Breve dissertazione sui presunti carismatici e profeti contemporanei- il caso Ironi Spuldaro e Medjugorje

Carlo Di Pietro

 Presunta benedizione e/o folkloristica effusione di un certo spirito

Ritroviamo la parola Carismi 16 volte nelle lettere di san Paolo ed una volta in 1Pietro (4,10). In alcuni casi viene presentata la traduzione (significato generico) di grazioso dono, pertanto possiamo estendere la riflessione anche alla Grazia santificante, come per esempio in Romani 6,23. Oggi la parola è talmente inflazionata, usata a sproposito, che talvolta suscita in alcuni casi derisione, mentre in altri tristezza.

Posta questa breve premessa, allarmati anche dalle tante innovative e temerarie traduzioni della Bibbia che circolano nelle librerie cattoliche ed in alcuni luoghi , la parola Carisma possiede uno speciale significato, ovvero indica un dono soprannaturale concesso ad una persona per vantaggio del prossimo, questo affinché si diffonda correttamente il Vangelo, si edifichi il Corpo Mistico di Cristo. Il Carisma, difatti, è concesso a vantaggio della Chiesa (Cf. 1Cor 12,7; Ef 4,12), non a giovamento di se stessi, ecco perché il sommo san Tommaso parla di «gratia gratis data». Si legge nella Summa Theologiae: «[…] poiché la grazia è ordinata appunto a ricondurre l’uomo a Dio, quest’opera si compie con un certo ordine, in maniera che alcuni ritornano a Dio mediante altri. Di qui i due tipi di grazia. C’è una grazia che ricongiunge l’uomo direttamente con Dio: ed è la grazia (santificante, o gratum facies). C’è poi un’altra grazia, mediante la quale un uomo aiuta l’altro a tornare a Dio. E questo dono viene chiamato grazia gratis data, poiché si tratta di una facoltà superiore alla natura, nonché ai meriti personali: ma poiché non viene concessa per la santificazione di chi la riceve, bensì per cooperare all’altrui santificazione, non viene chiamata grazia santificante. Di essa così parla l’Apostolo: “A ciascuno è stata concessa la manifestazione dello Spirito per l’utilità”, cioè per l’utilità degli altri» (Iª-IIae q. 111 a. 1 co.).

San Paolo ci lascia quattro liste riguardanti i Carismi, ma non ci dice che codesti Carismi sono i soli, né tantomeno ci dice che le varie liste debbano essere concordanti fra loro, dunque egli elenca semplicemente alcuni Carismi così come era opportuno fare. In Romani (12,6-8): «Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi l’insegnamento, all’insegnamento; chi l’esortazione, all’esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia».

In 1Corinzi 12 enumera nove Carismi prima, dopo ne enumera otto (vv. 8-10); in Efesini 4,11 descrive cinqueCarismi. L’enumerazione più lunga la abbiamo in 1Cor 12,4-10: «Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell’unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole».

San Paolo informa i cristiani «riguardo ai doni dello Spirito» (1), affinché essi non «restino nell’ignoranza» (Ivi.). Non chiunque riceve i Carismi, ma solo coloro che «Dio li ha posti nella Chiesa» (28), coloro che prima erano pagani e si lasciavano «trascinare verso gli idoli» (2), mentre adesso non lo sono più. Il battesimo, distruggendo il peccato e infondendo una nuova vita «per l’acqua e lo Spirito» (Gv 3,5), significa e opera l’incorporazione dei fedeli in Cristo; fa di essi delle membra di Cristo, viventi in virtù dello Spirito che in loro abita (Cf. Rom 8,9 ss.). L’unità del Corpo mistico proviene pertanto dall’unità dello Spirito, «anima del Corpo della Chiesa» (sant’Agostino). Tutti bevemmo di un unico Spirito, cioè ricevemmo l’effusione dello Spirito Santo (Cf. Gv 7,37 ss.): alcuni vedono in queste parole il semplice effetto del battesimo, in cui si riceve lo Spirito Santo; ma sembra più probabile che san Paolo alluda ad un’altra effusione dello Spirito Santo, a quella che si ha nella cresima, ovvero che parli dell’eucarestia, nella quale, ricevendo il corpo di Cristo, si riceve per ciò stesso anche «lo Spirito di Cristo» (Mons. Garofalo, commento a 1Cor, Bibbia, vol. III, Marietti, p. 443). Secondo alcuni presunti carismatici contemporanei, molto prossimi agli sciamani oppure ai “pastori” protestanti, Gesù Cristo ricevette lo Spirito Santo solo al momento del battesimo. Si capisce che codesta fantasia è inaccettabile, questo per via dell’Unione Ipostatica (San Tommaso d’Aquino, Compendio della Summa Theologiae, III, q. 39).

