Lumaconi e velociraptor. Le Primarie in Campania

Già chiuse le primarie in Liguria e (anche il voto amministrativo) in Emilia-Romagna, ci si macera in Campania su quale debba essere il procedimento di designazione del candidato del Centrosinistra alla presidenza della Giunta Regionale.  Era parso ai più che le questioni procedurali fossero state archiviate con la fissazione all’1 Feb 2015 della  data delle primarie e che, tutt’al più, si potesse concedere a qualche ritardatario il beneficio, senza troppi formalismi, di accedervi: a conforto della irreversibilità delle decisioni la parvenza di una concordia discor  intervenuta tra gli attori rilevanti del Pd campano circa le reciproche convenienze ad 1) intendersi sulla procedura adottata per 2) disputarsi  dinanzi ad iscritti ed elettori il nome del candidato. Ed invece con (relativa) sorpresa, nei giorni in cui meglio dovrebbe svilupparsi il confronto programmatico tra i candidati, si cala un appello al superamento delle primarie, promosso anche da protagonisti non secondari della stagione renziana locale. Esso chiede che sia favorito un candidato non divisivo, selezionato da una maggioranza qualificata di esponenti politici, sottratto quindi ad una designazione meno ristretta. Sembra quasi che la velocità con la quale, nel giro di un anno (2012/2013), Renzi abbia sconvolto il panorama politico italiano – accettando, promuovendo e vincendo un confronto all’americana per la conquista della leadership – ridondi a discapito anche di alcuni dei suoi più accesi sostenitori campani (lumaconi).Questi, pressati da scadenze elettorali/organizzative ravvicinate e mozzafiato (europee/regionali), si adattano con faticano ai ritmi di una politica che non perdona chi, indipendentemente dalle ascendenze conclamate, si mostra timido e poco dinamico, acquattato in attesa che passi la nottata e che qualcuno, dall’alto o dal di dentro, gli risparmi iniziative e scelte. Non mancavano le avvisaglie. Pochi avrebbero però ritenuto che, tra le mosse a disposizione, si tentasse quella della “ridotta regolamentare”. Essa determina l’abbandono del naturale campo di gioco di una competizione aperta. Punta l’intera posta su una vittoria a tavolino. Consegna una prateria ad altri risoluti protagonisti (velociraptor), tacciati di lacerare il centrosinistra, messi cioè all’indice per il semplice fatto che – non senza contraddizioni, errori, resistenze – hanno colto le virtualità e si sono adattarsi ai vincoli di una selezione popolare del candidato alla Presidenza della regione. L’impressione è che sia stata diversamente interpretata e declinata dai lumaconi e dai velociraptor la rilevanza del collasso del Centrodestra, cui sono riferibili pure i tentennamenti di Caldoro a ricandidarsi. D’altra parte, non era stata la divaricazione di peso elettorale tra le due avverse coalizioni a decidere della vittoria di Caldoro e della sconfitta di De Luca alle regionali del 2010? E non aveva questa stessa divaricazione enfatizzato il contributo di quest’ultimo alla tenuta del centrosinistra campano, allora zavorrato dai miasmi della vicenda di rifiuti e dalla sciatta designazione del suo candidato Presidente? Una volta percepita la probabile decisività per l’esito elettorale finale della scelta anticipata del candidato del centrosinistra,  l’ambizione ad intestarsene il merito ha scatenato contro le primarie l’azione di blocco dei “lumaconi”, inducendoli ad invocare l’aiutino per incassare, al riparo di una democrazia infagottata, il risultato di un outsider nominato dagli interna corporis.  E gli argomenti di merito avanzati- credibilità programmatica, expertise di governo dei velociraptor – si sono trasformati in ragioni ostative alla primarie: ad una procedura che dovrebbe, essa stessa, dirimere, in modo meno privatistico e meno unanimistico, quel confronto sulle questioni e sui nomi che si vuole, invece, riservare ad un gruppo di “ottimati”. Si ritiene insomma che lo ”stato di eccezione” del Pd campano, meriti non una iniziativa ariosa, una proposta di cambiamento selezionabile dai cittadini, ma il ripescaggio di vecchi attrezzi di lavoro, quelli di un tempo, quando la vittoria non viene ambita, è temuta. Ed il suo timore rallenta i riflessi, impedisce giochi aperti, reitera – forse aggrava – quella stessa condizione dalla quale pure si ambisce uscire.  Una accentuazione statica e disperata della diagnosi, da “Il Fatto Quotidiano”, ammalia e svia i lumaconi:

a)Le condizioni ambientali, ritenute proibitive, in cui si svolgerebbe la dialettica democratica, con flotte di cittadini trascinati al voto da appelli populistici o incorporati in schiere di clientes al seguito di leaders (bosses) irresponsabili. Un giudizio quindi di pericolosità democratica, emergenziale che coinvolgerebbe pure le forme di pubblico confronto e decisione, sospettate di amplificare i mali segnalati;

b) Lo stato comatoso in cui verserebbe il Pd campano:  introverso, prigioniero di gruppi organizzati al suo interno – di micro partiti a ripartizione territoriale (Salerno, Napoli..) – che ne utilizzano ad libitum le insegne per operazioni partigiano/identitarie, in una guerra di trincea in cui nessuno prevale e perde il collettivo.

La parte di verità della diagnosi offusca però il fatto, non imprevisto né imprevedibile, che una parte dello stato maggiore del Pd campano – in particolare quello più spregiudicatamente sensibile, per le funzioni istituzionali svolte, agli umori elettorali – si è mosso veementemente. Esso intende beneficiare delle opportunità offerte da primarie aperte, giocarsi la partita sino in fondo proponendosi al comando della regione con un sostegno largo tra i cittadini. L’occasione va prontamente colta dai lumaconi. L’apertura del varco, con la tentata scalata del Pd per lanciare l’Opa sulla Regione, non ostacola altre operazioni distinte e concorrenti che, sulla scia, profittino delle primarie, ne declinino le virtualità secondo canoni più liberali e meno rigidi e ne facciano uno strumento per il cambiamento che auspicano. Insomma la finiscano, i lumaconi, di lagnarsi delle deficienze altrui. Meditino quanto vogliono, ma si diano una mossa per rientrare in gioco senza subordinate. Non si nobilitino della propria diversità. Arricchiscano nelle primarie, e non ai margini, la offerta di candidati e di orientamenti programmatici oggi in campo. Si intromettano con quella dose di radicalità, di temerarietà che pure ci vuole e di cui dovrebbero essere capaci. Non scommettano sullo scambio politico tra lancio del nuovo candidato e rinvio delle primarie a data da destinarsi. Una eventuale buona sconfitta – e chi lo può dire? – non è mai, come sanno, un cattivo viatico. 

Giovanni Celenta

Nonunodimeno per il Partito Democratico