Caso Tavecchio: un pasticciaccio brutto all’italiana

Amedeo Tesauro
Fin da subito si era capito che qualcosa non era andata come doveva andare. Carlo Tavecchio, rappresentante della Lega Dilettanti ed in lizza per la poltrona di presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, l’aveva buttata lì con tutta la tranquillità di questo mondo la battuta su Opti Poba, celebre rappresentante di tutti i mangia-banane venuti a giocare in Italia. Dapprima la cosa suscita irritazione, poi il caso esplode e riemergono vecchie dichiarazioni tragicomiche, roba grottesca da commedia all’italiana, sulle donne forse non così handicappate come si credeva a giocare a calcio, forse meritevoli di un progetto dal titolo “Spogliati e gioca”. Ci sarebbe da ridere sul caso Tavecchio, emblema di un’ignoranza teatrale e sfacciata eppur decisa a contare nei piani alti delle istituzioni, non fosse che dati alla mano egli rimane il favorito alla carica per cui concorre. In qualsiasi altro paese che voglia dirsi civile certe dichiarazioni, specchio di una mentalità che definire arretrata è un eufemismo, susciterebbero l’immediata reazione di chi di dovere per far sì che un simile soggetto non si avvicini minimamente ad una carica di prestigio. Perché sì, in fondo è solo calcio si dirà, ma considerando l’importanza del business del pallone e la sua rilevanza a livello mondiale proprio non è possibile chiudere un occhio e parlare di “gaffe”; se l’errore è reiterato allora non è uno scivolone momentaneo, ma indice di una personalità non in grado di ricoprire un ruolo di rappresentanza. Nell’Italia del pallone, però, Tavecchio va avanti per la propria strada con l’appoggio convinto delle parti in causa, malgrado gli interventi più o meno decisi della FIFA, impegnata da anni contro il razzismo, e perfino delle autorità politiche. A voler essere maligni, ma non si sbaglia, Tavecchio è al contempo espressione sia di quel lato becero del calcio proprio di tanti tifosi sia di certo manovrare nei palazzi che rende tutto opaco. La sua candidatura regge perché ha dietro sponsor forti che lo hanno accuratamente selezionato, non deve dunque sorprendere che solo pochi, e con eccessiva calma, lo abbiano scaricato mentre tutti gli altri ne blindino la candidatura. Del resto va ricordato che l’idea di una rivoluzione calcistica, in teoria una rottamazione all’italiana dove deve cambiare tutto per non cambiare nulla, è scattata solo all’indomani del fallimentare mondiale brasiliano. Ovvero: avessimo raggiunto i quarti nessuno se ne sarebbe preoccupato. Con questo spirito è difficile guardare a Tavecchio e non pensare che in realtà il vero marcio stia sotto, in un certo tipo di cultura e di pensiero presente tanto nel calcio quanto nella società tutta. Discorsi ciclici sentiti troppe volte, con l’aggravante che chi li sbandiera ai quattro venti spesso è il primo a contraddirli. Con quale coraggio si accusano i tifosi e si declamano buoni propositi se a sbagliare, per primi, sono coloro i quali dovrebbero dare l’esempio? Nell’Italia del calcio succede questo e molto di più. In attesa della consueta retorica al prossimo coro razzista negli stadi.Foto sportcafè24com