Cui prodest? Vietato parlare dei vizi di Napoli

 Giuseppe Lembo

Il Sud ed in modo particolare  la sua capitale Napoli, la più nordica delle città africane, non finisce mai di sorprenderci. Purtroppo e con tanta umana sofferenza nel cuore non si tratta di sorprese positive, belle da vivere; nella logica disfattistica di un populismo annunciato da sceneggiata napoletana, si tratta piuttosto di inopportune voci contro dei falsi difensori di Napoli, che pensano sia giusto mettere alla gogna o oltre ancora, chi si arroga la libertà di stampa di parlare male di Napoli, mettendone a nudo i suoi tanti vizi che, purtroppo, sul piano del comportamento umano, sono assolutamente superiori alle sempre più evanescenti virtù napoletane. Nonostante questo, il potere costituito di Napoli, coadiuvato da una rete di falsi difensori è impegnato in una vera e propria crociata permanente contro chi parla male di Napoli, mettendone amaramente a nudo i suoi vizi. Ma è veramente questo il più grave problema della Napoli di ieri, di oggi e forse anche di domani? Parlare dei vizi napoletani, denunciandone i danni che rappresentano per la sua umanità di insieme, non è assolutamente un reato di lesa maestà; è piuttosto un opportuno diritto di chi scrive, di chi fa informazione autentica, di chi usa il linguaggio cinematografico, teatrale e/o quotidianamente da web, per comunicare prima di tutto emozioni ed utilizzo delle diversità dei comportamenti. È da qui che si attiva il dinamismo del vivere insieme, un dinamismo mutevole che deve avere come primo obiettivo, il rispetto degli altri, creando così un modello comportamentale che deve saper garantire a tutti una vita se non al massimo della qualità, almeno umanamente civile e rispettosa degli altri.

Questo devono capire e fare i napoletani. È un loro assoluto dovere capirlo e farlo capire.

Il male di Napoli, anche ai fini della sua sola immagine (si dice inopportunamente violata se non addirittura sporcata), non è quello di chi ne parla; è soprattutto di chi lo fa riducendo Napoli nel tempo, la più nordica delle città africane, compromettendone così e sempre più il suo naturale ruolo di capitale del Sud e di città metropolitana centrale a tutto il Mediterraneo.

Così facendo, quali i possibili vantaggi? Gridare agli untori, mettere alla gogna i maldicenti, gufi di una malainformazione e di altrettanto, a loro dire, malapresentazione della “bella Napoli”; tanto che si attardano perdendo tempo a mettere alla gogna i cosiddetti detrattori di Napoli, perché non si adoperano in positivo a trovarne le soluzioni possibili, liberando così la città e la sua gente da un male antico che non ha mai giovato, non giova e tantomeno gioverà in futuro ai napoletani costretti a vivere malamente, condizionati come sono dai tanti mali che, purtroppo, affliggono in modo mortale la più bella città del mondo, contro la quale si sono accaniti contro in tutti i tempi, tanti napoletani del potere costituito, mettendo le mani sulla città e non facendola sviluppare e crescere umanamente come merita?

Questo è il primo e più importante dovere da compiere a chi nei fatti sta concretamente a cuore Napoli e la sua gente.

Continuare con l’inopportuna litania dei “panni sporchi da lavare in famiglia” non serve; non serve soprattutto a Napoli ed alla sua gente il cui obiettivo primario è quello della liberazione dai suoi soffocanti mali, per una rinascita possibile da sempre promessa, ma mai realizzata attraverso il Rinascimento Napoletano.

È sui mali da eliminare che deve intelligentemente rivolgere il suo impegno chi rappresenta Napoli e ne difende la sua immagine a parole, senza fare nei fatti niente di concretamente positivo.

Nascondere i mali di Napoli non è questa la soluzione più utile ed opportuna per cambiare, migliorando così come si conviene, la vita dell’insieme napoletano e di una città colabrodo che, così com’è stata ridotta, non è assolutamente difendibile.

