Suor Maria Colomba Leonardi e la corona angelica

don Marcello Stanzione

Fin dai primi tempi fu coltivata nel monastero carmelitano di Vatralla una particolare devozione all’Arcangelo San Michele, praticata per mezzo della recita della Corona angelica: è costituita da nove salutazioni, corrispondenti ai novi cori angelici, intercalaste da un Pater e tre Ave; alla fine si aggiungono quattro Pater in onore di ciascuno dei tre arcangeli e del proprio angelo custode. Tale forma di devozione viene dal Portogallo. Si dice che San Michele l’abbia rivelata alla sua devota Antonia d’Astonaz, a cui promise che, chi l’avesse recitata avanti la comunione eucaristica, avrebbe avuto per compagno in questo atto un angelo di ogni coro angelico. Inoltre chi la recita quotidianamente otterrà in vita l’assistenza di San Michele e dei santi angeli; e dopo la morte , la liberazione dell’anima sua e dei suoi parenti dalle pene del purgatorio. Non si sa come questa devozione sia arrivata al monastero, ma è sempre stata molto praticata; e il monastero stesso se n’è fatto propagatore. Nel 1851 le monache la fecero indulgenziare dal papa Pio IX: una religiosa, di nome sr. Marianna Felice, chiese l’aiuto del proprio fratello, impiegato presso il Governo Superiore. Superate varie difficoltà, il Sostituto della Sacra Congregazione dei Riti, Mons. Domenico Giglio, in data 6 agosto 1851 risponde a suor Marianna Felice, il cui fratello aveva fatto istanza, che Sua Santità si riservava di osservare e conoscere il modello della Corona e ha rimesso la revisione, approvazione e le annesse indulgenze alla Sacra Congregazione dei Riti per sua espressa volontà. L’8 agosto il card. Luigi Lambruschini, prefetto della Congregazione, firma il decreto di approvazione, in cui sono specificate le indulgenze sia parziali che plenarie. Lo stesso 8 agosto il Segretario della Congregazione, Gasparo Fatati, scrive in via privata alla suora, dandole la bella notizia che il papa aveva concesso tutte le indulgenze richieste, dopo una prima decisione di concederne soltanto in parte; ed egli stesso aveva visto il decreto firmato dal cardinale Prefetto. Anzi le anticipa la conoscenza dello stesso decreto, traducendoglielo per esteso dal latino. Inoltre per sua soddisfazione le invia il libretto, contenete la storia, la forma della devozione approvata e le indulgenze annesse, perché lo possa vedere subito; e aggiunge che lui stesso passerà fra giorni al monastero per ritirarlo e presentarlo quanto prima al maestro dei Sacri Palazzi per la necessaria approvazione prima che sia dato alle stampe. Successivamente le monache chiedono al Santo Padre che le indulgenze, già concesse, siano applicabili ai defunti; e il card. F. Arquini, Prefetto della Sacra Congregazione delle Indulgenze, lo ottiene vivae vocis, oraculo nell’udienza del 24 settembre 1851. l’8 settembre dell’anno seguente la Sacra Congregazione dei Riti comunica alle monache che il papa ha accolto la loro richiesta di far lucrare le medesime indulgenze a quei fedeli che, non sapendo leggere le salutazioni, recitano i Pater e le Ave. Infine, il 3 settembre 1868, Pio IX concede l’indulgenza plenaria – alle solite condizioni – anche a chi visita la chiesa delle Carmelitane di Vetralla nella festa di San Michele arcangelo o in uno dei giorni immediatamente precedenti o seguenti; anche questa indulgenza è applicabile ai defunti”. A Vetralla il rosario di san Michele o Corona angelica molto probabilmente fu introdotto dalla suora Maria Colomba Leonardi che aveva conosciuta  a Lucca la biografia (oggi introvabile) di Antonia di Astonac attraverso un suo parente sacerdote. L’originaria Corona degli angeli di Antonia di Astonac, ricevuta da san Michele durante la seconda delle sue sei apparizioni probabilmente si limitava ad una recita generica delle nove poste ai cori angelici con 1 Pater e 3 Ave e con i 4 Pater finali. Invece la Corona Angelica di Maria Colomba Leonardi, quella che recitiamo oggi, arricchita da nove salutazioni prima di ciascuna invocazione furono