Mercato San Severino: l’artistico presepe di Sant’Antonio

 Anna Maria Noia

Anche per questo scorcio di fine anno, gli alacri e fantasiosi presepisti afferenti alla realtà del convento di S. Antonio al capoluogo hanno contribuito ad allestire il consueto, classico presepe all’interno della struttura; ogni volta questo manufatto cambia, ma sempre in meglio, con nuovi e variopinti particolari, con volute e ghirigori – abbellimenti vari: testardi, i giovani e meno giovani “manovali” della Natività – in tutto sono una decina, tra “fissi” e “occasionali”, ma sempre con entusiasmo – seguono gli insegnamenti dello scomparso Gino Noia, intellettuale della zona e appassionato del “fai da te” presepiale, delle rappresentazioni sacre. Come al solito, per visitare i luoghi più santi della cristianità realizzati dal gruppo di aficionados i curiosi entreranno direttamente nella scena più sfolgorante: una vera e propria “metafora” del “viaggio” che attende il visitatore alla sequela del Divin Bambino. Un “viaggio” – ideale – cavalcando le onde di S. Francesco, che istituì la prima Natività vivente in quel di Greccio (nel 1223-1224), e di S. Gaetano da Thiene, che invece ha dato il la alla tradizione partenopea (le scarabattole e gli attuali personaggi di S. Gregorio Armeno a Napoli), con il pastore Benino o Beniamino (a significare per alcuni la speranza o, secondo altri, l’indifferenza). Tutti i caratteristici scenari della vita infantile di  Gesù sono realizzati con materiali “poveri”, ovvero di riciclo come cartone, ferro, legno, polistirolo. Il complesso è lungo circa 24 metri, sarà percorso in maniera da partecipare all’evento più pregnante della nostra esistenza da reali testimoni oculari, con emozione, commozione, consapevolezza. L’opera viene completata dai ventiquattro preziosi pastori risalenti al ‘700 – custoditi gelosamente dai frati della comunità: padre Giuseppe, padre Mimmo e padre Romeo. Ogni volta il presepe assume una tematica differente: per il 2014 il simbolo riguarda i quattro segni della Trasfigurazione. Come tradizione i “lavori” partono dalla ricorrenza di S. Francesco (4 ottobre); tutto sarà pronto per l’8 dicembre. La meticolosità degli “artigiani” della sacra famiglia si spinge sempre ben avanti; la “congrega dei lavori”  sembra essere infinita poiché il manufatto si arricchisce spesso di vari particolari. Riguardo i segni della Trasfigurazione, sono essi i seguenti: la nascita, o incarnazione; la stessa trasfigurazione; l’Eucaristia e l’Agnello Immolato o morte (la croce). È in fase di elaborazione, invece, un mulino con una ruota che gira e che veicola acqua; questo perché – nelle intenzioni di chi vi lavora – il presepio non è mai abbastanza pieno di caratteristiche. A completare il tutto, un paese incastonato nella montagna, con un gruppuscolo di case e in evidenza l’acquedotto romano. Alla fine del “tunnel” c’è la natività, che si trova al centro dell’attenzione di tutti. La sacra famiglia è allocata in una chiesa antica, diroccata: duplice il senso di questa ubicazione, ad indicare sia la caducità della nostra vita (le rovine) e anche il passaggio (dantesco) da mondo classico a universo cristiano. All’uscita, vicino al chiostro dei frati, in men che non si dica sono state realizzate e poste in tal luogo delle sagome a cura dell’architetto Giuseppe Pizzo: sono pastori ad altezza uomo posizionati a mo’ di adorazione. Il Natale assume dunque un significato più lieto e peculiare, grazie all’impegno costante e disinteressato del gruppo di S. Antonio.