L’Italia dai mali infiniti, dei diritti negati La sinistra ama talmente i poveri che ogni volta va al potere li aumenta di numero (Indro Montanelli)

Giuseppe Lembo
Dismettendo e delocalizzando, smantelliamo l’Italia. Per un diffuso nanismo umano, culturale e soprattutto politico, stiamo facendo a pezzi l’Italia, sempre più dismessa ed altrettanto sempre più delocalizzata in altre realtà d’Europa, dove “fare impresa” non è assolutamente un crimine; dove c’è rispetto per il mondo del lavoro e di chi lo produce, rendendosene attivamente protagonista, a volte e sempre più spesso, con grande sofferenza umana e gravi sacrifici. È terribilmente poco edificante per il futuro italiano il grido di dolore diffuso dai tanti tartassati d’Italia che, per sopravvivere, delocalizzano altrove la propria attività produttiva. È tragicamente triste l’anatema contro l’Italia, il suo Paese, dell’imprenditore Francesco Biasion che ha smantellato la sua azienda dall’Italia e se l’è portata in Austria, gridando il suo sofferto distacco, con un “Addio mia pessima Italia”. E così la tragedia Italia, una tragedia senza fine continua; continua nell’indifferenza di chi governa sgovernando con gli slogan senza significato del “tutto va bene”. Sono fatti di sole parole; di parole vuote, senza i necessari e concreti fatti di un fare sapiente che serve agli italiani per non perdere la propria appartenenza, costretti come sono in tanti ad abbandonare il proprio Paese per cercare di vivere serenamente e con dignità altrove. Fuori dall’Italia c’è tanta umanità italiana costretta a fuggire per non morire. Sono scappati in milioni gli italiani le cui braccia hanno prodotto lavoro e ricchezza in altre realtà del mondo; sono scappati, purtroppo, anche i tanti cervelli italiani, risorse importanti per fare crescere e garantire il futuro all’Italia sul suolo italiano. Tutto questo succede nel privato, mentre il pubblico è nanisticamente attento alla dismissione, cancellando pezzi su pezzi quell’Italia che, così dismessa, proprio non può andare assolutamente avanti, perdendo come perde per strada il meglio di sé rappresentato dal suo intelligente insieme del fare e delle tante buone idee a base del fare, un percorso ormai cancellato; un percorso non più di casa in questo nostro Paese che confusamente campa alla giornata, favorendo “dismissioni” e delocalizzazioni”, ossia azioni disumanamente negative per il futuro italiano sempre più negato. Perché siamo arrivati a tanto? Che fare per fermare un’emorragia che può essere devastante per la stessa sopravvivenza italiana, il cui futuro ha necessariamente bisogno di avere garantito nel pubblico e nel privato il buon funzionamento del Paese capace di produrre ricchezza, dando ai suoi cittadini le condizioni di una vita tranquilla e bella da vivere, con un welfare capace di garantire  tutti gli italiani, senza esclusione e senza rimanerne indietro i più deboli e quindi anche i più esposti a fare sacrifici, ormai senz’anima, con tagli di spesa lineari, l’infame sistema Italia, proprio non guarda in faccia a nessuno; tanto, preoccupandosi solo che tutto vada bene per quel funzionamento sistemico che ha come solo riferimento il potere e chi lo governa. Siamo in Italia sempre più nelle condizioni crescenti di un Paese dall’equilibrio assolutamente perduto; dall’equilibrio umanamente negato. Siamo in una logica invasivamente perdente di una crescente disgregazione dal locale al globale, il frutto di un comune furore distruttivo per una voglia senza limiti di destabilizzazione che ogni giorno e sempre più da vicino investe senza scampo tutto e tutti del nostro malcapitato Paese. La situazione economica del Paese è ormai al collasso. Al collasso è lo Stato che dismette e si “dismette”, non avendo assolutamente capacità di azione in tutte quelle insostituibili azioni di garanzie istituzionali necessarie non tanto e solo al buon governo, quanto a dare risposte concrete ai diritti dei cittadini, diritti, purtroppo, sempre più spesso senza risposte e quindi sempre più non diritti e come tali veri e propri diritti negati. A pagare il prezzo più alto di tutto questo sono i “deboli” d’Italia che già poveri, diventano sempre più poveri e sempre più indifferenti alla vita italiana che, come quell’imprenditore delocalizzato, che va