Pd: Primarie accorsate?

Amedeo Tesauro

Si consuma un rito tutto americano da qualche anno riproposto anche in Italia. Si parla naturalmente delle primarie di partito, operazione attraverso cui il Partito Democratico sceglierà il proprio segretario. Si tratta di una data importante in quanto dovrebbe segnare, salvo clamorosi sconvolgimenti, l’arrivo di Matteo Renzi in cima al PD, con tutto ciò che ne consegue. Bisogna innanzitutto chiedersi se tale eventualità rappresenti una minaccia per il governo di larghe intese, ora che i conti vanno fatti con cautela dopo l’abbandono della coalizione al comando da parte di Forza Italia. In secondo luogo va sottolineato il distacco tra la tradizione storica del PD, e quindi Margherita/Ulivo e alla lontanissima anche dal PCI di cui un ex segretario come Bersani era dirigente, e l’attuale sindaco di Firenze. Poi c’è la questione numeri, ovvero in quanti decideranno di partecipare alle elezioni di partito recandosi al seggio, una questione che è il vero cuore di tutta l’operazione. Pippo Civati ha parlato di fallimento in caso alle urne non si presentassero almeno un milione e mezzo di persone, stabilendo un traguardo che dà consapevolezza di quello che è l’obbiettivo vero di ogni competizione elettorale del genere: richiamare il proprio bacino elettorale. Più che all’elezione del singolo nome, infatti, le primarie servono a riavvicinare la gente coi propri politici, che idealmente mirano a compattare le forze attorno a un uomo per l’offensiva alle nazionali. In America, dove le primarie spesso sono più avvincenti della lotta per la Casa Bianca, le votazioni interne al partito danno la spinta al candidato eletto, costruendo il percorso e l’immagine dell’uomo scelto. In Italia le primarie per il candidato premier del PD dell’anno scorso fecero segnare un picco di interesse e di consensi per il partito allora capeggiato da Bersani, un successo tale che in maniera suicida il PD scelse di rinunciare alla campagna elettorale vera e propria, convinto di aver già la vittoria in tasca. Le primarie sono momento di aggregazione del popolo politico, chiamato sì a esprimere la propria preferenza, ma soprattutto invitato a partecipare numeroso al di là del nome scelto. Ed il momento non potrebbe essere migliore, considerando che i movimenti politici dall’altro lato, nonché le vicende giudiziarie dell’eterno avversario Berlusconi, hanno mobilitato l’elettorato ex pidiellino facendo passare la coalizione di centrodestra di poco avanti nei sondaggi, stabilendo un equilibrio sostanziale che in ogni caso non garantirebbe governabilità (seppur in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale vi sia ora la necessità di inventare una nuova legge elettorale). Parallelamente a tali aggregazioni il Movimento 5 Stelle, sempre presente ma giocoforza all’ombra delle larghe intese, ha organizzato un nuovo V-Day, decisamente meno d’impatto dei precedenti. Anche qui l’intento vero è riorganizzare le truppe così da mostrare la propria forza, esibendo i muscoli prima della battaglia elettorale vera e propria. Mentre il governo cammina sui carboni ardenti, governanti e opposizioni si preparano ad un voto che ha i contorni del miraggio, perseguendo in una guerra di trincea che proprio perché sfiancante necessita di tanto in tanto di una chiamata alle armi dei propri elettori.