Renzi e Meloni gemelli diversi

Angelo Cennamo

Giorgia Meloni ha due anni meno di Matteo Renzi. Nel 2006 ha ricoperto la carica di vice presidente della camera e nel 2008 quella di ministro della gioventù nell’ultimo governo Berlusconi. Tre anni dopo, è stata tra i fondatori e leader di Fratelli d’Italia, partito nato dalla scissione ( la seconda dopo quella di Fini) dal Pdl. In un Paese gerontocratico come l’Italia pochi politici possono vantare un siffatto curriculum a soli 36 anni d’età. Eppure la Meloni, inspiegabilmente, non riesce a comunicare alla vasta platea degli elettori, neppure a quelli esclusivamente di centrodestra, la stessa freschezza e la propensione al rinnovamento del sindaco di Firenze, protagonista assoluto di questi giorni, festeggiato e celebrato da tutti i media, nazionali ed esteri. Per quale ragione? La Meloni è cresciuta nelle giovanili di Alleanza Nazionale divenendone leader poco più che adolescente. Ha frequentato e militato nelle gloriose stanze delle sezioni che un tempo appartennero al Msi di Giorgio Almirante ( non a caso suo omonimo). E’ stata allevata secondo i principi e i valori della destra post missina, prima ancora di debuttare nella classe dirigente del berlusconismo. La lunga gavetta di partito e nel partito, Giorgia l’ha conosciuta tutta. Si è affacciata alla politica nei postumi della prima Repubblica ed ha attraversato la seconda al fianco di Fini e di Berlusconi. Tanto che la sua immagine, per quanto simile a quella di una ragazzina, non può essere scissa da quella dei suoi maestri e capi carismatici. Ne consegue che al cospetto degli elettori Giorgia appare sì giovane, ma non nuova. Ecco allora il punto : Renzi non vince perché ha soli 38 anni ma perché incarna la novità. Non ha un passato democristiano ( tutt’al più di boy scout), né post comunista. Non ha legami diretti con l’Ulivo di Prodi avendo fatto fino ad oggi l’amministratore locale, prima alla Provincia poi al Comune di Firenze. Non solo, ma quando sale sul palco per comiziare, il guascone fiorentino  non risparmia bordate alla vecchia classe dirigente del Pd accusandola delle peggiori nefandezze insieme alla destra. A differenza della Meloni, che ha vissuto il berlusconismo in prima persona, nessuno può additare Renzi come corresponsabile, neppure tra le seconde linee, dei fallimenti della sinistra. Renzi non ha fatto niente, né di buono né di cattivo; è il suo limite ma anche la sua forza. Può dire : io non c’ero, e guadagnarsi così il beneficio del dubbio, perlomeno. Giorgia invece c’era, e per questo rimarrà impigliata nel declino inesorabile del grande capo.  (Angelo Cennamo)