Divorzi brevi e matrimoni lunghi

Angelo Cennamo

Il divorzio breve è legge; basteranno 6 mesi o al massimo 1 anno per conseguire lo scioglimento del vincolo coniugale. Il tempo decorre dalla data della prima comparizione delle parti davanti al giudice della separazione, procedimento che anticipa sempre e comunque quello divorzile.  Ai più potrà sembrare una norma come tante altre, ma in un Paese complicato e indecifrabile come il nostro l’abbreviazione dell’interim da tre anni a pochi mesi rischia di trasformarsi in una sorta di rivoluzione copernicana. Questo per una serie di ragioni, non ultima il forte quanto legittimo condizionamento del Vaticano sulle decisioni della politica. Ai cattolici (vescovi, media ed opinionisti vari) il cosiddetto divorzio breve non piace perché agevolerebbe il processo di logoramento dell’istituto familiare, al quale lavorano alacremente già altri fattori quali : la secolarizzazione, l’emancipazione dei costumi e quell’irrefrenabile nichilismo che tutto cancella tranne l’abbandono al piacere personale e la programmazione in chiave individualistica ed egoistica della propria vita. Ridurre i tempi per il divorzio, significherebbe, in altri termini, banalizzare l’unione matrimoniale, quasi sminuirne il valore fondante della società che le è stato attribuito nel corso della storia, e non solo dalla Chiesa. Ma sarà vero o ci troviamo piuttosto di fronte all’ennesimo tentativo di difendere attraverso la legge una materia che con i codici, per fortuna, ha poco da spartire? Ritenere che i matrimoni possano essere minati da norme troppo accondiscendenti verso le separazioni è un’ingenuità che può essere forse perdonata all’uomo della strada, non di certo a cultori ed operatori esperti. Neppure se cattolici. Viviamo in una società libera e la libertà mal si concilia con le convivenze in genere, sarebbe bene  farsene una ragione. Relazionarsi con un’altra persona in modo stabile è una sfida avvincente che va affrontata però giorno per giorno, con determinazione e sacrificio. Ma se una volta a turbare il libero convincimento intervenivano una serie di fattori esterni: il pregiudizio, il timore dell’isolamento, la paura di rimanere senza denaro e lavoro, l’imbarazzo di essere additate ( nel caso delle mogli) come donne facili e spregiudicate e, soprattutto, il dispiacere di gettare nella discriminazione i propri figli, oggi per fortuna questi veti sono stati progressivamente abbattuti dalla moderna consuetudine. Nella società contemporanea l’unico freno possibile al divorzio, breve o lungo che sia, resta il solo ed autentico desiderio di rimanere insieme. Dividere oggi la propria vita con un‘altra persona è un gesto impegnativo che non può che rinnovarsi  giorno dopo giorno come se quel giorno fosse sempre il primo. Non ci dev’essere mai nulla di scontato in una relazione, né può essere comodo adagiarsi su vincoli o cavilli burocratici destinati ad ostacolare la reversibilità della decisione presa. Sposarsi ma soprattutto  restare sposati è sempre una scelta di libertà e come tale va preservata, anche dal tentativo di complicarne la resa.