De Luca e il rompicapo della Severino
Angelo Cennamo
La candidatura di Vincenzo De Luca a governatore della Campania racconta meglio di ogni altro evento lo stato confusionale in cui versa la politica di questo Paese, alle prese con la peggiore crisi di identità e di consensi mai registrata dal dopoguerra. De Luca, che a Salerno fa il sindaco più o meno ininterrottamente da 22 anni, è finito nel mirino della magistratura – penale e contabile – per una serie di abusi (in parte accertati) collegati all’amministrazione della sua città e all’incompatibilità con il doppio ruolo di viceministro che ha ricoperto, senza fortuna e senza deleghe, al tempo del governo Letta. Fatto sta che l’intrigata vicenda tecnico-processuale – difficile da capire e da spiegare anche per un addetto ai lavori come il sottoscritto – ha innescato una spirale di ricorsi e di controricorsi che hanno condotto Salerno e i suoi abitanti in una sorta di limbo della democrazia dove nessuno più riesce a capire chi comanda e in ragione di quali poteri. Come se non bastasse, De Luca ha inteso (legittimamente) prendere parte alle primarie del Pd ( fino a prova contraria il suo partito) per candidarsi a governare la Regione Campania. E dopo un’estenuante e chiacchieratissima campagna elettorale, contraddistinta da sospetti, veleni e autorevoli appelli al non voto, è riuscito pure a sbaragliare gli avversari centrando il difficile obiettivo. Ora però nel videogame di De Luca si è aperto il quadro più complicato; per lui, per il Partito Democratico e per Matteo Renzi, che del Pd ne è il rottamatore e rifondatore. Quando la legge Severino fu ideata (male) ed applicata per la prima volta (peggio), l’attuale premier faceva ancora il sindaco di Firenze e non immaginava – o forse si – che di lì a poco avrebbe traslocato da Palazzo Vecchio a Palazzo Chigi. I suoi predecessori, però, si erano affrettati poco prima a varare, sostenere e mettere in pratica un insieme di norme ( legge Severino, per l’appunto), dai contenuti incerti, sovrapponibili ad altre norme del codice penale in tema di pene accessorie, e dal profilo costituzionale mai vagliato fino ad oggi, al fine di prevedere l’esclusione per sei anni dalle cariche istituzionali di tutti coloro che avessero riportato condanne penali. La legge – in buona sostanza concepita per eliminare Silvio Berlusconi dalla scena politica – finisce oggi per ritorcersi contro i suoi stessi legislatori, tanto che De Luca, pur avendo vinto le primarie del Pd, non potrà governare la sua Regione nell’ipotesi riuscisse a sconfiggere anche lo sfidante di centrodestra. E ora? Il problema non è di poco conto. Renzi ha già fatto sapere che il risultato delle primarie va accettato. Del resto è proprio grazie a quella competizione interna che lui è riuscito a scalare il Pd. Né si intravede all’orizzonte la possibilità che la Legge Severino possa essere modificata o abrogata del tutto: per la sinistra sarebbe un’evidente autogol dopo aver bersagliato platealmente Berlusconi a seguito della condanna per frode fiscale. Dunque? Dovremo aspettarci da parte dei Democratici un silenzioso e clamoroso tradimento elettorale che rimuova il problema alla radice? In tal caso De Luca avrebbe comunque le risorse “personali” per sconfiggere Stefano Caldoro? Oppure che le cose seguano il loro corso per poi assistere ad un ennesimo contenzioso davanti al Tar? Staremo a vedere. Ad ogni modo, consentire a Vincenzo De Luca di fare politica è davvero complicato.