Dieci anni di Facebook, la rivoluzione social

Amedeo Tesauro

È il 4 febbraio 2004 ed online arriva un sito destinato a cambiare la faccia di Internet e della società tutta, divenendo sinonimo della rivoluzione social che nel giro di poco tempo muterà i rapporti tra le persone: nasce Facebook. Lo spunto basilare è l’annuario dell’università, un libro pieno di facce appunto, e da quella intuizione di Mark Zuckerberg si origina l’epopea della piattaforma sociale per eccellenza, una cavalcata alla conquista del mondo già celebrata da Hollywood  nel pluripremiato The Social Network nel 2010, poco più di un lustro dopo la nascita del sito. Un’estensione spaventosa, virale, la rete social di Zuckerberg aggancia utenti su utenti e si identifica col boom di Internet degli anni 2000, un boom non legato più a soluzioni tecniche avanzate ma a una ridefinizione delle situazioni interpersonali, un nuovo concetto di interazione e di condivisione destinato a entrare così radicalmente nelle persone da segnare uno spartiacque dal quale non si torna indietro. Oggi Facebook conta più di un miliardo di iscritti, virtualmente la quarta nazione al mondo, è una società quotata in borsa e Zuckerberg è un giovane miliardario che a meno di trent’anni potrebbe godersi la pensione. Eppure questa è solo la storia aziendale, legata a persone e cose, la rivoluzione sociale è altro rispetto alle vicende di un giovane miliardario e della sua piattaforma, la cui sopravvivenza non deve essere data per scontata. Già, perché non in pochi ipotizzano che la piattaforma possa subire la sorte di altri celebri sistemi di comunicazione, spariti e dimenticati al sorgere delle nuove novità. Chi si ricorda di Myspace? Nel 2008 era il social network più diffuso al mondo con un valore di mercato di 12 miliardi di dollari. Due anni dopo valeva solo 35 milioni di dollari, surclassato proprio da Facebook che ne aveva “rubato” gran parte dell’utenza. In un mondo che corre veloce, dove l’obsolescenza non è soltanto tecnica ma anche legata all’interesse del momento, non è escluso che Facebook presto o tardi possa non essere più il social di riferimento; una ricerca dell’Università di Princeton ha considerato Facebook come una malattia applicando i modelli di diffusioni epidemici, arrivando alla conclusione che l’epidemia in questione “guarirà” entro il 2017, a quel punto Facebook verrà man mano abbandonato. Del resto la rivoluzione degli smartphone ed i servizi di messaggistica istantanea sono la nuova frontiera con cui confrontarsi, un avversario difficile che minaccia le abitudini consolidate da Facebook introducendone di nuove. Eppure, al di là della sopravvivenza della creatura di Zuckerberg, la rivoluzione social continuerà ed evolverà sempre più. Non si torna indietro come si diceva, con buona pace di chi rileva il rischio per la privacy e di chi non ha mai avuto voglia di condividere nulla in rete. Abbiamo ormai imparato ad essere connessi l’un l’altro, accettato di essere tracciati in cambio della possibilità di mantenere i contatti, ci siamo abituati alla comodità di rintracciare qualcuno con un click e i più svegli hanno perfino compreso come curare la propria immagine virtuale. Possibilità, rischi, opportunità che soltanto un decennio fa sembravano stranianti e che oggi sono pura normalità.

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