Il degrado, il suo vuoto assordante di legalità,  l’invivibilità diffusa per malessere e crimini di tutti i tipi sono purtroppo parte delle amare realtà della bella Napoli; realtà che non si cancellano, non parlandone; sono realtà che offendono Napoli e ne rendono purtroppo la vita un vero e proprio inferno.

Occorre, cari soloni del falso perbenismo napoletano, rendere vivibile la città-inferno che vi ostinate a difendere così com’è; così com’è è assolutamente indifendibile, tanto da apparire agli occhi di chi viene per godersela, come la più nordica delle città africane, con le sue negatività di confusione, di prevaricazione, di violenza e di assoluto poco rispetto per gli altri, cittadini napoletani o ospiti che siano, tanti dei quali costretti a vivere esperienze così traumatiche da far gridare “mai più tornerò in questo inferno” e prima ancora ad Eduardo De Filippo “jatevenne”.

Quella dei maldicenti di Napoli è una storia che viene da lontano, da molto lontano e si ripete come un copione già scritto ad ogni occasione di messa alla gogna contro chi si permette di parlare male di Napoli; di parlare dei mali di Napoli, parte di quel tesoro napoletano di San Gennaro la cui gestione è solo nelle mani del santo protettore e non di altri, inopportuni profanatori della bella Napoli, di cui non è dato a nessuno in nessun ruolo parlarne male, altrimenti scatta la gogna spregevole basata su di una assolutamente falsa visione delle cose e delle cose di Napoli, così come raccontate, non per farsi male, ma per capire e trovare, magari insieme, una soluzione possibile ai problemi di  lungo corso ed ormai incancreniti a tal punto da essere problemi assolutamente irrisolvibili e come tali causa di un futuro umano sempre più negato.

Il problema della comunicazione che butta fango gratuito sulla bella Napoli, è un problema antico, con un suo percorso da telenovela o meglio dire da sceneggiata napoletana nel tempo, sempre identica a se stessa.

I mali di Napoli, secondo la visione napoletanamente illuminata di chi protesta contestando la veridicità delle cose dette non esistono; sono mali inventati al fine di dare fastidio, di creare problemi a Napoli; di mettere in crisi la sua immagine pura e … bella assai.

Magari fosse così! Purtroppo, è solo una falsa e gratuita giustificazione di chi ne ha le responsabilità e vuole lavarsene le mani cercando di scaricare il tutto su chi parla male di Napoli, facendole, a loro dire, un male da morire, in quanto viene violentata nel suo bel vivere, fatto di bellezze e di umanità napoletana che gode e si sente realizzata vivendo a Napoli, dove c’è la grande falsa gioia di un felice vivere insieme, purtroppo sconosciuto ai detrattori che buttano in modo inopportuno fango gratuito sulla bella Napoli e sulla sua (si dice) inventata inefficienza.

Il Mezzogiorno e con il Mezzogiorno Napoli come ci dice Emanale Felice, parlando del libro di Giuseppe Soriero “Vent’anni di solitudine” è fortemente ammalato di solitudine; una solitudine che uccide e non permette da nessuna parte di trovare le soluzioni possibili ai tanti mali concretamente veri e non stupide invenzioni come dicono i falsi difensori benefattori, per fare un dispetto a Napoli ed ai napoletani: siamo di fronte purtroppo ad una città in forte crisi, sempre più colorita di un folklore di un passato ingombrante da mettere da parte per pensare, così come si conviene, ad un presente che sa guardare al proprio futuro.

Napoli checché ne dicano i suoi tanti buonisti difensori d’ufficio, è una città simbolo, di un malessere senza fine; una città non all’altezza dei tempi nuovi.

Ad aprire nuovamente il dibattito mai scomparso a proposito del folklore di Napoli e del peso che i detrattori ne danno per  parlare male di Napoli, è Galli Della Loggia, a proposito della polemica avviata da Paolo Macry sul nuovo film di Mario Martone dal titolo “Il giovane favoloso” ispirato agli anni di vita napoletana del poeta recanatese Giacomo Leopardi.

