Rivincita del mondo reale sopra quello virtuale?

Giovanna Bergamasco

In questi giorni viene proiettato un film “Disconnect”, thriller di alto spessore drammatico e che ha per tema il paradosso dell’incomunicabilità proprio nell’era dei social network, che invece vorrebbero aspirare a una comunicazione addirittura globale per uscire fuori dalla solitudine che caratterizza il male principale dei nostri giorni. Nel film in questione è la famiglia ad essere nel mirino di un social network, la famiglia i cui membri sembrano essere incapaci di reciproco ascolto al punto da divenire sempre più estranei gli uni agli altri. La storia dei nostri tempi recenti è piena di situazioni sconsiderate e pericolose prodotte da un uso irresponsabile di questo mezzo di comunicazione che inesorabilmente ha finito con il prendere la mano e gettare anime desolate allo sbaraglio. Così alcuni ragazzini del film, superficiali e cattivi come solo i ragazzi molto giovani sanno essere talvolta con i loro compagni più fragili, buttano in pasto alla rete un loro coetaneo, spingendolo al tentativo di suicidio. Spesso simili storie drammatiche ci vengono annunciate dai telegiornali, ma noi siamo ormai tristemente fagocitati dalle notizie che ci seppelliscono giorno dopo giorno, da non avvertire quasi la loro effettiva consistenza nella vita reale. Sono fatti che capitano agli altri, noi ne siamo immuni, pensiamo. Ma poi ecco un film come questo, girato magistralmente da Alex Rubin, che ha invece la potenza di scuoterci nel profondo come se partecipassimo tutti in diretta a quanto accade agli altri e finissimo con l‘essere incorporati nelle loro tragedie. Perché infatti non soltanto i giovanissimi adoperano in maniera imprudente i social network ma anche gli adulti. Ecco però qualcuno avvertire l’assurdità di una vita che si svolge senza conoscere nulla dell’altro incontrato in rete e al quale si finiscono con l’affidare i temi più riposti e dolorosi della propria anima. E dal bisogno di questo qualcuno, di stringere cioè la mano e guardare negli occhi la persona che si sceglie di avere come amico, è nata a Bologna SOCIAL  STREET  FONDAZZA  per merito dell’idea  di un suo residente, Federico Bastiani. Bastiani ha deciso di sfruttare il social network, Facebook, per partire dal virtuale e giungere al reale, mettendo in contatto i cittadini della zona per condividere le problematiche legate al loro quartiere ma soprattutto per socializzare, dando il via a rapporti di buon vicinato. La social street sta riscontrando grande successo anche in altre città italiane. E poi c’è lo “speed date” importato in Italia dagli Stati Uniti e che è un mezzo per conoscere persone del sesso opposto. Lo speed date viene organizzato in locali conosciuti e alla moda in varie città e spesso  ha un numero di iscrizioni chiuso, proporzionato al tempo in cui i partecipanti sono fatti sedere uno di fronte all’altro, in una fila di tavoli: gli uomini disposti in una fila e le donne in quella opposta, mentre iniziano a parlare per cercare di conoscere e farsi conoscere in un limite di tempo prestabilito. Una volta terminata la serata, ogni partecipante indica sulla propria scheda il confronto che gli è risultato più gradito: lo staff raccoglierà le schede e verificherà quali incontri hanno avuto reciproco consenso tra i partecipanti. In questo caso, entro 24 ore, sarà inviata una mail o un sms alle persone interessate indicando i recapiti ed i nomi di coloro con i quali è scoccata la scintilla. Seguendo questi due recenti esempi, viene da chiedersi se non si tratti di timidi segnali a proposito del fatto che si sia divenuti saturi di un mondo principalmente virtuale e sia un nuovo inizio per tornare ad essere “umani”, senza più lasciarsi deviare da false astrazioni e inconsistenti realtà. Almeno è quanto si spera. Ma può darsi che ormai si sia talmente in balia di internet da non saper distinguere tra, l’utilità effettiva del progresso raggiunto tramite la sua conoscenza  che ha aperto spazi di orizzonti altrimenti sconosciuti; e ciò che, al contempo, sta a rappresentare l’alienazione dell’individuo in un qualcosa che non faccia più parte della vita reale. Alienazione determinata dal fatto che l’individuo non crede più nella società in cui vive e, allo stesso tempo, è cosciente di non avere le armi giuste per lottare ogni giorno e riuscire a riscattarla. Ed è in questo contesto di generalizzata impotenza che sia i giovanissimi, così come gli sfiduciati adulti, finiscono con l’affidarsi a incontri dai profili ingannevoli, simili un poco alle maschere che nel settecento coprivano il viso dei damerini e delle dame mentre danzavano. Anche allora il volto sotto la maschera nascondeva principalmente la noia di un’esistenza poco esauriente, quella stessa noia che ugualmente oggi ha origine dall’enorme vuoto dell’anima a causa di una vita che ha perduto il gusto del confrontarsi tra persone reali e riuscire così a migliorarsi,  ma soprattutto crescere.