Ricordo di un protagonista: Bettino Craxi

 Aurelio Di Matteo

Come disse Sciascia, il nostro è un paese senza memoria e verità e per questo bisogna cercare di non dimenticare. E da non dimenticare è certamente quel pomeriggio del 19 gennaio di quindici anni fa, quando Bettino Craxi salutò per l’ultima volta l’azzurro Mediterraneo che lo separava dalla sua Italia che, nel bene e nel male, egli aveva reso protagonista della politica internazionale, rinnovata nel modo di concepire lo Stato ed il rapporto con i cittadini, e che si avviava verso una stagione di grandi riforme strutturali, dopo aver messo in cantina le mitologie del massimalismo ed il blocco di potere del consociativismo parlamentare. Dopo quindici anni dobbiamo constatare che alla scia di aspre ed acritiche prese di posizione, in un senso e nell’altro sempre rivolte a giustificare solo se stessi e le neo-acquisite posizioni, non ha fatto seguito una serena valutazione politica e storica del ruolo che ha avuto Craxi nella vita della Nazione. A scorrere le tante pagine a loro dedicate da insigni storici, di certo le vicende private della vita di Cesare, nelle sue lunghe campagne militari di conquista delle Gallie, o di Napoleone, nell’Europa che si apriva alla democrazia e all’identità dei popoli, o di Garibaldi di qua e di là dell’Atlantico, non furono sempre limpide nei metodi e nelle frequentazioni, così intimamente legate ai sistemi politici sociali ed economici contemporanei. Altrettanto certamente la valutazione del ruolo storico di questi, come di tanti altri protagonisti della storia dei popoli e delle nazioni, fa riferimento esclusivamente a ciò che essi hanno rappresentato nei grandi processi politici e sociali di un’epoca: ogni altra valutazione, sia essa acritica esaltazione o interessata e pregiudiziale detrazione, appartiene alle miserie della vita e alla mediocrità di personaggi che esistono solo perché parlano di grandi protagonisti. Ed è singolare che ogni discussione su tangentopoli inizia usando il plurale e si conclude al Singolare con considerazioni ipocritamente ineffabili ed accenti spudoratamente cinici. La storia, per fortuna dei vari Crispi (scandalo della Banca romana) Giolitti (ministro della malavita) e altri, non la si è fatta nelle aule dei tribunali ma sul palcoscenico delle scelte decisive per una nazione, dove hanno posto solo le grandi idee, le forti decisioni, le rigorose analisi e le preveggenti intuizioni. Lo si voglia o no, Bettino Craxi è consegnato, come tanti altri protagonisti politici, non alla vicenda giudiziaria, pur essa da storicizzare e spiegare, ma alla storia della nostra democrazia. La vicenda personale avrebbe dovuto essere chiusa con la dichiarazione che l’allora suo grande inquisitore, poi autorevole commentatore de L’Unità e infine parlamentare post-comunista, Procuratore Gerardo D’Ambrosio, rilasciò nel luglio 1996 al Corriere della Sera: “la molla di Bettino Craxi non era l’arricchimento personale ma la politica. Finché non ci sia la prova di una corruzione personale, e non c’è, è un dovere dare a Craxi quello che è di Craxi e niente più.” Chiusa così la questione personale e al di là di quanto si afferma per ragioni di vile bottega, cosa resterà di lui? Innanzitutto aver compreso anzitempo il fallimento storico del comunismo ed aver condotto il PSI della stagione demartiniana, mortificato e  senza identità, nella grande famiglia del socialismo liberal-democratico europeo, insieme ad una testarda e lucida coerenza ideologica che lo portò all’abbandono dell’egualitarismo proprio di una obsoleta sinistra massimalista, sclerotizzata ancora nella “grande famiglia di ottobre”, per sostituirlo, già alla metà degli anni ’70, con il principio dell’”equità” a cui si ispirava il Riformismo europeo e che ancora oggi stenta ad essere fatto proprio da una sinistra senza identità e in parte ancora intrisa di mal acquisito e ancor più mal digerito marxismo.  Resteranno le sue grandi e decisive scelte di politica internazionale, che dettero al nostro Paese un prestigio mai avuto né prima né dopo, collocandolo chiaramente nell’area occidentale e ad un tempo rendendolo interlocutore privilegiato ed ascoltato nel Medio Oriente e nei paesi del Terzo Mondo. Per primo affrontò il problema giustizia, con la riforma del Codice di procedura penale e con la responsabilità dei giudizi, successivamente annacquata e resa inoffensiva, aprendo la strada all’istanza della separazione delle carriere; e per primo, eliminando il tabù storico della scala mobile, affrontò e risolse il problema della tutela del reddito reale, dello sviluppo e dell’occupazione, realizzando una forte riduzione dell’inflazione. Ne è da dimenticare cosa abbia rappresentato la stipula della revisione del Concordato con la Santa Sede, sottoscritta da un laico convinto e coerente, ma sinceramente rispettoso del pluralismo ideologico e religioso di cui si sostanziano le grandi democrazie. Già se fosse solo per questo, sarebbe da riservargli un posto di primo piano nella storia della nostra democrazia e da ricordarlo tra gli statisti più insigni del secolo scorso.