Paolo Brosio si commuove per i presunti portenti in un clima dal sapore Pentecostale

La prestigiosa Enciclopedia Cattolica, spiega: «Ogni divisione dei Carismi è piuttosto arbitraria; tuttavia si possono comodamente distinguere in doni di governo, doni di insegnamento e di esortazione, doni di assistenza corporale. Posseggono dono d’insegnamento o di esortazione gli apostoli, i profeti, gli evangelisti, i dottori, i glossolali. I quattro primi servono sempre questo ordine. Gli apostoli nominati da san Paolo tra i possessori di Carismi non sono i “dodici”, ma missionari spinti dallo Spirito Santo a fondare nuove comunità cristiane. Debbono essere vescovi. Nella Didaché, 12, 3, è loro proibito di stare più di due giorni in una chiesa già stabilita, o di chiedere danaro. I profeti esortano i fedeli sotto l’ispirazione dello Spirito; posseggono il discorso di sapienza; non è necessario che rivelino cose future (Cf. 1Cor 14,3). I dottori, come dice il nome, hanno una funzione di ordine prevalentemente intellettuale e posseggono il discorso di scienza. Gli evangelisti non sono qui gli autori dei quattro Vangeli, ma quelli che predicavano il Vangelo nelle chiese già stabilite, forse trattando a preferenza i fatti della vita di Gesù Cristo» (Vaticano, ’51, vol. III, col. 794 ss.).

Il dono delle lingue, da non confondere con le tante contemporanee manifestazioni indefinibili, di cui parla san Paolo, è quello di cui goderono gli Apostoli il giorno della Pentecoste. Consiste nel Carisma di essere compresi da gente di diverse lingue, come se essi avessero insegnato nella lingua di ciascuno. Il glossolalo anzitutto parlava di Dio e veniva compreso da alcuni uditori delle varie lingue. Questi poteva rivolgersi solamente a chi era in grado di comprenderlo, ecco perché san Paolo comanda che il glossolalo non parli ad alta voce e non faccia l’isterico, ma si rivolga, opportunamente, solo a chi poteva capirlo (Cf. 1Cor 14).

L’assistenza corporale si distingueva nel Carisma generoso di aiutare il prossimo con l’elemosina ed in quello taumaturgico per guarire i corpi e per operare altri prodigi. 

Abusiva imposizione delle mani condannata dalla Chiesa

I protestanti di ogni epoca hanno sempre sostenuto che la Chiesa dei primi secoli viveva senza gerarchia ed era diretta solo dai Carismi, ma questa è la consueta fantasia, rilanciata anche dai contemporanei Modernisti, priva di ogni fondamento. «San Paolo, invece, conosce la gerarchia e principalmente l’autorità degli Apostoli, ed egli stesso impartisce regole per l’uso dei Carismi. Gerarchia e Carismi stavano insieme […] secondo il pensiero dell’Apostolo debbano sempre stare insieme nella Chiesa. Infatti alcuni Carismi, come la glossolalia, sono scomparsi […]». (Ivi., col. 795; Cf. .: H. Leclercq, Charismes, in DACL, III, coll. 579-98; B. Maréchaux, Les charismes du Saint-Esprit, Parigi 1921; Rohr, Charismen, in LThK, coll. 838-40; F. Prat, La teologia di san Paolo, I, trad. ital., 7a ed., Torino 1943, nota B. C. Boyer).