Martone, come tanti altri prima di lui, è finito per mano di Macry sul banco degli imputati per il delitto imperdonabile da parte dei fanatici buonpensanti  napoletani di lesa maestà per aver dato una falsa immagine di Napoli; tanto, gettando inopportunamente fango sulla nobilissima città partenopea che, dice il superdifensore di Napoli, proprio non merita un tale ingannevole trattamento, con conseguente grave danno di immagine.

Ma perché, soprattutto da intellettuali, non si è seri fino in fondo? Martone come tanti altri è considerato un infame solo per aver detto le sue sacrosante verità su Napoli.

Perché Macry e lo stesso Masullo intervenuto nel dibattito contro il libero pensiero di Ernesto Galli Della Loggia non mette sottoaccusa, prima di Martone, Giacomo Leopardi che più e più volte si espresse su Napoli ed i napoletani con feroci giudizi, definendoli “semiafricani”?

Per Macry anche il napoletano Mario Martone è un infame, come tutti quelli che parlano male di Napoli, raccontando una verità diversa da quella dei napoletani, fanatici ed estremi difensori senza se e senza ma della grande Napoli, il cui nome, come ha fatto Martone e tanti altri prima di lui, secondo chi lo accusa, è di averlo sporcato volgarmente creando così problemi di credibilità e non solo di immagine, alla bella Napoli.

Ma anche i santoni dell’odierno pensiero unico su Napoli, città da rispettare comunque evitando di parlarne a loro dire male, non si rendono conto che sono pregiudizievolmente dannosi ed inopportuni per il futuro di Napoli e dei napoletani, un futuro che richiede e da subito una diversa morale partenopea e diversi comportamenti umani, assolutamente necessari per cambiare, per non morire di Napoli bella assai, anche se trattasi di una città ormai dal futuro negato.

Caro Paolo Macry, a ben considerare il percorso cinematografico del regista Mario Martone, non è assolutamente colpevole di un uso abusato di stereotipi riguardanti gli aspetti più deleteri di una napoletanità che ormai non ha da dire niente a nessuno, proprio perché ci troviamo di fronte ad un mondo dannatamente stereotipato e come tale senza futuro.

È inutile che i Macry ed i Masullo si agitino più di tanto. Da intellettuali con la loro “bella Napoli” ormai alla resa dei conti, sono fuori tempo massimo, difendendo l’indifendibile di un’immagine stereotipata, di una Napoli ormai a pezzi.

È bene averne consapevolezza; è bene non attardarsi più oltre nel ruolo delle cause perse.

Il populismo maggioritario di Napoli con alla base diverse verità, ancora convinte di poter continuare a sostenere l’immagine mitica di un mondo che ormai non c’è più, è cosa passata.

I tempi dell’inopportuna deplorazione contro Curzio Malaparte (anno 1959) per aver parlato male di Napoli nel suo libro “La pelle”, appartengono ad un passato ormai lontano; altrettanto dicasi della crocefissione mediatica contro Giorgio Bocca per avere osato, secondo il comune pensiero di tanti napoletani, parlare male di Napoli nel suo libro “Napoli siamo noi”.

Ma questi nomi non sono i soli; sono nomi in assoluta buona compagnia; altri grandi come Eduardo De Filippo per Napoli milionaria ed Anna Maria Ortese per “Il mare non bagna Napoli”, hanno subito la stessa triste sorte per volere di un fanatismo napoletano che non ha voluto né vuole toccate le “schifezze napoletane” perché c’è in esse un’identificazione che oltre ad essere parte viva della città, è anche parte del popolo napoletano che vive bene solo se si identifica con la città, anche se, questa volta senza stereotipi è ben visibile come città simbolo della diffusa civiltà della munnezza che passa da un’emergenza all’altra, senza cambiare niente, perché alla gente di Napoli non piace cambiare.

Volendo si potrebbe continuare con altri nomi eccellenti accusati di lesa  maestà per aver osato parlare male di Napoli.

Tra i tanti, anche Pier Paolo Pasolini che nel 1975 sul Mondo, a proposito dei giovani di Napoli scriveva: “Sono diventati quasi tutti dei mostri. Il loro aspetto fisico è terrorizzante … sono maschere di qualche iniziazione barbarica, squallidamente barbarica”.

