Quando la pubblicità è cattiva pubblicità: i “guerrieri” dell’Enel

Amedeo Tesauro

I telespettatori più attenti avranno sicuramente notato gli spot pubblicitari dell’Enel che in questi giorni hanno invaso il piccolo schermo. Si sta parlando della campagna che in toni epici si rivolgeva ai “guerrieri” del quotidiano, dallo studente fino all’operaio in modo da coinvolgere tutta la classe popolare, i quali mandano avanti la propria routine, la propria “battaglia”, supportati dall’energia marca Enel. L’idea era di affiancarsi all’Italia che lotta ogni giorno di fronte agli imprevisti del quotidiano, tema d’effetto in particolari in tempi di crisi economica in cui bisogna impegnarsi per andare avanti. Non è certo la prima azienda che tenta di cavalcare l’attualità per convincere della propria bontà il consumatore, tuttavia la campagna in questione si è trasformata in un clamoroso passo falso che ha assunto le proporzioni di una vera e propria figuraccia. La pubblicità invitava infatti i “guerrieri” ad andare sui social network a raccontare la propria storia, la propria lotta giornaliera, così da partecipare al concorso per vincere delle bici elettriche. Gli utenti sono sì andati su Internet, ma hanno sfruttato lo spazio a loro disposizione per attaccare l’azienda nei modi più disparati: c’è chi ha rinfacciato all’Enel la bolletta più cara d’Europa, chi ha accusato di ipocrisia, chi ha ricordato le lotte del consorzio energetico contro le fonti alternative, eccetera. Un boomerang, con una costosa campagna divenuta nel breve fonte di ilarità generale, nonché clamorosa dimostrazione del progresso. Sono passati i tempi in cui la TV diffondeva la pubblicità senza che il telespettatore potesse protestare, oggi quello stesso telespettatore va in Rete a burlarsi della pessima pubblicità, portando discredito all’azienda. Agli utenti, sempre pronti a rivangare i dissidi causati dai propri operatori (telefonici, energetici, televisivi, ecc.), una campagna simile si rivela come fenomenale possibilità per mettersi in mostra, fuori dalle logiche previste dall’azienda. Uno spazio in cui finalmente farsi ascoltare sul serio, consci della grandiosità del palcoscenico e dell’eventuale risonanza che un movimento di massa può causare. Del resto siamo in un’epoca in cui ogni cosa viene valutata, in cui la qualità inizia ad avere un peso sulla quantità, sperare dunque di arruffianarsi i consumatori fingendosi vicini a essi è sembrata un’irritante presa in giro: i“guerrieri” del quotidiano, a quanto pare, non ci stanno. Di fronte a un caso simile non resta che constatare il cambiamento di prospettiva: oramai non è vero che ogni pubblicità sia una buona pubblicità, il “basta che se ne parli” si scontra con una realtà mutata in cui ottenere l’attenzione non è difficile, soprattutto per le grandi aziende, ma far sì che questa permanga e sia positiva è un’impresa.

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