e nel mondo, a partire dall’Europa che, come l’Italia, in grave crisi di mancato insieme italiano è, altrettanto, in crisi di mancato insieme dei popoli d’Europa, sempre più separati e sempre più inopportunamente guerreggianti, gli uni contro gli altri armati, facendo male e facendosi male a vicenda.
La questione meridionale, antropologicamente intesa, come amara espressione di un mondo meridionale mai protagonista, portava soprattutto Ernesto de Martino, ma prima ancora, Antonio Gramsci e lo stesso Carlo Levi, a teorizzare un “etnocentrismo critico”, come metodo e come politica d’insieme, fortemente incompiuta, oggi utile a capire e quindi meglio vivere l’incontro fra le diversità culturali, importanti più che mai, per “collocarsi al punto più vicino all’esperienza delle persone in carne ed ossa”, purtroppo, ieri come oggi, un grave vuoto italiano, al Sud come nel resto d’Italia che si è compiaciuta di tenersi umanamente oltre che economicamente diversa.
È culturalmente importante riferirsi ad Ernesto de Martino; è importante perché, nel suo contributo antropologico all’analisi culturale e politica del mondo meridionale c’è, ricercandola con la vicinanza umanamente giusta, l’intelligente chiave di lettura di quella “arretratezza” del Sud, cucita a pennello, addosso ai meridionali e non più cancellata, mancandone, cammin facendo, le giuste condizioni per cancellarla; tanto, in quanto una dannazione disumanamente meridionale, ma non solo, per cui sono sempre mancate le condizioni per cancellarla, non essendo stato mai raggiunto l’obiettivo di partenza, da riconoscere nell’importante progetto gramsciano, di un’ampia partecipazione democratica alla vita pubblica italiana, dal Nord al Sud.
Nella sua opera postuma del 1977, dal titolo “La fine del mondo” Ernesto de Martino, con grande intelligenza umana e di pensiero socio-antropologico, ha cercato di esplorare a fondo le radici del suo presente; un presente, purtroppo, assolutamente attuale ancora oggi e con le caratteristiche comuni di una crisi avvitata su se stessa e senza vie di uscita, quindi, in tutto, simile al nostro presente, fortemente ammalato di uomo che, chiuso nel proprio egoistico mondo di solitudine e di indifferenza per l’altro, non sa assolutamente ed in modo positivo, trasformare l’Io in Noi.
È questa la base ed il presupposto di quel pensiero critico che ci ha consegnato il Novecento.
Un pensiero in cui si radicano e fortemente, i mali del Sud, mali che, ancora oggi, sono difficilmente sradicabili; tanto, per mancanza assoluta di ragioni collettive.
Un pensiero che, con sofferenza, devo, purtroppo, riconoscere attualissimo e coinvolgente nel Sud del Terzo Millennio; un pensiero che oggi rappresenta il punto di partenza per affrontare nella loro concretezza, i mali del Sud e trovarne finalmente, con la forza d’insieme delle ragioni collettive, le soluzioni possibili, risolvendoli per sempre e così, salvando non solo il Sud, ma l’Italia che, insieme al Sud, ha bisogno, tanto bisogno, di ragioni collettive, espressamente manifeste che, purtroppo, le mancano, rendendo così, fortemente negativo il fare italiano; tanto, a partire dalla politica, non-politica.
In Italia, ma soprattutto al Sud, siamo ancora oggi al futuro negato; un futuro negato con le sue amare radici nel falso problema della diversità antropologica Nord-Sud, un amaro e disumano gap pretestuosamente inventato che, purtroppo, non permette né al Sud, né all’insieme italiano, di costruire insieme un’Italia unica; un’Italia, fortemente basata sulle ragioni collettive, assolutamente necessarie e che possono venire soltanto da un unicuum italiano, forte dell’insieme degli italiani uniti e democraticamente attenti al proprio futuro italiano. Napoli è, purtroppo, la città di frontiera del malaffare, dell’illegalità diffusa, della politica-potere fine a se stessa; e qui che l’antistato camorristico e criminale, in assenza dello Stato, domina, facendo da padrone, tenendo sottomessa la città e gran parte della Campania, una Terra amara e dal futuro sempre più negato.
La libertà dell’uomo, i diritti umani e sociali della persona, unitamente ai doveri del buon cittadino, sono negati al Sud e soprattutto a Napoli dove, purtroppo, vige un clima di illegalità diffusa e di assenza pressoché totale dello Stato che ha demandato agli altri del fare illecito i propri compiti; tanto, sottraendosi così al diritto di rappresentanza, per cui sono in tanti, a sentirsi giustamente orfani ed a fare proprie, per una confusa sopravvivenza, le garanzie del malaffare amico, come l’unico riferimento territoriale possibile. La Campania, il Sud sono il paradiso delle baby gang; in lungo ed in largo vanno imponendosi e facendola da padrone, senza i giusti e dovuti contrasti da parte delle rappresentanze dello Stato che dovrebbero vigilare e non permetterne la presenza; tanto, per il bene dei cittadini. L’ultima bella trovata è dell’Europa che, senza rispetto per il Sud, pretende, molto inopportunamente, di cancellare anche le identità alimentari, come per il San Marzano (ma non è il solo prodotto della Terra meridionale) che non è più riconosciuto come prodotto base esclusivo della tradizione alimentare campana. A Napoli, in Campania e nel Sud più in generale, dal volto sempre più disumano e violento, quale futuro è mai possibile immaginarsi? In tutto il Sud, ma a Napoli ed in Campania, in modo particolare, cresce la sofferenza umana; aumentano a Napoli i crimini nei quartieri sempre più abbandonati a se stessi. Purtroppo, il Mezzogiorno e la Campania più tragicamente delle altre Regioni meridionali, sono sempre più lontani dal Centro-Nord; come ci informa l’ISTAT che dà ragione alla SVIMEZ, nel Sud, i redditi sono la metà di quelli del Nord.