Mario Martone, altri ed altri importanti uomini della cultura si sono liberamente espressi su Napoli, parlando, come la Ferrante di “partecipazione cosmica”.

Per concludere, non può sfuggire quanto scritto da Benedetto Croce, secondo cui, parlando della sua Napoli un “paradiso” resta tale anche se abitato da diavoli.

Che ne pensano Macry e Masullo? Sarebbe interessante conoscere il loro pensiero su questo illustre stereotipo di vita napoletana.

Caro amico Mario Martone, il tuo è prima di tutto, un bel film. Bravo!  Hai riproposto sullo schermo, con l’arte cinematografica che ti appartiene, un Leopardi assolutamente inedito; un Leopardi che proprio a Napoli riesce a scoprire un se stesso fino ad allora nascosto; tanto, nel contesto di una città pittoresca così com’era all’epoca e con i suoi tanti difetti, lo è ancora oggi.

Quindi auguriamo a “Il giovane favoloso” di Mario Martone tutto il successo che merita, evitando di mortificare inopportunamente la libertà di espressione artistica di un giovane promettente maestro del cinema italiano qual è Mario Martone che è un vero napoletano, ma più oltre è cittadino del mondo che non deve assolutamente scusarsi con nessuno dei napoletani e tanto meno chiedere a Macry e ad Aldo Masullo consulenze antropologiche su Napoli, città dai mille stereotipi, città che soffre e non poco, non riuscendo a diventare metropoli di modernità e di vera e propria civiltà umana; tanto, nonostante i suoi intellettuali pronti a dire la propria, non rinunziando a resistere, almeno una volta nella loro vita di liberi pensatori, comportandosi secondo il prezioso stereotipo di “…. Il silenzio è d’oro”.

Con assoluta umiltà di pensiero ai Macry ed ai Masullo, eccellenze intellettuali riconosciute dagli attuali saperi napoletani ed oltre, con doveroso rispetto, mi permetto a bassa voce, di suggerire di tralasciare le inutili pierinate delle offese napoletane per uso abusato di stereotipi e/o di immagini folkloristiche, che provocano, a loro dire, un grave danno alla bella immagine di Napoli ed alla dignità partenopea inopportunamente e falsamente vittima delle altrui gratuite offese, anche se trattasi di offese (per modo di dire offese) che vengono da lontano e riguardano i nomi eccellenti compresi i tanti napoletani di altri nobili tempi che non hanno messo assolutamente il silenziatore nel dissacrare Napoli, cosa tra l’altro, normalissima e qualche volta anche opportuna e necessaria.

Che significato può mai avere oggi l’offesa maestà della dissacrazione dell’immagine santa di Napoli? Oggi, signori miei, del sacro dissenso contro gli stereotipi napoletani, altre ed altre sono le offese che trafiggono quotidianamente l’ammalato cuore di Napoli!

Altre ed altre sono le tante inopportune e gratuite offese, un vero tradimento per i napoletani, vittime di una insulsa quotidianità dell’apparire che li unisce ai tanti ultimi della Terra, tra l’altro, sradicati del loro passato, compreso quello fatto di stereotipi purtroppo, maledettamente abbandonati sempre più a se stessi, con crescenti difficoltà di vivere e/o semplicemente di sopravvivere.

I mali di Napoli ci sono; sono mali ben segnati sui tanti volti della gente napoletana; parliamone  evitando gli inutili teatrini delle offese napoletane e/o degli stereotipi su Napoli, che Martone ed altri usano per dissacrare tabù; tenerli in vita proprio non giovano al futuro di Napoli e dei napoletani del Terzo Millennio, in un contesto interetnico e multirazziale che sarà sempre più indifferente al folklore napoletano, che suona di risate, ma non certamente di offesa di lesa maestà per la dignità dei napoletani di cui, è questo il cruccio di chi non vuole proprio aiutare Napoli a cambiare, si continua a loro dire, a parlare male mettendole al centro di inutili e fanatiche crociate culturali del Terzo Millennio, un tempo globale che non può assolutamente attardarsi a parlare di folklore napoletano.

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