La tre giorni del calcio italiano

Amedeo Tesauro

Come un enorme caleidoscopio. Tale appaiono i tre giorni che vanno dalla sconfitta della nazionale di Cesare Prandelli al nuovo accordo sui diritti TV siglato dalla Lega Calcio con i broadcaster interessati (Sky e Mediaset). In tre giorni c’è tutto di un sistema che ora, improvvisamente, appare al collasso, da riformare. Da rottamare anzi, quasi che l’onda del rinnovamento generata dall’avventura politica di Matteo Renzi debba ripercuotersi anche sull’interesse più popolare, più amato e discusso, dal popolo italiano. Dapprima il campo: brucia la seconda eliminazione consecutiva al primo turno del torneo più atteso, bisogna risalire alle fallimentari esperienze del 1962 e del 1966 per trovare uno score identico, ma i risultati sono solo la punta dell’iceberg. Nell’esplosione di polemiche delle ore successive e nell’urgenza subitaneamente percepita di una rivoluzione copernicana sta dell’altro, la definitiva consapevolezza di aver raggiunto il fondo dal quale è possibile, si spera, solo risalire. Progetti tecnici sbagliati, giovani italiani visti all’occorrenza come viziati e inconcludenti o al contrario mal gestiti e mal supportati dal sistema, il pallone italiano affronta una crisi totale in cui i discorsi sulla necessità di sviluppare i vivai e le proprie risorse rimangono formule su carta, buone a dirsi ma non ad applicarsi. Volatili alla stessa maniera sono le preoccupazioni di volta in volta espresse per la problematica ultras, anch’essa riemersa in queste ore con l’esito tragico della vicenda Ciro Esposito, morto nella mattinata di mercoledì, quasi a condensare tutte in uno le luci e le ombre del nostro calcio. Sulla questione stadi il punto di non ritorno sembrava ormai raggiunto, contrassegnato da quella finale di Coppa Italia dove un figlio di un camorrista salito agli onori della cronaca aveva dato l’ok per avviare l’incontro (ricostruzione sintetica ripresa dai maggiori giornali internazionali). Il Mondiale poteva però servire da placebo, buono a mettere da parte quella vicenda e andare avanti come se nulla fosse, come del resto si fa da anni (qualcuno ricorda Raciti?) . Perché in Italia se c’è una regola che vale sempre è quella della vittoria: finché si vince si dimentica ogni problema; le vittorie di Spagna 1982 e Germania 2006 fecero la stessa cosa, oscurando in parte le sanguinose conseguenze di vari scandali calcistici. Ecco allora che l’uscita prematura degli Azzurri non funge da cerotto ma anzi allarga la ferita, rivelando a chi non se ne era accorto lo stato del sistema calcistico del paese. A Cesare Prandelli forse va dato atto di aver celato il problema per un po’ raggiungendo una finale agli Europei del 2012 che aveva illuso i meno accorti, salvo poi scivolare nelle pretenziose imposizioni di un codice etico e in una visione politica del suo ruolo (e le sue dimissioni quasi parevano quelle di un ministro dopo una riforma fallimentare). Infine, nella tre giorni che riflette ogni cosa, l’accordo tra Sky e Mediaset sui diritti televisivi, con Sky che avrà tutta la serie A sul satellite e Mediaset che avrà le 8 squadre più importanti sul digitale terrestre. Offerte colossali per un campionato che appassiona ma da tempo ridimensionato, una gara che non è mancata di colpi bassi e interpretazioni discutibili. Una gara in cui non ha vinto chi ha fatto le offerte più alte, ma l’esito è stato frutto di sfiancanti contrattazioni, alla faccia della chiarezza del bando, un pasticcio all’italiana per molti versi. Con simili presupposti, con un modo di fare così propriamente nostro, l’esigenza di rottamare pare allora primaria ad ogni livello, compreso il calcio.

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