Il Sud è, tra l’altro, il paradiso in Terra italiana, di aziende che prendono incentivi destinati al Sud, solo, per avere sul territorio meridionale, una sede “fantasma” e nient’altro che questa.
Tanto, con grave e conseguente danno per l’economia meridionale che resta sempre più ferma, mentre l’economia del Nord cresce anche per effetto di queste risorse fantasma, sulla carta destinate al Sud, ma di fatto, utilizzate altrove e per il solo bene di quell’Italia sempre più ricca, per cui, sempre più distante dal mondo abbandonato del profondo Sud.
L’allarme più grave è dato, in modo crescente, dal fenomeno inarrestabile di una diffusa desertificazione dove un flusso migratorio crescente dell’umanità meridionale, soprattutto giovanile si sposta verso il Nord e sempre più frequentemente in tutte le diverse direzioni del mondo; così facendo, si continua a cancellare disumanamente il futuro del Sud, da sempre, sedotto ed abbandonato.
Dalle terre sempre meno ospitali e vivibili di un Mezzogiorno dal futuro negato, la gente se ne va; la gente se ne scappa per non morire di Sud.
È questo, come non mai, per il Sud e la Campania in particolare, un momento molto, ma molto grave; un momento da allarme rosso, in un contesto umano e territoriale dove la crisi economica e finanziaria globale, gioca unicamente a favore della mafia e della camorra, rafforzandole e negando sempre più, il necessario per vivere, a tanta, tanta gente del Sud che, proprio non ce la fa più a campare. In questo nostro Paese, come non mai, in un clima che sa di assurdo, si fanno disumanamente pagare sempre più tasse ai più poveri. Tanto, mettendo la gente meridionale in crescenti condizioni di non vita. Altro grido di allarme riguardanti le gravi condizioni del Sud, viene dalla CGIL che fa sapere agli italiani tutti, che il Mezzogiorno è il fanalino di coda di un’Italia crocefissa e sempre più senza possibilità alcuna di resurrezione; di rinascita possibile, uscendo dalle diffuse sofferenze di una crisi sempre più mortale. La bella Napoli, un tempo capitale del Sud, oggi sempre più disumana e violenta, con i crimini che crescono nei quartieri sempre più abbandonati a se stessi, può mai candidarsi al futuro possibile? Il Sud, la Campania, così come sono, sono purtroppo, dal futuro fortemente negato.
Se si continua, facendo male a tutti, con le infami, dannate e negative politiche del “dismettere e del delocalizzare”, il Sud, tutto il Sud, a causa della sua grave fragilità socio-economica, è inevitabilmente destinato a morire; a morire di Sud; a morire nell’indifferenza di una desertificazione che spinge tutti, ma proprio tutti e soprattutto i giovani ad andarsene; se ne vanno tutti, tranne i vecchi, sempre più abbandonati a se stessi ed in quanto tali, sempre più disperatamente soli ed in attesa che si aprano anche per loro, le porte dei cimiteri. Povera Campania, sempre più abbandonata a se stessa che soffre e non poco, soprattutto per l’indifferenza del potere, dei suoi tanti mali; per i suoi tanti irrisolti problemi che ne rendono le sue condizioni da futuro assolutamente negato. Da vita assolutamente negata e quindi, come tale, non vita per la mancanza delle condizioni minime di civiltà e di garanzie per i tanti diritti umani, purtroppo, cancellati. Dal lavoro alla salute, dalla scuola all’informazione ed alla cultura che, mancando, proprio non permette alla gente di crescere, espropriandola della consapevolezza del proprio Essere uomini di questa Terra, è un tradimento umano che rende il Sud senza futuro. Quelli del Sud sono più gravi e più urgenti da risolvere; tanto, per evitare l’inevitabile disastro Italia, che ha bisogno, urgentemente bisogno di un Sud sviluppato. Non è solo un nuovo meridionalismo che può fare rinascere il Sud; occorre, prima di tutto, un forte protagonismo meridionale; occorre una consapevolezza diffusa della gente del Sud che, uscendo dal solito grido di dolore e dalle solite lacrime versate, da protagonista, deve sapersi dare opzioni concrete di un fare di insieme finalizzato allo sviluppo umano e territoriale; tanto, attraverso una partecipazione attiva della gente, con una strategia condivisa, a favore del cambiamento e dello sviluppo meridionale, una necessità del nostro tempo che non può essere assolutamente un tempo negato al nuovo cammino umano e territoriale del Sud, unitamente al nuovo cammino umano e territoriale che ha, come prima necessità, l’unità italiana; l’unità italiana, concretamente intesa.