Cambia il Padre Nostro

di Rita Occidente Lupo

Il nostro tempo, frettoloso ed altero, ruba scarsi spazi alla meditazione ed alla preghiera. Soprattutto quest’ultima, cenerentola di giorni stressanti, allorquando pare che sia sempre l’ultima incombenza a sovrapporsi al bisogno dello spirito, di ritrovarsi in raccoglimento spirituale. Spesso, relegata al latente tempo libero, tra assedianti interrogativi, su modalità e scopi. Su richieste ed intenzioni. Ognuno l’esprime e s’esprime come crede. Chi opta per la soluzione spontanea e chi per un rigido formulario. Chi per una coralità e chi per spaccati solitari. Chi tra silenti pareti domestiche e chi in edifici di culto metropolitani. Propensi maggiormente alla supplica, per ottenere, che alla lode, per ringraziare, quando non s’ottiene quanto richiesto, dubbi assedianti sul contenuto orale o sulla pratica. Perfino sulle parole o meditazioni da adottare, per far sì che “il chiedete ed otterrete” sic et sempliciter, come al tocco della bacchetta magica della fata turchina, possa concretizzare quanto agognato. Per antonomasia, il Padre Nostro, insegnato da Cristo stesso, resta autorevole preghiera. “Quando pregate dite semplicemente “Padre Nostro, che sei nei cieli…” Nel tempo, svariate discussioni teologiche. Specialmente nella seconda parte. Recentemente anche la Conferenza Episcopale Francese l’ ha “aggiornato”, modificando la traduzione nella parte finale. Da “Non c’indurre in tentazione” a “Non ci lasciar cadere in tentazione”. Una rivisitazione, dal lontano 2004, allorquando sembrò affidata troppo al libero arbitrio la prima versione. Pertanto, ai porporati francesi e non solo, apparso più efficace “Non ci lasciar cadere in tentazione…” La traduzione, seppure dal 22 novembre nel Messale francese, non utilizzata immediatamente: pensata per incoraggiare l’ecumenismo con ortodossi e protestanti, soltanto in un secondo momento si sovrapporrà alla pregressa. Anche a preludio dei riti di Comunione, nella liturgia eucaristica. La querelle, sul verbo, “inducere”, usato da San Gerolamo nella Vulgata.  Che pose mano alla Scrittura, dal greco antico, al latino di Roma imperiale. Tradotto come “indurre” in tentazione, più chiaro come “non ci abbandonare/non ci lasciar cadere” nella tentazione. La variante, non alterante il testo della preghiera, similare alla modifica voluta da Benedetto XVI: nell’aprile 2012, Ratzinger autorizzò i vescovi tedeschi alla nuova versione della preghiera eucaristica, apportando la traduzione da “per tutti” a “per molti”. Per far sì che il Pater permanga il best seller dell’anima orante!