La zeppola di San Giuseppe

Anna Maria Noia

Che sia fritta o al forno, sotto forma di bignè oppure fragrante ed oleosa, nelle sue varianti la zeppola è il classico e tradizionale dolce legato alla ricorrenza di S. Giuseppe – il 19 marzo. La ricetta è complessa ma il gusto risulta essere semplicemente unico. Le cronache culinarie,  ma non solo, narrano che in realtà la tonda ciambella viene preparata anche il 2 novembre e a Natale, con gli scauratielli o scaldatelli – però intinta nel miele. Ma è con l’equinozio di primavera che la leccornia, antichissima specialità, fa riscoprire tutto il sapore della sapiente arte gastronomica delle nostre zone. Dove le donne si alternavano e ancora si accingono a mettersi ai fornelli per accontentare i palati più esigenti dei golosi – grandi e piccini. Il termine “zeppola” sta per “zeppa”, ossia “piena”, oppure deriverebbe da “piccolo cuneo” od ancora assume il significato di “ceppo”, quale “fenditura” del terreno, da seminare e dunque fecondare, alla luce delle mitiche ritualità greche e precedenti. Già, precedenti: è evidente che la forma stessa della prelibata delizia assurge a simbolo dell’aleph o alfa fenicio e in seguito greco. La lettera alfa sta per il toro, infatti al contrario la nostra A – se vista rovesciata rappresenta appunto la testa di un bovide con le corna. Nel ricordare questo possente animale, simbolo della forza riproduttiva della Natura, non possiamo non richiamare alla mente il mito e rito di Europa, vittima del ratto di Zeus-Giove. Una divinità lunare della classicità. Inoltre non è possibile dimenticare il Minotauro e gli esercizi ginnici relativi alla tauromachia, praticata diffusamente nell’antichità. La zeppola è come un pane, come il pane – con la sua forma tonda; tra gli ingredienti principali la farina e il miele, ma non solo, diventano paradigma di etnografia in quanto rappresentano la vita e la morte, allusivamente. Il pane tondo e la ciambella, come il tarallo, rimandano il pensiero di un buon antropologo/demologo al sesso e alla sessualità come spinta propulsiva all’agire umano.  Una forza cosmica, quindi, che emana e promana proprio dal dolce di S. Giuseppe.  Che vien degustato in questi giorni probabilmente per ingraziarsi le divinità uterine e viscerali come Demetra/Cibele e la figlia Persefone/Proserpina, rapita da Ade Plutone con il trucco ed escamotage del melograno, il granato” – segno di vita e di morte.  La vera origine delle zeppole è però meglio testimoniata dal popolo romano: infatti verso le Idi di marzo, dal 15 al 17, vi erano i cosiddetti Liberalia, feste in onore del dio Libero. In onore del dio si preparavano focacce di farina e miele dette libae o frictilia donde le nostre frittelle. A Mercato San Severino, come del resto in molte altre realtà della Valle Irno, la zeppola cotta piuttosto che la “graffa” (dal tedesco krapfen) indorata e strofinata in un letto di zucchero, si assaggiava nel corso dei festeggiamenti per il santo più umile e silenzioso. Il patrono della buona morte era venerato col “fucarone”, con i giochi di fuoco, sia a S. Severino che altrove nei comuni limitrofi. Erano manifestazioni similari agli eventi detti: “sanferminas”, in atto nella Spagna e noti anche – ma mutatis mutandis – come “fallas de S. José”.

Vere e proprie prove di passaggio della maturità, guarda caso inerenti il toro, emblema della penisola iberica. Purtroppo eventi come questi vanno sempre più perdendosi nei meandri dell’oblio dei secoli; speriamo che qualche ragazzo di buona volontà recuperi la memoria del passato anche per tali manifestazioni e per riproporre, magari il 19 marzo, la ricetta originale della zeppola, così come preparata secondo le vecchie credenze, la sapienza degli avi.