San Pantaleone protettore di Ravello

don Marcello Stanzione

 Il calendario cattolico dei santi ci fa festeggiare il 27 luglio san Pantaleone. Pantaleone nacque all’epoca delle persecuzioni dei cristiani, a Nicomedia nel 283, in  Turchia (attuale Uzmut, sul mare di Marmara), allora capitale della provincia romana di Bitinia e città ricca di attività culturali e scientifiche, in particolare molte prestigiose scuole di medicina: Il padre era un nobile benestante, la madre era una fervente cristiana, per cui Pantaleone apprese i fondamenti della dottrina fin da piccolo. Morta la madre quando era ancora giovanissimo, egli si dedicò con tutto se stesso agli studi e riuscì molto bene proprio nell’arte della medicina. Per questo, l’imperatore Massimiano, che aveva scelto di risiedere a Nicomedia, dispose che Pantaleone diventasse medico di corte, addirittura prima di aver completato gli studi. Fu qui che Pantaleone conobbe il sacerdote cristiano Ermelao, che praticava la fede di nascosto dall’imperatore. Questo fu un incontro chiave nella vita del Santo, perché fu Ermelao ad insegnargli che solo la fede in Cristo può guarire da ogni male e che nessuna malattia si può dire davvero curata nel corpo, finchè non guarisce anche nello spirito. Un giorno Pantaleone vide un fanciullo morto, con accanto la vipera che lo aveva appena morso. Allora pensò: “Ora vedremo se è vero quello che il vecchio Ermelao m’insegna”. Si accostò al fanciullo e gli disse di alzarsi nel nome di Gesù. Sull’istante il fanciullo rinvenne e la vipera morì. Pantaleone, visto il miracolo, si recò da Ermelao chiedendogli il Battesimo. Il buon sacerdote lo tenne con sé per sette giorni, iniziandolo a tutti i misteri della fede. Avvenne poi che un cieco si recò da Pantaleone chiedendogli di essere guarito. Egli impose le mani sugli occhi del cieco e , sempre invocando il nome di Gesù, gli fece recuperare immediatamente la vista. Allora anche il padre di Pantaleone, presente al miracolo, chiese  di essere battezzato. La fama del Santo medico crebbe a dismisura e molto in  fretta, suscitando clamore tra il popolo e molta invidia tra gli altri dottori, che denunciarono l’accaduto all’imperatore, dicendo che Pantaleone era diventato cristiano. Massimiano fece prima catturare suo padre e il cieco guarito e poco dopo anche Ermelao, e tagliò loro la testa. Infine fu arrestato Pantaleone e fu rinchiuso in prigione, dove iniziò l’infinita serie di tormenti che gli furono inflitti, ma che non servirono né a scalfire il suo corpo, tantomeno la sua fede. Fu fatto spogliare nella piazza, legato ad un legno e lacerato con unghie di ferro; gli furono squarciate le carni e bruciate col fuoco; fu immerso nel piombo bollente, annegato in mare, legato ad una ruota e fatto rotolare da una montagna, dato in pasto ai leoni e infine arpionato da uncini avvelenati. Ma niente. In tutti quei tormenti bastava che Pantaleone chiedesse aiuto a Gesù, che subito appariva Ermelao e lo liberava dalla tortura, dicendogli: “quando Dio ti è vicino, non devi temere nulla”. Così, più l’imperatore Massimiano dava spettacolo di atrocità, per scoraggiare i cristiani, più migliaia di persone si convertivano ogni volta, alla vista di leoni che diventavano mansueti,  piombo che si freddava, punte e corde che si spezzavano, lame che non tagliavano e altri prodigi. Alla fine, il giovane e coraggioso medico fu legato ad un  ulivo per essere decapitato e morì nel 305. Ma Dio volle che ci fosse un ultimo grande miracolo, che ancora si rinnova ai giorni nostri. La spada del carnefice, usata per la decapitazione, divenne molle come se fosse di cera e dal suo corpo esanime sgorgò latte misto a sangue. L’albero di ulivo, cui il Santo, rinverdì all’istante e si coprì di frutti, mentre i fedeli presenti raccolsero il sangue del Santo e lo riposero in un’ampolla, oggi custodita nel Duomo di Ravello. Nel giorno dell’anniversario della  morte, il 27 luglio, tutti gli anni, ormai da secoli, il sangue coagulato passa dallo stato solido allo stato liquido, in modo simile a quanto accade nel miracolo di San Gennaro a Napoli. Tra