Occhio alle regionali: l’imperatore Renzi in cerca di conferme

Amedeo Tesauro

Pare scontato affermare che un governo non eletto necessiti di legittimazione a ogni occasione. Ecco perché le regionali del 31 maggio non si limitano alla selezione degli amministratori del territorio ma assumono importanza anche su piano nazionale. Matteo Renzi è a caccia di conferme, di un risultato positivo che dia forza al Partito Democratico, un esito non troppo distante da quel 40 per cento delle europee dell’anno scorso, anche in quel caso elezioni non direttamente sul governo che tuttavia rinforzarono le fondamenta dell’esecutivo. Elezioni regionali che cascano nel mezzo di un periodo in cui il decisionismo dell’ex sindaco di Firenze si è fatto particolarmente sentire, prima con la forzatura sull’Italicum attraverso la richiesta di fiducia, poi con la riforma della Scuola in netto contrasto con le categorie di settore. Eppure si sa, lì dove alcuni scorgono il difetto altri vedono il pregio, così le prove muscolari del premier non sono dispiaciute a tutti, né le bagarre interne con la minoranza paiono essere così rilevanti. Anzi, c’è la sensazione che laddove Renzi possa perdere voti in termini di consenso attraverso le riforme, li riguadagni non appena il vecchio establishment del PD va all’attacco, giacché nel contrasto tra le parti Renzi rinforza la propria immagine di rottamatore. Le regionali dovranno però fornire una prova, se non di crescita quantomeno di tenuta, in tal senso gli ultimi sondaggi (Cise-Il Sole 24 Ore) danno il PD in flessione ma ancora nettamente avanti a tutti, con un M5S che si attesta al 23 per cento e la Lega al 15 per cento, davanti a Forza Italia ferma al 12. Sulle regionali al PD sognavano il 7 a 0, risultato che avrebbe messo a tacere ogni polemica, in realtà da rilevazione a rilevazione emergono sfumature che fanno pensare a risultati più contenuti: Puglia, Marche e Toscana sono in mano al PD, il Veneto è sempre più di Zaia, in Umbria il PD avanti rischia il sorpasso. E poi ci sono Liguria e Campania. In Liguria la candidata PD Raffaella Patia, finita al centro delle polemiche per la gestione dell’alluvione di Genova, deve vedersela con Giovanni Toti di Forza Italia, in un testa a testa che vale tantissimo, ovviamente, anche per Berlusconi e i suoi. Dulcis in fundo in Campania si gioca la partita tra Stefano Caldoro e Vincenzo De Luca, un intenso scontro già al centro delle polemiche. De Luca non è uomo di Matteo Renzi, l’incandidabilità dell’ex sindaco di Salerno dettata dalla legge Severino imbarazza, come imbarazzano alcuni nomi delle liste presentate (ex forzisti, estrema destra, ma soprattutto sospette collusioni con la criminalità), tale da spingere lo stesso Renzi a prendere le distanze da certe scelte, con alcuni nomi definiti invotabili. Dal PD fanno però sapere che le liste PD sono pulite, il partito non può però influenzare i nomi delle liste altrui connesse, una spiegazione non del tutto convincente. Una chiave di lettura arguta è quella del giornalista e scrittore Fabrizio Rondolino, secondo cui Matteo Renzi è come l’imperatore feudale: i suoi vassalli agiscano come meglio credano, l’importante è che alla fine rispondano all’imperatore. Provocazione? Può darsi, certo è che il presidente del Consiglio aspetta dei risultati dai suoi candidati, necessari per rinvigorire ulteriormente la sua leadership e l’operato dell’esecutivo.