Il diritto all’oblio in Rete: nuova frontiera delle garanzie

Amedeo Tesauro

Prima di Facebook, c’era MySpace. E c’è ancora, ma pochissimi se ne ricordano. Fa strano pensare ad un web in cui non domina la creatura di Mark Zuckerberg, eppure soltanto pochi anni fa quello che oggi è il social network per eccellenza (così come lo definiva già nel titolo il fortunato film di David Fincher del 2010), una nazione virtuale di 1,2 miliardi di persone, non vantava i primati odierni. Ancora nel 2008, dati alla mano, MySpace veniva indicato come il social numero uno, primato destinato a cadere rovinosamente in pochissimo tempo di fronte alla semplicità di utilizzo del rivale. Perché tornare a parlare di una piattaforma preistorica? Perché quello spazio dimenticato  e ormai obsoleto si è rifatto vivo prepotentemente con un’iniziativa disperata e a tratti perfino inquietante. Gli ex utenti di MySpace sono stati raggiunti da un e-mail in cui erano presenti loro vecchie foto, a rammentare che sul portale sono tutt’oggi ospitate informazioni ed immagini personali. A metà tra un tentativo di marketing personalizzato e la ricerca d’attenzione estrema di qualcosa sorpassato dal tempo, il memorandum di MySpace ha subito riattivato le polemiche sulla privacy e la possibilità di cancellare la propria “storia” online. Bisogna premettere che tanto sta nell’ingenuità degli utenti, i quali soprattutto nel passato si sono approcciati a certi servizi in maniera superficiale ignorandone i rischi, dimenticando l’irreversibilità dei processi in Rete: ciò che è online diventa pubblico e va a memorizzarsi su qualche server. Agli albori dell’epoca dei social tanti non hanno saputo costruirsi un’immagine pubblica accettabile, troppi tutt’ora fanno un uso della condivisione esagerato tale che risulta poi difficile lamentarsi di certe tracce lasciate al web. Tuttavia ciò non basta a chiudere la questione, difatti si è sviluppato un intenso dibattito sul cosiddetto “diritto all’oblio”, il diritto di ognuno di farsi dimenticare dal web. Di qui la sentenza storica dello scorso 13 maggio, quando la Corte Europea ha stabilito il diritto dei cittadini a sparire dai risultati indicizzati di Google, aprendo dunque le frontiere della cancellazione. Da fine maggio attraverso un modulo è possibile fare richiesta a Google per cancellare i risultati del motore di ricerca, e pare che siano oltre 40.000 le domande già pervenute, un numero massiccio destinato ad aumentare. Allarmismo immediato per la possibilità di riscrivere la storia, ottimismo da parte di chi spingeva per il riconoscimento di tale diritto, la neo-rivoluzione dell’oblio segna una nuova pagina di una questione tutt’altro che chiusa. MySpace ed il suo avvertimento si inserisce bene nel quadro, rammentandoci che il principio base è quello della prudenza, in modo da non doversi pentire di quanto sia rintracciabile su di sé in Rete.