Si capisce facilmente perché Dio non concede veri Carismi ad eretici, apostati, infedeli ed ostinati disobbedienti. La Scrittura, difatti, ci parla di «falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci » (Mt 7,15), che «inganneranno molti» (Mt 24,11); anche di «falsi cristi» che «faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti» (Mt 24,24); di «falsi maestri che introdurranno eresie perniciose» attirando «una pronta rovina» (2Pt 2,1). In 1 Giovanni leggiamo: «[…] non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo» (4,1). L’Apostolo dell’amore esorta a non presta fede a questi «falsi profeti», poiché non c’è bisogno di loro: «Colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo» (1Gv 4,4).

Dagli Atti 19 apprendiamo che alcuni soggetti infedeli, definiti «esorcisti ambulanti» (13), presumevano di liberare i posseduti con prodigi, tuttavia il maligno o li aggrediva o si burlava di loro (15-16), questo affinché fosse «risaputo da tutti i Giudei e dai Greci che abitavano a Efeso e tutti furono presi da timore e si magnificava il nome del Signore Gesù» (17). Difatti Dio non conferma con veri segni chi ha «un velo steso sul […] cuore» (2Cor 3,15). 2 Corinzi insegna: «Questi tali sono falsi apostoli, operai fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo. Ciò non fa meraviglia, perché anche satana si maschera da angelo di luce» (13-14). Per mezzo di Cristo, difatti, gli Apostoli hanno «ricevuto la grazia dell’apostolato per ottenere l’obbedienza alla fede da parte di tutte le genti, a gloria del suo nome» (Rom 1,5); oltre l’obbedienza, insegna san Paolo «siete schiavi […] del peccato che porta alla morte» (Rom 6,16); mentre «la fama dell’obbedienza» giunge «dovunque […] saggi nel bene e immuni dal male» (Rm 16,19), con «parole ed opere» per «condurre anche i pagani all’obbedienza» (Rm 15,18), «[…] distruggendo i ragionamenti e ogni baluardo che si leva contro la conoscenza di Dio, e rendendo ogni intelligenza soggetta all’obbedienza al Cristo» (2Cor 10,5). La Chiesa «colonna e fondamento della verità» (1Tm 3,15), difatti, insegna «a santificare le (nostre) anime con l’obbedienza […] per amare sinceramente come fratelli […] gli uni e gli altri» (1Pt 1,22).

 

Arbitraria approvazione di miracoli mai riconosciuti dalla Chiesa

Spiega l’Aquinate che il «dono delle lingue» fu concesso agli Apostoli che dovevano evangelizzare i popoli della terra per due motivi, ed oggi non c’è più bisogno di tutto ciò. Motivo uno: «perché ne avevano bisogno per farsi comprendere»; motivo due: «perché come la confusione delle lingue fu segno dell’allontanamento del mondo da Dio, così il dono delle lingue doveva essere il segno del riavvicinamento del mondo a Dio». Ecco perché, come scrive sant’Agostino, «pur ricevendosi anche oggi lo Spirito Santo, nessuno parla più le lingue di tutte le genti; perché ormai tutte codeste lingue le parla la Chiesa, dalla quale chi è escluso non riceve lo Spirito Santo» (cf. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 176, a. 1 ad 3). Vi furono rarissime eccezioni.

