L’Italia vista dal di fuori

Amedeo Tesauro

Il meeting italo-tedesco tenutosi a Torino giovedì e venerdì è servito da pretesto per tante belle agenzie stampa che sostanzialmente non hanno aggiunto nulla alle tante parole già udite in altre sedi. L’incontro, voluto dai presidenti dei due paesi Joachim Gauck e Giorgio Napolitano piuttosto che dai rispettivi governi, è stato così blandamente archiviato come un ulteriore rafforzamento dell’asse Roma-Berlino, snocciolando termini e parole d’ordine usuali: crescita, egemonia tedesca e solidarietà, necessità di riforme, eccetera. Eppure non è certo bastato il confronto torinese per scacciare i cattivi presagi internazionali che nelle ultime due settimane hanno variamente colpito l’Italia: il declassamento delle agenzie di rating che pone il nostro paese a malapena al di sopra degli stati “spazzatura”, le parole del presidente della commissione EU Juncker che ha parlato di riforme necessarie o altrimenti, in quella che è suonata molto più come una minaccia che un consiglio, seguiranno conseguenze spiacevoli. Ovviamente il fronte anti-Europa non ha mancato di lanciare la controffensiva sbandierando i vecchi slogan anticontinentali, tuttavia bisognerebbe, almeno per curiosità, domandarsi cosa vede dal di fuori chi guarda al Belpaese. Non è un caso che le bordate più dure sulle condizioni del paese siano sempre arrivate dall’estero, ovvero da chi è abbastanza lontano da scorgere solo i dati essenziali e evidenti, col risultato che l’Italia vista dal di fuori è terra di inefficienti governanti e di conseguenza pessimi cittadini che li scelgono, il paese dei cambiamenti epocali mancati e soprattutto un territorio di malaffare diffuso e condiviso. Un articolo del New York Times, a firma italiana a dire il vero, prendendo il via dall’inchiesta Mafia Capitale commentava amaramente “che virtualmente non c’è un angolo d’Italia immune dalla penetrazione della criminalità”, avanzando dubbi “sull’abilità dell’Italia di fare riforme e di soddisfare le richieste di responsabilità di bilancio avanzate dai suoi partner dell’eurozona”. A leggere le reazioni, qualcuno si è perfino risentito di una prosa così dura e risoluta nelle sue conclusioni, accusando perfino l’autrice Elisabetta Povoledo dei classici complessi dell’italiano all’estero pronto a sputare sul proprio paese, tuttavia è impresa ardua commentare in modo più rassicurante certi fatti e la generale condizione di un paese la cui “Grande Bellezza” va di pari passo con l’incapacità di svoltare lontano da un baratro sempre più vicino. Le risposte sdegnate di chi non vuole farsi fare la morale dall’estero hanno sempre un fondo di qualunquismo secondo cui in ogni paese, né più né meno, si annida del marcio, eppure non si comprende come ciò dovrebbe giustificare quello in casa propria. Forse che sapere dei problemi di ordine pubblico degli Stati Uniti, delle sue contraddizioni e diseguaglianze, renda le difficoltà italiane meno reali? No, semplicemente rende più facile ignorare l’ennesima critica.