La “Buona Scuola” di Renzi, controriforma in atto

Si dice che al peggio non c’è fine ma mai come questa volta il detto proverbiale e popolare ci ha azzeccato. Il peggio soltanto temuto è arrivato con la “Buona Scuola” di Renzi, che già nel titolo si segnala per la sua supponenza cialtronesca, sottintendendo con esso che la scuola che c’è non è “buona” e quindi va “rottamata”, mentre nel bene e nel male ha retto per un secolo e mezzo, resistendo ai cambi d’epoca, ai governi e regimi di diversa natura, agli assalti ideologici delle varie fazioni politiche in lotta, ai tanti ministri che si sono succeduti a viale Trastevere ciascuno di essi lasciando in eredità qualche riformina scombinata presto seppellita dal collega sopravveniente. Ma poi basterebbe leggersi un po’ la storia della scuola pubblica in Italia, da parte del “premier per caso”, per essere meno sprezzante nei suoi confronti, una scuola, questa, nata con l’Unità d’Italia tra mille difficoltà, avendo contro non solo la povertà dei comuni che non potevano pagare gli stipendi agli insegnanti ma anche i genitori, i quali preferirono che i propri figli si guadagnassero il pane fin da bambini piuttosto che imparare a leggere e scrivere e a far di conto, ma soprattutto avendo come acerrimo nemico la Chiesa, la quale vedeva nell’istruzione laica avanzare i prodromi del socialismo, considerato il principe del male Lucifero, tale perché avrebbe tolto le masse contadine da una sorta di innocenza primitiva e selvatica sulla quale il clero aveva stabilito il suo dominio spirituale plurisecolare e non solo. Bisogna riconoscere a Giolitti, definito da Salvemini il ministro della malavita, se nel 1911 sarà varata la prima legge organica sulla pubblica istruzione in Italia, dopo quella abbozzata da Casati nel 1859 e perfezionata da Coppino nel 1877 con l’introduzione dell’obbligo scolastico per i fanciulli dai 6 ai 9 anni, che però ebbe scarsa efficacia in vaste zone del paese, mentre ci vorranno molti anni prima che Gentile nel 1923, operando una poderosa sintesi tra idealismo tedesco da Fichte a Hegel e neoidealismo italiano da Beltrando Spaventa a De Sanctis, potesse dare alla nostra scuola una linea di pensiero educativo, capace di superare l’antica dicotomia tra pensiero astratto e pensiero concreto, considerandoli non momenti separati dell’atto del pensare ma contemporanei, attraverso i quali il fanciullo conosce se stesso e il mondo che lo circonda. Ma sarebbe troppo chiedere a Renzi di portare maggiore rispetto alla scuola italiana, che, come ha detto uno dei tanti insegnanti nelle piazze affollatissime d’Italia il 5 maggio 2015, giorno dello sciopero contro il DdL 2994, funziona solo per l’abnegazione di chi ci lavora dentro, non certo per le scarsissime risorse finanziarie che le sono riservate per le sue esigenze organizzative ai fini di una migliore qualità del suo servizio, non certo per i miserevoli stipendi con cui sono pagati i docenti italiani a confronto di quelli di cui godono i loro colleghi di altri paesi dell’eurozona, non certo per il suo patrimonio edilizio vecchio e nuovo da mettere in sicurezza per la sua fatiscenza. Molto più utile, allora, è entrare nel merito della “Buona Scuola” che, vantata come una “promessa epocale” per l’assunzione di 150.000 precari, in realtà nasconde nel suo arruffato e spesso sgrammaticato linguaggio il tentativo perseguito dai governi degli ultimi vent’anni di svuotare la nostra scuola statale del suo spirito pubblico. Ma ecco i capisaldi di un DdL che, se nostro malgrado dovesse diventare testo di legge, avrebbe tutti i caratteri non di una “riforma” della nostra scuola ma di una “controriforma”:

            1 – Il DdL 2994 prevede l’assunzione di 150.000 precari entro il 1° settembre 2015. I precari della scuola dell’infanzia, i precari idonei ai precedenti concorsi, i precari che appartengono ad una classe di concorso che non è stato mai bandito, i precari assistenti amministrativi, rimarranno fuori dalla stabilizzazione programmata.

2 – I precari che hanno lavorato nella scuola fino a un anno non possono essere considerati precari a tutti gli effetti di legge: a motivo di ciò sono esclusi da ogni ipotesi di stabilizzazione ma anche di eventuali supplenze.

3 – I precari neo-assunti, a prescindere dal “vincolo di destinazione” all’interno della provincia o della classe di concorso a cui hanno partecipato entrando a far parte delle GAE (Graduatorie a Esaurimento, n.d.r.), possano essere presi in carico da una scuola  (o rete di scuole) situate nella propria regione di appartenenza ma anche diversa da questa, come essere obbligati ad insegnare una materia affine a quella specifica del proprio “curriculum” di studi.

4 – Il dirigente scolastico ha la facoltà di scegliersi i docenti di “chiara fama” chiamandoli “direttamente” dagli albi territoriali, componendo così una sua squadra di collaboratori per gestire le risorse umane, finanziarie, tecnologiche e materiali inerenti alla sua direzione didattica.

5 – Il sistema “INVALSI” (Istituto Nazionale per la VALutazione del Sistema educativo d’Istruzione e formazione, n.d.r.), con l’istituzione del Registro Nazionale del personale docente, può certificare le “abilità” di ciascun docente fissandole in un “portfolio” di “crediti” didattici, in base ai quali lo stesso docente può usufruire di una quota parte di un fondo aggiuntivo disposto dal ministero in ragione del 66% di tutti i docenti presenti nella stessa sede scolastica.

Gerardo Corrado