Quando la luna di miele finisce…

Amedeo Tesauro
Nella valutazione di programmi politici e riforme da applicare esistono due aspetti a cui prestare attenzione: il primo è l’elemento concreto, la dimensione fattuale di ciò su cui si interviene e dei risultati da portare a casa, il secondo riguarda l’aspetto propagandistico di certe manovre, ovvero dover intervenire in una maniera tale da diffondere un certo messaggio. Banalmente, il massimo che si può ottenere da un’azione politica è che sia al contempo utile ed entusiasmante per chi poi dovrà farci i conti. L’Italia è un paese estremamente suscettibile alla retorica politica, un paese sempre pronto a subire il fascino di certe promesse e azioni esemplari, tuttavia sa anche essere repentino nel suo umore e deciso nello scaricare chi gioca con l’entusiasmo popolare. Matteo Renzi ha messo in scena una strategia politica in cui il lato mediatico è così centrale da portare i maligni a chiedersi quanto in lui ci sia del politico e quanto invece del comunicatore, inteso qui in senso lato e perfino dispregiativo. Dinamicità, velocità, prontezza nell’azione, Renzi ha dato l’impressione di accelerare al massimo per raggiungere i risultati mancati dai precedenti esecutivi. Fa niente che tale accelerazione stesse più nei gesti apparenti che nei fatti concreti, il gioco è riuscito e un reale clima di ottimismo si è diffuso, la luna di miele col paese è durata più di quanto fosse durata per gli altri presidenti del consiglio, estendendosi per mesi e generando un sentimento positivo che ha permesso al premier di mantenere alta la popolarità. Le europee hanno segnato il punto più alto per l’ex sindaco di Firenze, l’incoronazione popolare per un governo non eletto che ne necessitava una, eppure appaiono già ora lontane. Perché quel sentimento positivo non si percepisce più così forte, il piglio “cool” di Renzi passa ora per atteggiamento furbo e compiaciuto, le riforme procedono tra mediazioni che ne modificano i presupposti, qualcosa in altre parole si è inceppato. Il dato negativo di inizio agosto, meno 0,2 di Pil, ha segnato la fine degli entusiasmi facili che avevano animato i primi mesi del governo, così ecco che nella calura estiva inizia per davvero il matrimonio tra il premier e gli italiani. Non che Renzi sia da un giorno all’altro finito, però si apre per lui una dura fase in cui dovrà rendere conto delle promesse fatte e dimostrare che non sono, non del tutto, un bluff. Anzi, per meglio dire, dovrà dimostrare lui stesso di non essere un bluff, l’ennesima buona intenzione a parole che fallisce miseramente nei fatti. Tanto più che Renzi non ha certo evidenziato il basso profilo di un Monti o di un Letta, al contrario Renzi ha subito puntato in alto scalzando quello che già di suo era un governo non eletto, gridando alla necessità di superare la stasi creatasi nell’ultima fase del governo Letta. Mentre l’entusiasmo popolare si attenua, un’altra sensazione emerge in maniera inquietante, la sensazione di essersi giocata l’ultima carta. Propaganda o fatto reale, l’impressione consolidata è che Matteo Renzi fosse una novità da sfruttare, il volto nuovo della politica italiana, uno che avrebbe dominato la scena nei prossimi anni. Vederlo fallire, e dunque aggiungersi né più né meno alla lista di politicanti che non sono stati in grado di gestire il paese (pressoché tutti i nomi dello scenario italiano), significherebbe rigettare il paese nel caos, stavolta privo perfino delle ultime speranze di cambiamento.