fuori dall’Italia per garantirsi il naturale diritto della sopravvivenza, gridano in coro con rabbia contro l’Italia, chiamata sempre più spesso da un crescente di voci italiane, “la mia pessima Italia”. La cosa più grave è che tutto succede in un vuoto di autorevolezza soprattutto politica; tanto, per effetto della politica che di fatto non c’è e che, con il suo “clima dismesso” fa sentire tutto il suo peso devastante al Paese che non crede più a niente e che con indifferenza vive in modo devastante la sua condizione terrena, sempre più fortemente basata e condizionata dal solo avere-apparire. Una società che non sa sognare e che rende vecchi e rassegnati i giovani italiani, travolgendoli in un’ondata di negativo disfattismo sia del pensiero che del fare; tanto, con al centro le due coordinate dominanti dell’Italia di oggi, “delocalizzazione” e “dismissione”,  un male italiano silenziosamente accettato dagli italiani che, da “italianuzzi”  rassegnati, giovani compresi, hanno deciso di conviverci, riducendo l’Italia in Italietta dal futuro sempre più negato, dove il “bello vivere” è solo un lontano ricordo; un ricordo del passato ormai cancellato e che assolutamente non appartiene più all’Italia ed agli italiani. Occorre ed in fretta, agire e reagire. Non siamo, tra l’altro, al di fuori di un mondo sempre più globale che pone tutti noi di fronte a gravi problemi a cui dover dare le risposte e le soluzioni giuste; sono problemi con cui dobbiamo assolutamente saperci confrontare e convivere; fanno parte di quell’insieme umano globale che è in movimento e si considera sempre più parte della società-mondo, su di una Terra,  di insieme dell’uomo del Terzo Millennio vissuta come Terra-Stato. Come Terra da poter vivere ovunque in un insieme interetncico e multiculturale, verso cui a grandi passi è incamminata l’umanità del Terzo Millennio con davanti a sé una sfida epocale assolutamente importante; una sfida da dover vincere per il bene dell’uomo e della Terra che può guardare al futuro solo coltivando la Pace uomo-uomo e con una convivenza umana aperta alle diversità e ad un fare di saggezza uomo-natura-ambiente, con la Terra, purtroppo sempre più ammalata di uomo. Oggi, come non mai, le diversità umane sono sempre più vicine almeno sul piano spazio-temporale. Non sono però altrettanto vicine sul piano umano sempre più distante ed egoisticamente indifferente del noi per gli altri. C’è una transumanza umana confusa e disperatamente alla ricerca di un mondo migliore; di un mondo non facile a trovarlo perché non voluto da quella parte privilegiata dei cittadini della Terra che non vogliono assolutamente sentirsi disturbati dai tanti rifiuti umani in cammino per rivendicare il diritto alla vita, un diritto, anche se legittimo, ancora nel mondo fortemente negato con disumana arroganza da chi non è disposto a cedere niente del proprio egoistico avere, pensando ai soli privilegi del proprio stato esistenziale, sempre più vicini ad un disumano nulla del proprio essere un uomo della Terra. L’Occidente, l’Europa, l’Italia, con il resto del mondo, devono con intelligente umanità lavorare insieme per vivere bene il presente e per garantire l’uomo del futuro nei suoi diritti fondamentali sia materiali che immateriali di uomo della Terra; di uomo saggio che non deve mai dimenticare i suoi doveri di vita presente e così garantire il futuro a quelli che verranno, nel profondo rispetto degli altri e della natura che, oggi è, purtroppo, fortemente ammalata di uomo. Pensare al futuro significa, prima di tutto, fare il proprio dovere di cittadino del mo
ndo sul proprio territorio evitando sullo stesso guasti antropologici e disastri naturalistici ed ambientali che diventano le gravi e violente negatività del futuro negato. Non bisogna assolutamente fare finta di niente e/o voltarsi dall’altra parte. Nel nostro Bel Paese che diventa sempre più per tanti il Paese della “pessima Italia”, con forte determinazione e protagonismo d’insieme, bisogna evitare che gli italianuzzi del nanismo culturale diffuso, rendano difficile per tanti, le umane condizioni di vita italiana, attivando insipientemente situazioni diffuse di “dismissione” e di “delocalizzazione”, un grave male non solo per l’Italia di oggi, ma anche e soprattutto per l’Italia che verrà.