Lavoro precario: addio posto fisso!

Giuseppe Lembo

Esiste ancora il “posto di lavoro”, così come inteso nel mondo decadente della civiltà industriale? Purtroppo, quei tempi, sono ormai tempi sempre più lontani. Il lavoro di oggi, quando c’è, è altra cosa. È sempre meno, “posto di lavoro”, con una dipendenza ed un datore di lavoro. Si va così, sempre più verso quanto già pensato dal modello del capitalismo che, prevedendone le conseguenze, andava teorizzando il principio fortemente di attualità nel nostro tempo, secondo cui le risorse del mondo dell’occupazione, fossero risorse in assoluta costante decrescita. Siamo ormai verso mondi nuovi;  verso situazioni completamente nuove; il lavoro sarà sempre meno, “posto di lavoro”; sarà, sempre meno, posto fisso. Si dovrà essere e sempre più, imprenditori di se stessi, mettendosi in discussione con idee creative al massimo che, alla fine possono tradursi anche in enormi ricchezze; ricchezze, ma non lavoro, inteso come “posto fisso”; come “posto di lavoro”. In alternativa al “posto fisso”, con tutte le sue garanzie, così come fino ad ora intese, dobbiamo imparare a convivere con il lavoro precario. Siamo ormai e sempre più, di fronte a grandissime trasformazioni planetarie del consolidato sistema economico e sociale che ha caratterizzato il Novecento in Italia e nel mondo. L’innovazione e la creazione sarà, in modo crescente, alla base dei tantissimi impresari di se stessi; le nuove generazioni ormai orfane del “posto fisso”, ormai senza più un’occupazione stabile, dovranno sapersi inventare le nuove condizioni per gestirsi in proprio, la propria non facile esistenza. È questa la moltitudine umana e sociale di sempre che senza entusiasmo e senza attese particolari di futuro, si trovava funzionalmente comoda nel proprio ruolo di dipendenza a vita, in  quel “posto fisso” che ha permesso a tanti di vivere o di sopravvivere con le pantofole e con un piatto a tavola, mentre la televisione andava trasmettendo messaggi da sogni proibiti, perché assolutamente negati alle masse del “posto fisso”. Tutto, è mutevole soprattutto nel mondo dinamicamente in movimento, del nostro tempo, con caratteristiche di una diversità che non ha confronti; tutto è oggi parte di quella mutazione genetica che è in sé, la grande espressione dei cambiamenti umani che avvengono sulla Terra, senza che nessuno possa interromperne capricciosamente e/o egoisticamente il corso orientandolo, a proprio piacimento, nella sola direzione voluta. Occorre un Progetto giovani dove ciascuno possa sentirsi garantito, ritagliandosi gli spazi funzionalmente possibili in progetti concreti, basati sulle singole capacità di inventarsi il futuro, innovandone i percorsi; tanto, lavorando il più possibile insieme, gomito a gomito, con un crescente  reciproco arricchimento di esperienze e di opportunità concrete, attraverso le quali, è necessario pensare a far funzionare il sistema, sempre più orfano di quelle centrali del lavoro basate sul “posto fisso”, fonte spesso anche di gravi rischi, anche sul piano delle garanzie del lavoro, orientate soprattutto a fare cassa in un’economia di mercato, in cui il capitale-lavoro, deve necessariamente tradursi in surplus di capitale economico-finanziario, sempre più spesso a totale danno del capitale umano, marginalizzato al massimo e senza alcun diritto garantito per quel suo valore in sé, assolutamente centrale ed insostituibile. Considerate le difficoltà del momento, forse, forse, si può pensare all’innovazione, come unica miracolosa via per salvarsi; per salvare il mondo e salvarci anche in casa nostra, dove e sempre più, è ormai finito il tempo del “posto fisso” e dell’affidarsi passivamente agli altri per vivere su questa Terra che, come ci ha insegnato la civiltà contadina, ha sempre amato il protagonismo del fare per vivere da protagonista insieme agli altri. Questo modello era ormai scomparso, in quanto cancellato da una civiltà industriale da “posto fisso”, con alla base la crescente disumanizzazione del lavoro diabolicamente pensato con il fine ultimo dello sfruttamento dell’uomo al fine di creare ricchezza e di fare crescere, accrescendole, le disuguaglianze umane, con i nuovi poveri del mondo (un miliardi circa), destinati a morire di fame, non avendo neppure il diritto al cibo; al pane della vita, per garantire la vita.