Anche alcuni presunti prodigi che potrebbero sembrare buoni, in realtà sono una manifestazione, seppur celata, di iniquità. Teologicamente si può parlare di «superstizione», poiché in materia di religione il vizio consiste nel non rispettare il giusto mezzo secondo certe circostanze. Infatti il culto divino si può prestare a chi si deve, cioè al vero Dio, «però in maniera indebita», e questa è la prima specie di superstizione (cf. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 92). La Rivelazione e la Chiesa ci insegnano che in contesti ostinatamente prossimi alla superstizione, all’esoterismo, all’occultismo, all’eresia, all’infedeltà, alla disobbedienza ordinaria, ecc … piuttosto che di reali guarigioni si deve parlare di «potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità» (2Ts 2,9 ss.).

La storia della Chiesa dimostra che è molto difficile riconoscere i veri dai falsi carismi. Secondo la dottrina tomistica il vero carismatico ripugna sinceramente di esibirsi, aborrisce la pubblicità, è subordinato pienamente al giudizio ed ai provvedimenti della Gerarchia, non specula (cf. San Tommaso d’Aquino,Summa Theologiae, I-II, q. 111, a. 1; III, q. 7, a. 7).

Presunta effusione di un certo spirito usando un oggetto che crea confusione simbolica

L’imposizione delle mani è quel gesto usato da Gesù, dagli Apostoli e dai primi missionari evangelici per guarire gli infermi, è prescritto nella celebrazione della Messa, nell’amministrazione di alcuni Sacramenti, ed è materia di Cresima e dell’Ordine (Cf. Mt 9,18; 19,13; Mc 10,16; Lc 4,14; 13,13; At 6,6; 8,19; 1Tm 5,22; Cf. Dizionario del Cristianesimo, E. Zoffoli, Sinopsis, Roma, 1992). In numerose confessioni protestanti – es. Pentecostali si fa solamente pericoloso abuso dell’imposizione delle mani da parte dei laici, e si presume di effondere lo Spirito Santo senza avere Ordine. Negli stessi contesti si crede che Gesù abbia ricevuto lo Spirito Santo solo al momento del Battesimo e che possa esistere un battesimo di spirito, privilegiato solo per alcuni. Tutto è pura fantasia. «Gesù volle ricevere il battesimo non per essere santificato dalle acque ma per santificare le acque. Quando Cristo fu battezzato lo Spirito Santo discese sopra di lui in forma di colomba per mostrare che tutti coloro che si fanno battezzare ricevono lo Spirito Santo, purché si facciano battezzare con semplicità di cuore, come è simboleggiato dalla colomba. Cristo ricevette il battesimo di Giovanni per approvarlo e per santificare il battesimo; ma non ricevette il battesimo suo, perché non ne aveva bisogno. Cristo ricevette il battesimo all’inizio del suo ministero pubblico per apparire idoneo a insegnare e a predicare e per mostrare che il battesimo rende l’uomo perfetto, come era lui a quell’età. Quando Cristo fu battezzato, i cieli si aprirono per mostrarci che il battesimo è di una virtù celeste ed è la chiave del regno dei cieli. La colomba che apparve si può ritenere una colomba vera, miracolosamente formata, perché le finzioni mal si addicono al Figlio di Dio, che è la stessa verità. Il battesimo ricevuto da Gesù è l’esemplare del battesimo nostro, che viene dato nella virtù e nell’invocazione della Trinità: perciò, a completare l’esemplare, quando Cristo fu battezzato si fece udire anche la voce del Padre» (San Tommaso d’Aquino, Compendio della Summa Theologiae, III, q. 39).

Spiega il Compendio alla Somma Th, Sasso – Coggi (p. 320-321): «Poiché per l’uomo è naturale riconoscere le verità intellettuali per mezzo di effetti sensibili, lo Spirito Santo, per provvedere sufficientemente alla Chiesa, aggiunse al dono delle lingue e al dono del discorso anche il dono dei miracoli, i quali sono effetti soprannaturali che inducono l’uomo alla cognizione soprannaturale delle verità da credersi.  Cose mirabili possono operarle anche i demoni, ma veri miracoli può operarli Dio solo; di essi Dio si serve o per dimostrare la santità di un uomo o per dimostrare la santità della fede che egli predica, e in questo secondo caso un miracolo può essere fatto anche se la persona che predica la fede o invoca Iddio non è santa».

