Giovanni Papini e angeli

  don Marcello Stanzione

Giovanni Papini (Firenze 1881 – 1956) fu un importante  scrittore italiano della prima metà del ventesimo secolo. Fin da giovane si mostrò vorace lettore e frenetico organizzatore culturale; nel 1900 diede vita con G. Prezzolini ed E. L. Morselli a un’associazione di “Spiriti liberi” ispirata a un individualismo anarchico e idealista che generò nel 1903 il programma de “Il Leonardo”, la rivista  da lui fondata e diretta con Prezzolini, nato sotto la suggestione del pensiero di R. Steiner e F. Nietzsche e con intenti di rigenerazione antiaccademica della cultura italiana. Egli fu anche, nello stesso anno, redattore del “ “Regno” di E. Corradini, organo del partito nazionalista e intanto esordiva come narratore con i “racconti metafisici” Il tragico quotidiano (1903) e Il pilota cieco  (1907). Nel 1907 gli sviluppi in direzione di un pragmatismo logico impressi da filosofi e scienziati che collaboravano alla rivista indussero Gian Falco (pseud. Di Papini) e Giuliano il Sofista (pseud. Di Prezzolini), ancora fedeli al pragmatismo irrazionalista del programma, a chiudere “Il Leonardo”. E’ dello stesso anno il primo libro filosofico , Il crepuscolo dei filosofi, in cui il pensiero di sei “fari” della cultura moderna (Kant, Hegel, Schopenhauer, Comte, Spencer, Nietzsche) è sistematicamente demolito, in nome appunto di quell’irrazionalismo vialistico che approda a una dichiarazione di morte per l’intera filosofia, nel 1911 fondò, con G. Amendola, “L’Anima” e nel 1913, con A. Soffici, “Lacerba”, una rivista nata in polemica con la “Voce”. Divenuta, anche grazie alla collaborazione di A. Pallazzeschi, l’organo del futurismo fiorentino, “Lacerba” caratterizzò una stagione (poi rievocata nel vol. L’esperienza futurista, 1919) di furore icononoclasta, testimoniava anche dalla serie delle Stroncature (1916), con cui intendeva demolire, in nome dell’avanguardia, classici quali il Faust, l’Amleto, il Decamerone. Intanto  con le prose poetiche di Cento pagine di poesie  (1915) e i versi di Opera prima (1917), mostrava di coltivare anche un tipo di letteratura tesa al “sublime” , ma in chiave lirica, psicologistica e misticheggiante. In questa stessa chiave si possono leggere le pagine autobiografiche di Un uomo finito  (1913), diario di una crisi esistenziale, significava testimonianza di una ricerca, anche religiosa, della verità. La conversione del 1921, che lo portò a scrivere una  Storia di Cristo, fu pubblicizzata con enorme risonanza, ostentatamente dissacratoria. La sua produzione fu ancora intensissima: scrisse testi  di apologetica religiosa talora eterodossa (Sant’Agostino 1929; Dante vivo, 1933; Lettere agli uomini di Celestino VI, 1946, in polemica con Pio XII; Il diavolo,1953); inchieste  e satire di costume (Gog. 1931); prose in cui ritorna la vena lirica di certe pagine giovanili (Schegge, scritti raccolti in un volume postumo del 1971, ma già pubblicati sul “Corriere della sera” negli anni ’40-’50). Il fascismo fece di egli una sorta di scrittore ufficiale : nel 1935 ebbe la cattedra di letteratura italiana all’università di Bologna; nel ’37 fu nominato accademico d’Italia e ancora nello stesso anno fu incaricato della direzione di un Istituto di studi sul rinasci,mento e della rivista “La Rinascita”. La prosa veemente e incisiva, ricca di immagini colorita dal sarcasmo e dal gusto del paradosso, è l’aspetto più interessante delle sue opere che, d’altra parte, testimoniano un’ossessiva mania di grandezza, il tentativo di stupire a tutti i costi,annunciando apocalissi e palingenesi. Legato agli atteggiamenti e alle simbologie del fortunato ciclo della rivista “La Voce” aggiorna sulla condizione poetica crepuscolare e i suoi rapporti con la narrativa del Novecento. Diffonde, pure, nei versi una sensibilità ritmica, vicina all’antiretorica filmica chapliniana di Luci della ribalta o di Luci della città, e dipana la facoltà corrosiva contro la superficialità, intromettendovi la piena consapevolezza del “dramma della debolezza morale comune a tanti lirici del suo tempo” (Momigliano). Il poeta consegue tale composizione, assicurandosi i disadorni, ma sinceri valori del sacro, sgattaiolando fra le piaghe di una fede attenta ai grandi eventi e ai protagonisti del mistero cristiano, avvitato alla redenzione di Cristo, dalla quale attingono angeli e santi per documentare l’azione di grazia del Figlio di Dio.