il IX e l’XI secolo i Ravellesi, con Amalfitani, Scalesi ecc., intrattenevano relazioni commerciali straordinariamente intense con l’Oriente e particolarmente con Costantinopoli, capitale dell’Impero e, con Antiochia, capitale della Siria. Questi ricchi signori – principi, che il Boccaccia chiama “uomini ricchi e procaccianti in atto di mercanzia”, secondo la testimonianza di  Guglielmo di Puglia, che scriveva tra il 1090 e il 1111, erano conosciuti in tutto il mondo, “come gente che percorre moltissimi mari… che arreca altrove ciò che è degno di acquisto e ne riporta quanto comprato”. La  gente di Ravello ad una abilità commerciale univa una grande religiosità cristiana, che espresse nella erezione di Chiese e Monasteri in patria e in terre lontane, arricchendoli di opere di arte e di sacre Reliquie. Era allora l’epoca delle grandi Basiliche e della raccolta di insigni Reliquie. La Regina dell’Adriatico, Venezia, con le ricchezze provenienti dall’Oriente, innalzava la Basilica di S. Marco, mentre i suoi mercanti nell’828 l’arricchivano delle sacre spoglie dell’Evangelista S. Marco, trasportate da Alessandria di Egitto. Nel maggio del 1087 i marinai Baresi con alcuni Ravellesi trafugarono il corpo di San Nicola da Mira e lo portarono a bari, dove fu eretta la stupenda Cattedrale, vero gioiello dell’arte romanica.  Non altrimenti Amalfi dal Cardinale Pietro Captano, l’8 maggio 1208, riceveva solennemente il prezioso corpo dell’Apostolo S. Andrea da Costantinopoli. I Ravellesi non vollero essere da meno. L’amore alla loro patria e la fede alla loro Chiesa Cattolica li spinse ad avere la preziosa Reliquia del Sangue di uno dei più gloriosi e popolari Martiri Orientali: S. Pantaleone. Come siano venuti in possesso di tale Reliquia sono da fare solo delle supposizioni più o meno attendibili: o con scambi di doni, o furtivamente o a seguito di saccheggio, dopo qualche guerriglia, che in quel tempo non erano per niente  rare. Non si può qui non riferire anche la tradizione popolare, anche se abbastanza leggendaria. Si tramanda che una pia donna di Nicomedia, raccolto il sangue del martire, l’abbia conservato gelosamente in casa sua. Dei mercanti della Repubblica amalfitana, venuti a conoscenza della esistenza di esso, si adoperavano in ogni modo per averlo; e vi riuscirono. Di ritorno in patria, furono sorpresi da una grande tempesta, che li obbligò a riparare nella rada di Castiglione in Ravello. Fattasi bonaccia, ripresero vela; ma invano, perché e per la prima volta e per la seconda volta più furiosa si fece la tempesta. Pensarono che la preziosa Reliquia volesse rimanere nella loro terra. Il clero e tutto il popolo ravellese scesero in quella rada e con una solenne processione reca dono l’ampolla del Sangue del martire a Ravello che aveva prescelto come sua patria di elezione e di predilezione. La supposizione circa l’epoca indicata, cioè nel X o al massimo nell’XI secolo, trova pieno e reale valore storico, alla luce dell’importantissima notizia, finora da nessuno pubblicata, da me riscontrata nella Sacra Visita fatta dal Visitatore Generale Mons. Sau de Panicolis nel maggio del 1665. Questi, dopo aver visitato ed elencato le varie altre reliquie custodite in questa Chiesa, afferma:”In quo, oh Magnum Miraculum apparet Sanguis quasi recens, adest autentica in Carta Pergameno a Costantino Ravellen. Episcopo, Anno MCXII”. Nel quale (reliquiario) – O grande miracolo – si vede il Sangue quasi di recente sparso, con l’autentica in carta pergamena apposta dal Vescovo Costantino nell’anno 1112”. Testimonianza veramente preziosa, che documenta in questa  Città di Ravello la presenza dell’insigne Reliquia del Sangue di S. Pantaleone sin da quell’anno (1112), che coincide precisamente anche con l’anno della consacrazione di un altare in  onore di S. Pantaleone in Piazza, fatta dallo stesso Vescovo Costantino Rogadeo. Dobbiamo anche precisare che sin dal 1138 troviamo in Ravello una Chiesa dedicata a San Pantaleone; questa era parrocchiale, come  viene attestato da un documento del 1288, unita e concessa poi al Monastero degli Agostiniani.