Maiori: una fatica antica, “ La calcara”

Continua Sottocosta, serate d’inverno in “comune”, con un nuovo appuntamento nella serata di venerdì 18 gennaio, che prevede uno spazio dedicato ad un antico mestiere “Il carcararo” la cui testimonianza è data dalla presenza di ruderi di “calcare” lungo la Costiera. Una ricognizione fotografica delle fornaci ancora esistenti nel territorio di Maiori alla quale seguirà una descrizione, anche con l’utilizzo di materiale video curato da Roberto Pisani, del procedimento attraverso il quale si perveniva alla trasformazione della roccia calcarea in calce. Sull’argomento ci intratterranno Gioacchino Di Martino e Alfredo Bottone, operatore del settore che ha continuato ad operare fino alla metà degli anni cinquanta del secolo scorso, periodo nel quale si spense l’ultima calcara. Seguirà l’intervista postuma a Raimondo Esposito, recentemente scomparso, rappresentante di una delle due famiglie (l’altra era appunto quella Bottone) che permisero a Maiori di diventare il centro propulsore di quest’attività che, per lunghi anni, ha costituito la fonte di sopravvivenza per non pochi nuclei familiari e la base delle attività edilizie in Costiera amalfitana lasciando, tra l’altro, numerose e affascinanti tracce monumentali sull’intero territorio. La produzione della calce si basava sull’utilizzazione di due componenti del patrimonio naturale locale: il legname ed il calcare ed avveniva utilizzando un forno circolare, chiamato appunto “calcara”, realizzato in pietra locale, di diametro ed altezza variabili ma dell’ordine, comunque, di alcuni metri, (si pensi che la produzione media di calce viva per ciascun processo variava dalle  200 alle 1.500 tonnellate circa). Si trattava, peraltro, di un mestiere durissimo: “Manco lu cane puozz’ patì chello ca’ patisce lu carcararo” recitava un’antica nenia locale a testimonianza della severità dell’impegno richiesto agli operatori. Il fuoco appiccato all’interno della fornace doveva essere continuamente alimentato giorno e notte dagli addetti che lavoravano, stazionavano e dormivano a turno nelle immediate vicinanze della calcara per evitare un’interruzione anche breve del fuoco che avrebbe significato il blocco dell’intero processo e la perdita del prodotto.  Anche le avversità atmosferiche erano sopportate e affrontate adeguatamente “carcararo miette la tenda ca’ stanotte chiove”  era il grido che partito dai pescatori, notoriamente conoscitori dei fenomeni meteorologici, risaliva la valle a suscitare allarme e predisporre rimedi.