L’occasione di Renzi
Angelo Cennamo
Dopo i numerosi passi falsi – “passo dopo passo” è l’ultimo slogan dei mille giorni – Matteo Renzi è giunto davanti a un bivio decisivo: entrare nella storia come il modernizzatore di una sinistra tardoberlingueriana, annichilita dalla conservazione di sé, succube di un sindacalismo obsoleto e impermeabile a qualunque forma di rinnovamento, oppure lasciarsi blandire da bersaniani e camussiani per soccombere nel compromesso minimalista di una soluzione di comodo. Stiamo parlando ovviamente del Jobs act, il contratto a tutele crescenti che, nella versione più grintosa e modernista di Pietro Ichino oltre che di Renzi, esclude la reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento non dovuto a ragioni discriminatorie. Il tema è spinoso, lo è sempre stato, e i precedenti, in Italia come all’estero, sono numerosi. I richiami e i paragoni di questi giorni a Margareth Thatcher e a Tony Blair servono alla Cgil e all’ala radicale del Pd a raffigurare il giovane premier come un pericoloso destabilizzatore liberale che scimmiotta la destra berlusconiana anziché seguire i dettami della base. I malpancisti del Nazareno allora si agitano e organizzano la fronda in vista della prossima direzione nazionale del 29 settembre. Renzi sa di non avere i numeri – quantomeno al Senato – per far passare la riforma del Lavoro alle sue condizioni. Sempreché non intervenga il soccorso azzurro di Forza Italia, si capisce. Ma una simile evenienza aprirebbe scenari apocalittici e presterebbe il fianco ad illazioni dal sapore fantapolitico con le quali alcune testate si esercitano già da qualche tempo. Il rischio della scissione all’interno del Pd rimane dietro l’angolo. Del resto, immaginare che quel 41% conquistato alle europee rappresentasse il dato reale di un unico partito, sottovalutando invece la “doppia anima” malcelata e covata all’interno solo per ragioni di opportunismo, sarebbe stato un esercizio miope per qualunque osservatore della politica. Così non era , così non è. La scelta di Federica Mogherini alla Commissione europea, preferita da Renzi ad altri membri del partito, probabilmente più titolati e speranzosi – sia pure estranei al cerchio magico del guascone – aveva già scaldato, nei giorni scorsi, i motori dell’ala più oltranzista e conservatrice in vista delle nuove sfide che di li a poco sarebbero arrivate sul tavolo del segretario-premier. Quel tempo è arrivato: i dati allarmanti dell’economia e dell’occupazione hanno spinto l’UE ad insistere sulle riforme troppe volte rinviate, dall’attuale premier come dai precedenti governi. Riscrivere le regole del Lavoro è in questo momento una priorità ineludibile. Renzi, ricorderete, ne fece un punto cruciale della sua Leopolda, nella lunga galoppata delle primarie contro Bersani e Cuperlo. Il Jobs act ci dirà dunque se il ragazzo di Pontassieve è un vero rottamatore o uno dei tanti leader della sinistra asfaltati dal conservatorismo interno. Ci siamo, Matteo. In bocca al lupo, a te e all’Italia intera.
che il nostro scout abbia deciso di legare il suo destino ad una battaglia della destra italiana è significativo della confusione tipica dei giovani volenterosi che pur di farsi notare le sparano grosse e incoerenti. la cosa ci stà ma non è l’unica da fare e nemmeno, la prima. ma quello che mi sa di presa di giro è che il nostro giovane guascone fiorentino aveva promesso fuoco e fiamme in cento giorni e ora ne chiede altri mille sulla fiducia e sull’allarmismo.
credo che le cose vadano cambiate, non rottamate. credo che insieme alla riforma del lavoro andrebbe riformato il fisco, la scuola, la pubblica amministrazione; andrebbe anche affrontato il problema del sommerso, del precariato e la finanza oltre alla burocrazia.
ma queste cose vanno fatte non annunciate, bisogna darsi dei tempi e non posticipare. sino ad ora non sono riusciti nemmeno a cancellare le province! della giustizia pare che il problema siano le ferie dei giudici.
per dirtela all’inglese un politico normale le cose che dice le fà, un grande politiche fa le cose che si possono fare.
qua sino ad ora oltre agli incontri con l’amichetto rattusone e gli annunci il nostro piccolo scout mi pare che abbia fatto solo delle gran chiacchere.
Purtroppo, in questo paese ci nascondiamo dietro un dito: sicuramente i sindacati saranno vecchi, ecc.ecc. Ma non mi si venga a raccontare che non c’è lavoro per colpa dell’articolo 18, che non si assume per colpa dell’articolo 18 e che non si investe in Italia per colpa dell’articolo 18. Diciamocelo una buona volta: questa è pura ipocrisia. Diciamo, invece, che questo è un paese in cui i liberali presunti non hanno abbassato sensibilmente le tasse alle imprese, quegli stessi liberali che poi hanno raggiunto da una parte la crescita zero, dall’altra hanno accusato per un ventennio gli altri di essere “comunisti” che mettevano tasse anche sull’aria. Venti anni persi rimangono venti anni persi e non sarà certo la rimozione dell’articolo 18 a rimetterci al passo con paesi più evoluti.