Corbyn e la svolta a “sinistra”: un nuovo interlocutore al tavolo della protesta

Amedeo Tesauro

La vittoria di Jeremy Corbyn alle primarie dei labouristi inglesi arriva in Italia con la consueta fanfara delle notizie dall’estero, ovvero quel processo mediatico per cui a giochi conclusi ci si accinge a spiegare come, cosa e perché. Del resto le primarie interne di un singolo partito estero non costituiscono materiale d’interesse più del dovuto, fatta eccezione per gli Stati Uniti le cui lotte politiche da sempre hanno rilevanza anche nel nostro paese data l’influenza a stelle e strisce. Tuttavia in una fase storica in cui è in discussione il progetto dell’Europa pensato come futuro del continente, ciò che avviene all’estero assume un nuovo peso e rivela nuove evidenze. Detto in parole povere, con l’aria che tira, le bagarre estere contano e all’estero si guarda per trovare alleati. Jeremy Corbyn  è allora il nuovo idolo della sinistra più a sinistra, quella idealista, dal sapore un po’ sognante e sessantottino, senza compromessi. Corbyn  è pacifista, contro il nucleare, socialista convinto, contrario all’austerità che anche in Inghilterra si è fatta sentire, un uomo d’altri tempi (sessantasei anni, reduce dall’epoca delle battaglie contro la Thatcher). È tutto ciò che la sinistra moderata non è, tutto ciò che non sono gli ex premier labouristi Gordon Brown e Tony Blair. Difatti tra le altre anime del partito è scoppiato il caos, Corbyn  era l’outsider che mai avrebbe vinto (dato 200 a 1 dai sempre celeri bookmaker inglesi), il fantasma di una sinistra “di sinistra” che fa il pieno di consensi tra i propri elettori ma si avvia alle nazionali nel buio, tanto che Blair ne parlava come una catastrofe pregando, letteralmente, gli elettori di non sceglierlo. Corbyn , contro la cui ascesa si erano praticamente coalizzati tutti gli altri candidati, vince e fa il funerale a Blair e a quella versione del partito, aggiungendo un tassello al già complicato scacchiere europeo. Non è difficile vedere in Corbyn  un nuovo volto di quella frangia radicale che idealmente tocca Podemos in Spagna, Syriza in Grecia, la sinistra extra-Renzi italiana, magari anche il 5 Stelle (a seconda dell’idea che si ha sulla sua identità) e il resto della compagnia cantate. Ecco allora che al tavolo della protesta si siede un nuovo interlocutore, proveniente da sinistra, seppur questo conti fino a un certo punto. La protesta, diversificata nelle soluzioni e nelle convinzioni ma unita nella critica, difatti ha abbracciato da tempo anche la destra, un fronte certamente opposto ma con punti di convergenza nella critica al sistema: Salvini in Italia e le forze di estrema destra, Le Pen in Francia, Farage in Inghilterra, Trump negli Stati Uniti, parallelamente ai movimenti di sinistra che vanno all’attacco sia del sistema sia della sinistra moderata e convergente al centro, vi è tutta una destra che mangia voti alla destra più centrista. Il sistema delle banche e della finanza, della globalizzazione, della tecnologia che non crea lavoro ma lo taglia, il sistema della vecchia gestione inefficiente, è il bersaglio grosso contro cui sparare. Sì, d’accordo, ma dove si va? C’è un qualcosa che accomuna tutto il fronte di protesta ed è, per l’appunto, l’essere allo stato attuale delle cose semplice protesta. Corbyn ha sì vinto le primarie, ma governare richiederà di convincere anche il resto della popolazione, in primis il resto degli elettori del suo partito che non la pensa come lui. In pratica il problema di ogni fronte di protesta, diventare da minoranza rumorosa una maggioranza che governa. Forse, come qualche politologo ipotizza, questi partiti non sono fatti davvero per governare, ma la loro esperienza serve per mettere a fuoco i difetti e rinnovare il sistema. Certo è che l’Inghilterra non è né la Grecia o la Spagna, dove le condizioni di base erano/sono disastrose già in partenza, ma uno dei paesi leader dell’Europa. Se ciò che accade all’estero oggigiorno conta, ciò che accade in Inghilterra conta ancora di più.Foto editorpress.it