L’addio di Napolitano, tra saluti e cauto ottimismo

Amedeo Tesauro

Chi si aspettava un discorso di fine anno impreziosito da “picconate” di vario genere è rimasto deluso. Giorgio Napolitano, alla nona e ultima occorrenza, ha rinunciato a togliersi sassolini dalla scarpa, ripiegando su un sobrio discorso fatto di saluti, elogio agli italiani modello, e riferimenti tanto specifici quanto generici nella scelta. Citare il degrado dell’inchiesta Mafia Capitale come polo negativo e l’astronauta Samantha Cristoforetti o la direttrice del Cern Fabiola Gianotti (la quale solo pochi giorni fa aveva invitato i giovani ad andare all’estero, altro che unità nazionale) come polo positivo fa tanto retorica adatta a questi discorsi. Politicamente c’è l’attacco diretto ai tromboni anti-europei e alle loro pretese di ritornare a monete nazionali autonome, un’accusa in linea con i recenti proclami provenienti dal Colle, apertamente schierato contro l’antipolitica del Movimento 5 Stelle e della Lega. Alla fine niente di ciò che non sapevamo è emerso, il secondo mandato di Napolitano si avvia alla conclusione (14 gennaio 2015) e il suo addio è sobrio quasi a stemperare le moltissime polemiche del Napolitano bis. L’atto secondo nasceva in maniera eccezionale da una situazione eccezionale, cosicché lo stesso Napolitano che definiva ridicola una propria rielezione accettava poco tempo dopo il nuovo incarico proferendo un discorso di insediamento duro, quello sì, e sprezzante nel rimproverare una classe politica incapace di trovare accordo sul suo successore e ripartire. In quel momento il consenso personale del Presidente della Repubblica era altissimo, il Giorgio nazionale era visto come figura dignitosa e responsabile nel mezzo di un contesto politico da riformare. Eppure le condizioni straordinarie del suo mandato ponevano già allora interrogativi, suscitando le perplessità di chi immaginava accordi di ogni tipo per convincere Napolitano a restare. Ed in effetti farà a lungo discutere la centralità nei processi politici del Presidente della Repubblica in questi ultimi due anni, sempre pronto a dar manforte all’operato di chi si proponeva di riformare il paese, sempre molto deciso nell’individuare priorità e direzioni. Se pensiamo ai presupposti della riconferma, ovvero lasciare una volta raggiunta una stabilità, l’addio di Napolitano è decisamente ottimista: le sue dimissioni risuonano come un endorsement al premier Matteo Renzi, al quale si riconosce dunque di aver avviato riforme decisive tali da non rendere più necessaria una situazione eccezionale e poter così rientrare pienamente nei vincoli costituzionali. Giustificato o meno che sia l’ottimismo dei confronti del governo e della situazione politica generale, una prima prova sarà proprio la scelta del successore di Napolitano. Il rischio di un ennesimo spettacolo poco dignitoso offerto dalla classe dirigente è altissimo, motivo per cui l’elezione del nuovo capo dello Stato assume i contorni di un esame di maturità. Da superare con slancio.

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