Nozze per i gay o nozze per nessuno?

Angelo Cennamo

La settimana scorsa, con un referendum, la cattolicissima Irlanda si è espressa a favore dei matrimoni gay. A votare per il “Sì” sarebbero stati anche diversi prelati, esponenti dell’ala più inclusiva e perdonista della Chiesa, quella che oggi definiremmo bergogliana per le aperture di Papa Francesco al pluralismo sessuale e agli schemi familiari meno ortodossi rispetto alla morale cristiana. La notizia, che ha fatto il giro del mondo, non poteva non alimentare dibattiti in Italia, nazione molto vicina per tradizione e sentimento religioso a quella irlandese. La materia è complessa ed è sempre difficile contenere nelle argomentazioni dei pro e dei contro la sovrapposizione dell’istituto  sacramentale a quello laico giuridico. Tralasciando gli aspetti del primo, facciamo un paio di considerazioni sui risvolti di quel referendum e più in generale sul significato che assume oggi il matrimonio civile, alla luce delle modifiche più recenti del diritto di famiglia. La prima: il dibattito sul “sì o no al matrimonio gay” è già superato dal modello globalizzato della società occidentale nella quale viviamo. In altre parole, il matrimonio  gay esiste in molti paesi europei e vietarlo in Italia sarebbe come voler fermare il mare con il secchiello: prima o poi l’acqua ci arriverà addosso. Nei paesi che non lo hanno ancora introdotto nei loro ordinamenti, le coppie omosessuali possono, ad ogni modo, aderire a dei patti civili che ne imitano per certi versi il contenuto sia pure con alcune limitazioni. Gli unici Stati europei sprovvisti di qualunque forma di regolamentazione in questa materia sono l’Italia e la Grecia. La seconda: siamo proprio sicuri che la soluzione migliore e più adatta al tempo in cui viviamo, per acquisire e difendere dei diritti, sia quella di tutelare la coppia anziché i singoli individui? Mi spiego meglio. Negli anni passati sposarsi voleva dire mettere al mondo dei figli ed “assistere” la madre di questi con il proprio reddito oltre che con lo spirito. Ma a seguito dell’equiparazione dei figli naturali ( nati cioè fuori dal matrimonio) a quelli legittimi e con la crescente emancipazione femminile, quale sarebbe la necessità di aggiungere ad un convivenza di fatto anche il vincolo del matrimonio? Due ragioni essenziali: i diritti successori e l’eventuale mantenimento del coniuge in caso di separazione. Ebbene, in quanto ai primi,  esistono tuttora, nelle leggi vigenti, delle forme di tutela per i vedovi o le vedove: la quota di riserva nel testamento, le polizze assicurative. E se proprio queste non dovessero essere giudicate sufficienti, il legislatore potrebbe ad esempio regolamentare ex novo l’istituto della legittima abolendolo del tutto ( sarò libero di lasciare o donare quello che ho ereditato e che ho guadagnato nella mia vita a chi mi pare?) oppure introdurre dei patti con lo Stato riguardanti la reversibilità della pensione (meglio se destinata a nuclei familiari con figli minori).  Il mantenimento, in caso di separazione, sarebbe più opportuno prevederlo per i soli figli economicamente non indipendenti e non più per le mogli, oggi capaci di procacciarsi un reddito alla pari degli uomini. Detto questo, non resta che porci una domanda : meglio estendere il matrimonio ai gay o toglierlo agli etero?