Il giorno di Silvio

Angelo Cennamo

L’assoluzione in via definitiva di Silvio Berlusconi per i reati di concussione e di prostituzione minorile scrive la parola fine su una delle pagine più brutte e pruriginose della storia politica e giudiziaria di questo Paese. La triste vicenda del “bunga bunga” che ha sputtanato con migliaia di intercettazioni inutili l’ex premier, in Italia e in ogni angolo del mondo, ed avviato di fatto la sua epurazione da Palazzo Chigi – con tutti gli strascichi montiani, lettiani e renziani che ne sono derivati – è stata ridimensionata dalla Cassazione ( ma prima ancora dalla Corte d’Appello di Milano) a goliardico passatempo a sfondo sessuale, probabilmente squallido e immorale,  ma  del tutto lecito in punta di diritto, chcchè ne dicano vescovi e giornali affini. Dal processo, lungo e sfiancante per chiunque, e dalla infamante gogna pubblica che ha fatto da corollario, l’ottantenne Berlusconi ne esce un po’ ammaccato – vorrei vedere –  ma ancora vivo.  Il Cavaliere ( senza ex) ha ringraziato i giudici per il coraggio e l’indipendenza dimostrata – fatto senza precedenti  nella storia burrascosa dei rapporti tra la destra italiana e la magistratura in questi ultimi 20 anni – ed annunciato ad elettori e militanti di rimanere in campo per rifondare Forza Italia e vincere di nuovo.  Quanto la felice conclusione del processo possa aiutare Berlusconi a ricompattare il centrodestra e a renderlo competitivo in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, è difficile a dirsi. La sensazione però è che, passata l’euforia – giusta e comprensibile – delle prime settimane, i problemi  di Forza Italia restino ancora tutti lì sul tavolo, irrisolti come prima, se non più di prima. Lo stesso giorno dell’assoluzione, il Cavaliere ha dovuto fare fronte ad un’altra prova faticosa, quella del voto sulle riforme costituzionali maturate dal chiacchierato patto del Nazareno, stipulato nella sede del Pd con il rivale ed amico Matteo Renzi. Il No annunciato alla vigilia, contraddicendo il lavoro svolto nelle commissioni dai suoi parlamentari insieme ai colleghi del Pd, e alla valutazione precedentemente espressa dagli stessi senatori azzurri a Palazzo Madama, aveva di fatto spaccato il partito in almeno due tronconi, alimentando tensioni ai limiti della scissione. Solo per lealtà ed affetto i cosiddetti dissidenti hanno poi optato per l’allineamento alla decisione presa dal loro capo. Ancora una volta, forse l’ultima. Ma i malumori restano, e non sarà di certo la sentenza pronunciata dalla Cassazione a dissipare i dubbi e le incertezze sul futuro della coalizione, strattonata a destra da una Lega in salsa post fascista, e a sinistra dalla scheggia moderata degli alfaniani, tuttora stampella del governo Renzi. Le sfide che attendono Forza Italia sono impegnative su ogni fronte, e non possono prescindere da una seria e profonda riflessione sulla leadership dello schieramento. L’anagrafe e la legge Severino sembrano smentire qualunque slancio di ottimismo mostrato dal rinfrancato Cavaliere in ordine ad una sua possibile candidatura futura, l’ennesima. E allora non sarebbe male se Berlusconi, forte della ritrovata serenità  e della giustizia finalmente resa, approfittasse di questi mesi o anni che ci separano dalla fine della legislatura, per rifondare la sua creatura – oggi data da alcuni sondaggisti appena sopra l’11% – e lavorasse finalmente alla sua successione. Se non ora, quando?