Sebbene sia innegabile un ruolo del miracolo in altre tradizioni religiose, il cui valore storico può essere ricondotto a leggende e/o frodi e allucinazioni, è solo nella Chiesa che esso viene accolto e normato con precise disposizioni canoniche serie e rigorose (Cf. Enciclopedia Cattolica, on-line, V. Miracolo). Il miracolo, secondo il sommo san Tommaso, è contraddistinto da quattro costituenti: – teologico; – oggettivo; – soggettivo; – scopo. «Il miracolo è in definitiva un evento oggettivo ed empirico, inserito in un contesto di vita soggettivo, relazionale e teologico. Questa essenziale duplice natura è ravvisabile anche nell’attuale procedura ecclesiastica che esamina l’autenticità dei miracoli, che coinvolge una commissione di medici (o altri periti) che valutano l’evento come naturale o meno, e una commissione teologica, che ne riconosce il significato spirituale e teologico» (Ivi.). Una volta riconosciuto il significato spirituale e teologico del miracolo, la Chiesa si pronuncia sulla veridicità dell’accadimento, solo dopo, è possibile parlare di miracolo: «[…] al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio […] Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore» (Ef 4,12-14).

Sensazionalismo ed inganno tipico dei raduni Protestanti

Dice l’Aquinate: «[…] il Signore parla dei miracoli che avverranno al tempo dell’Anticristo; e a detta dell’Apostolo, “la venuta di costui avrà luogo per opera di Satana, con ogni virtù e segni e prodigi bugiardi”. In proposito sant’Agostino scrive: “Ci si può domandare se questi segni e prodigi sian detti bugiardi perché egli ingannerà i sensi dei mortali con dei fantasmi, così da sembrare che faccia quello che non fa; oppure perché, pur essendo veri prodigi, essi porteranno alla menzogna”. Veri però son detti, perché si tratterà di cose vere: come i maghi del Faraone produssero vere rane e veri serpenti. Ma queste cose non saranno dei veri miracoli; perché avverranno per la virtù di cause naturali, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. Invece il compimento dei miracoli che si attribuisce a uno dei carismi, avviene per la virtù di Dio, e a vantaggio degli uomini» (IIª-IIae, q. 178 a. 1 ad 2); «Il compimento dei miracoli è attribuito alla fede per due motivi. Primo, perché è ordinato a confermare la fede. Secondo, perché deriva dall’onnipotenza di Dio, sulla quale la fede si appoggia» (IIª-IIae, q. 178 a. 1 ad 5).

