La Destra che non legge

Angelo Cennamo  
Scrive Michele Serra che la sventura di uno scrittore di destra è doppia: quelli di sinistra non lo leggono perchè è di destra. Quelli di destra, invece, non lo leggono perchè non leggono. Il teorema di Serra è ironicamente spietato, ma offre in sintesi uno spaccato antropologico perfettamente aderente alla condizione di chi, da almeno un ventennio, è additato come un rozzo servo della gleba o, nella peggiore delle ipotesi, come un pennivendolo a libro paga del Caimano. Gli altri, l’elite gramsciana che affolla i palasharp e che la sera legge Kant (senza capirlo, aggiungerebbe Giuliano Ferrara) gode invece di ben altra luce. E’ facile scoprirlo. Basta sintonizzare la tv sui canali che contano per imbattersi in uno di quei salotti di Gad Lerner o di Fabio Fazio, dove i pochi virtuosi dello share si trastullano e si abbeverano alla divina fonte della intellighenzia, quella autentica e certificata dall’editoria importante. L’alto lignaggio che, tra uno spot e l’altro, sciorina a un palmo dal pavimento la maieutica costituzionalista e la politologia più radical chic, e che storce il naso se qualcuno, dal fronte nazionalpopolare di Panorama o peggio dalla caverna de il Giornale, osa contraddirli. La scorsa settimana, i soloni si sono ritrovati al Salone, quello del libro di Torino. Sul palco della kermesse c’erano proprio tutti:  Umberto Eco, Roberto Saviano, Eugenio Scalfari, Walter ( l’africano) Veltroni, Serena Dandini e Rodotà tà tà tà. Una festa dell’Unità in piena regola, con le ultime novità librarie al posto delle classiche salamelle e i tortelli al sugo. Ha ragione Serra : la vita dell’intellettuale di destra è complicata. Prendiamo, ad esempio, Veneziani. Se ne sta lì, nell’angolino quotidiano riservatogli da Sallusti, ad inveire contro i guasti del progressismo, tra ricordi e nostalgie della vecchia destra missina. Peggiore sorte è toccata a Giordano Bruno Guerri, rinchiuso nella prigione dorata di D’Annunzio, in riva al lago, a reinverdire i fasti e la carnalità del vate amico di Mussolini. Mentre Sgarbi continua ad incazzarsi dalla D’urso o da Giletti, per la gioia dei pubblicitari che vedono impennare l’auditel col solito mantra della “capra, capra, capra”. Non resta che l’elefantino Ferrara, l’ironico e geniale inventore di quel gioiellino di carta che è il Foglio, ultimo avamposto di un mondo pannunziano e montanelliano che latita ormai da troppi anni. E con lui Pietrangelo Buttafuoco, costretto addirittura a sdoganare su Repubblica la sua brillante e ineguagliabile vena descrittiva di figlio di un dio minore.