probabilmente scritte dalla carmelitana di Vetralla morta in odore di santità nel 1751 che lasciò la Corona angelica in eredità di consorella in consorella fino a giungere a Suor Marianna Felice di san Luigi Gonzaga, della famiglia vetrallese dei Rossini, la quale avendo parenti ecclesiastici alla corte pontificia riuscirà a far giungere la pia devozione al papa Pio IX e a farla indulgenziare. Maria Margherita Leonardi, come si chiamava al secolo, nacque a Lucca nel 1685 da Giovanni Battista Leonardi. Ancor giovanissima prese l’abito di carmelitane in Vetralla ed emise la professione religiosa nell’anno 1701. Di salute assai cagionevole, nel 1717, come ricorda un’antica memoria biografica: “si mise a letto per una paralisi generale di nervi e restò immobile come un legno, senza potersi piegare, avendo solo le mani libere, e stette così 34 anni continui [cioè fino alla morte]; in questo stato si perfezionò ed ebbe gran doni di Dio”, tra cui la cronista ricorda casi di bilocazione e alcune “impressioni della Passione”. Il primo incontro documentato tra questa carmelitana e s. Paolo della Croce, anch’egli grande devoto di san Michele, avvenne nel 1742, quando, dopo aver predicata la missione in Vetralla, egli si portò al monastero per dettarvi gli esercizi spirituali. Avvenne nella cella ove, ormai da molti anni, si trovava suor Colomba “inchiodata in letto senza muoversi, con mali indicibili” e sopportati con pazienza cristiana. Da una testimonianza dell’epoca emerge, però, che suor Colomba abbia conosciuto, ma non si sa bene come, il Santo prima di queste occasione. A tale incontro ne seguirono altri. le occasioni infatti non mancarono: gli esercizi spirituali predicati da Paolo nel 1748 (durante i quali, pere un aggravarsi serio delle condizioni di salute di suor Colomba, le diede il Viatico e l’Olio Santo) e le altre occasioni che lo portarono al “Monte Carmelo” in  quegli anni. Inoltre la citata memoria biografica ricorda come suor Colomba e s. Paolo “si parlarono in spirito molte volte”. Spesso nelle lettere indirizzate al confessore del monastero, don Biagio Pieri, e ad altre persone amiche, Paolo esprime la sua altissima ammirazione per questa religiosa e sottolinea la consolazione che prova nel comunicare con lei e nel sapere che prega per lui e il suo nascente Istituto. Sempre tramite il confessore, don Pieri, non manca il Santo in varie occasioni di far giungere a suor Colomba i bigliettini cosiddetti dell’Immacolata che usava mandare agli infermi. L’elogio più bello di lei Paolo l’ha fatto scrivendo al ricordato don Pieri, esprimendo vivamente i sentimenti provati verso quest’anima tutta di Dio: “…il mio cuore vorrebbe dire grandi cose alla nostra suor M. Colomba, vera serva dell’Altissimo e tutta segnata con il gran suggello dell’Amor Crocifisso, ma la mia pena non sa esprimere il concetto. Io miro questa Colomba benedetta sull’oliva fruttifera della Croce, che non porta il ramo in bocca, come quella che uscì dall’arca, ma succhia su questo grande albero di vita quell’olivo divino che, acceso dalle fiamme della divina carità, l’arrostisce tutta, vittima di olocausto al Sommo Bene. Oh, fortunata Colomba! Invenisti gratiam coram oculis Domini. Oh quanto vorrebbe dirti il mio cuore! Ma tu sai che Paolo è il massimo peccatore! E credo che l’intendi in Dio. Ora pro me, e consumati tutta sopra l’altare, arrostita, incenerita, in quell’olio che bolle, che tu ( per tua gran ventura) succhi sull’albero fruttifero della cara Croce di cui, per mia colpa, non si gustare…”. Suor Colomba morì il 15 giugno 1751. San Paolo della Croce che si era recato il giorno prima al monastero per la predicazione degli esercizi spirituali, l’assistette nel trapasso, amministrandole i SS. Sacramenti e suggerendole pii sentimenti, stando in ginocchio orando al suo capezzale”. Quando la religiosa spirò, egli rivolto alle sue consorelle esclamò: “Ecco terminati gli esercizi!… Questo è il fine per cui Dio mi ha mandato per dare il buon viaggio per il Paradiso a questa sua serva!”.