Spiega perché molti imbroglioni – o superbi, o isterici, o soggetti ingannati dal maligno – sembrano fare miracoli: «Tra i miracoli ce ne sono alcuni che non sono veri miracoli, ma giochi d’immaginazione, con i quali l’uomo viene ingannato così da vedere quello che non è. Altri invece son fatti veri, ma non hanno vera natura di miracoli, perché sono compiuti mediante la virtù di cause naturali. E questi due tipi di miracoli possono essere compiuti dai demoni, come sopra abbiamo detto. Invece i veri miracoli non possono essere compiuti che dalla virtù divina: è Dio infatti che li compie a vantaggio degli uomini. E ciò per due motivi: primo, per confermare la verità predicata; secondo, per mostrare la santità di una persona, che Dio vuol proporre come esempio di virtù. Nel primo caso, i miracoli possono essere compiuti da chiunque predichi la vera fede, o invochi il nome di Cristo: e questo lo possono fare talora anche gli iniqui. E quindi anch’essi possono compiere miracoli di questo genere. Ecco perché, commentando quel passo evangelico, “Non abbiamo noi profetato nel tuo nome…?”, San Girolamo afferma: “Profetare, compiere miracoli e cacciare i demoni, talora non si deve al merito di chi lo fa: ma si deve all’invocazione del nome di Cristo, affinché gli uomini onorino Dio, per la cui invocazione si compiono sì grandi miracoli”. Nel secondo caso i miracoli possono essere compiuti solo dai santi; la cui santità viene dimostrata dai miracoli che vengono compiuti, sia durante la loro vita, sia dopo la morte, o da loro stessi, o da altri. Si legge infatti nella Scrittura, che “Dio operava miracoli per mano di Paolo: al punto che prendevano asciugatoi e grembiuli stati sul corpo di lui e li mettevano sui malati, e sparivano le loro infermità”. E in tal senso niente impedisce che un peccatore possa fare dei miracoli con l’invocazione di un Santo. Ma questi miracoli non sono fatti da lui; bensì da quelli per la cui glorificazione vengono compiuti. […] I miracoli sono sempre testimonianze vere di ciò che son chiamati a confermare. Perciò i malvagi che insegnano una falsa dottrina non compiono mai veri miracoli a conferma di essa: sebbene talora siano in grado di compierli a gloria del nome di Cristo, che essi invocano, e in virtù dei sacramenti che amministrano. Invece gli iniqui che insegnano la vera dottrina, possono fare talora dei veri miracoli a conferma di essa, ma non quali testimonianze della propria santità. Di qui le parole di sant’Agostino: “È diverso il modo di far miracoli per i maghi, per i buoni cristiani, e per i cattivi cristiani: i maghi li compiono in virtù di patti privati con i demoni; i buoni cristiani in virtù della giustizia pubblica; e i cattivi cristiani mediante i segni di questa giustizia”. Come dice bene sant’Agostino, “il dono dei miracoli non è conferito a tutti i santi, perché i deboli nella fede non cadano nel pericolosissimo errore di credere che codesti prodigi sono superiori alle opere buone, con le quali si acquista la vita eterna”» (IIª-IIae, q. 178 a. 2 co.; ad 3; ad 4).

Ecco perché è fondamentale il giudizio della Chiesa. Senza il discernimento dell’Istituzione preposta alla salvaguardia delle anime, al massimo si può parlare di «realtà viva [che] oper(a) con uno strumento morto, come l’uomo col bastone» (IIª-IIae, q. 178 a. 2 ad 2). Nulla di più! Giudizio che, per esempio, a Medjugorje non hanno mai voluto accettare , precipitando nel baratro dello scisma de facto, dove l’Istituzione è costantemente vituperata dall’abuso di religiosi disobbedienti, disuniti dal Governo, e di laici creduloni, sovente ingannati, ed in cerca del sensazionale o del beneficio soprattutto di ordine pratico; dove il Magistero della Chiesa e tutti i Decreti legislativi passano in secondo piano, surclassati dai «venti di dottrina» e dalle pratiche pentecostali di odierni aruspici; dove si divulgano migliaia di testi dichiaratamente nemici dell’Imprimatur; dove divampa un’esegesi grossolana, prossima all’eresia, ed offensiva per i Padri e per la Chiesa stessa ; ecc…. In questa dinamica, anche le tante conversioni, permesse dalla misericordia di Dio per iniziare un vero cammino di fede, restano cristallizzate nel rozzo costume neo-pagano e nella medesima empia dottrina, nella più insidiosa prossimità alla divinazione, in un habitat fatto di tanta ambizione e dimentico dei principali doveri cristiani. «Extra ecclesiam nulla salus»! Che fare? Prendere coscienza umilmente dei tanti errori che come pestilenza minano la fede (Cf.Pascendi), ringraziare Dio per la grazia della conversione ricevuta e per le eventuali ulteriori grazie (attuali), rientrare nei ranghi della fede cattolica, così come è previsto dal documento veramente ecumenico «Mortalium Animos», e cominciare a studiare il Catechismo Maggiore, impegnandosi ad esercitare le virtù cristiane, quantomeno negli intenti.