San Leone Magno e San Michele

don Marcello Stanzione

Il papa Leone I fu acclamato Magno cioè il grande per aver saputo affermare con energia il primato della sede petrina proprio in un momento molto complesso e difficile per le sorti del Cattolicesimo. Gli valsero tale riconoscimento anche le capacità diplomatiche con cui riuscì a placare le tensioni all’interno della Chiesa e la fermezza con cui fronteggiò condottieri sanguinari e temibili come Attila, re degli unni, da l papa convinto a ritirarsi dall’Italia e a tornare in Pannonia, e poi Genserico, capo dei Vandali da cui almeno riuscì ad ottenere che non ci sarebbero state stragi di cittadini inermi, che le basiliche sarebbero state risparmiate dal saccheggio e che la Città eterna non sarebbe stata incendiata.  Secondo il Liber pontificalis era di origine toscana, probabilmente di Volterra. Iniziò la carriera ecclesiastica a Roma al tempo di papa Celestino I, raggiungendo una posizione eminente in seno al clero romano; fu arcidiacono sotto Sisto III. Mentre si trovava in Gallia alla guida di una legazione romana che doveva risolvere il conflitto fra il patrizio Ezio e il prefetto del pretorio Albino fu eletto papa dal clero, dalla nobiltà e dal popolo.  Il V secolo segna il momento più critico dell’Impero Romano che entra in una fase di piena decadenza, sgretolandosi sotto i colpi dell’invasore barbaro. Gli ultimi imperatori, deboli e inetti, delegano l’amministrazione a prefetti, ministri e funzionari corrotti, consegnando di fatto il potere nelle loro mani. L’esercito romano è ormai formato quasi esclusivamente da mercenari, poco motivati e non più forgiati dalla dura disciplina militare dei secoli precedenti. Il lungo pontificato di papa Leone I durò 21 anni, dal 29 settembre del 440 al 10 novembre del 461, giorno della sua morte. In questo periodo si avvicendarono ben quattro Imperatori: Avito, Valentiniano III, Petronio Massimo e Maggiorano. L’idea fondamentale che Leone portò avanti, e che gli valse il titolo di Magno, fu quella della costruzione della centralità di Roma e dell’Episcopato Universale. Oltre alla crisi politica derivante dall’immensa macchina imperiale ormai in disfacimento, imperversavano le controversie teologiche sulle due nature, umana e divina del Cristo. Ecco che quindi il papa Leone I dovette far fronte ad una doppia minaccia, quella politica ad Occidente, e quella teologica ad Oriente. Custode e difensore della cristianità uscita dal Concilio di Calcedonia, le sue più strenue battaglie le combatté contro l’eresia, in particolare contro il Priscillanismo, ancora vivo in Spagna,  contro il monofisismo propugnato dal monaco eresiarca Eutiche nel corso del Concilio di Efeso e contro quella che passa come la madre di tutte le eresie: il Manicheismo.  Nel 452 Attila espugna Aquileia, devasta il Veneto e si accampa sulla sponda orientale del Fiume Mincio. Il Mincio è un affluente di sinistra del Po. Esce dal lago di Garda e raggiunge la città di Mantova dove si allarga formando tre piccoli laghi. Se Attila attraversa il Mincio, tutta la pianura padana è sua. Ma Attila non ha fretta. La notizia dell’invasione degli Unni arriva sino a Roma. L’imperatore Valentiniano è a Costantinopoli. Le legioni romane sono in fase di smantellamento. Nessuno può difendere l’Italia e la città eterna. Vescovo di Roma è dal 440, papa Leone. Un  papa santo e forte, che verrà ricordato nella storia con il titolo di Grande o Magno. Leone decide di affrontare Attila. Per tre giorni  il papa prega  e digiuna e poi consacra Roma a San Michele Arcangelo. Poi chiama i diaconi che lo aiutano nel governo della diocesi di Roma e dice loro : “Chi vuole seguirmi mi segua”. Sette diaconi si uniscono a lui per accompagnarlo. Papa Leone si porta, cavalcando a tappe forzate, fino alla sponda destra del Mincio. Dall’altra parte del fiume bivaccano decine di migliaia di Unni. Leone si accampa sotto una tenda e guarda i falò dell’altra parte del fiume. Sente le voci dei barbari arrivare fino a lui. Sono mezzi ubriachi. Dice papa Leone al diacono Luciano: “Domani mattina vestiti con i paramenti sacri, attraverseremo il fiume e andremo a parlare con questo Attila. Spero mi vorrà ascoltare”. Dice il diacono Luciano: “Padre. Quest’uomo sicuramente ti ucciderà. Dover passa lui non cresce più neppure un filo d’erba. Sicuramente ci trafiggerà il cuore con il suo pugnale. Poi appenderà le nostre teste, come trofei all’entrate della sua tenda”. “Confidiamo in Dio – dice papa Leone sorridendo -. Certamente Attila non è più forte del nostro Dio che la Bibbia chiama Signore degli eserciti. Ora preghiamo”. La mattina seguente papa Leone e i sette diaconi attraversano il fiume e si presentano di fronte all’accampamento di Attila. Scendono da cavallo. Papa Leone e i diaconi indossano i solenni paramenti liturgici. Subito il gruppetto è circondato dai guerrieri, ma anche da donne e bambini. Gli unni non hanno mai visto uomini vestiti in quello strano modo. Gli Unni indossano pelli di animali. Portano lunghi capelli, e a volte raccolti in trecce. Parlano con suoni gutturali, gridano come se debbano sempre farsi sentire a un miglio di distanza. Le donne e i bambini si avvicinano  e cominciano a tirargli le vesti e la barba. Papa leone rimane immobile come una statua. Il grande condottiero Attila sta dormendo. Il suo aiutante di campo, un certo, Uruk, lo va a svegliare. Gli grida: “Alzati, o re! Ci sono qui alcuni strani uomini. Sembra che vogliano parlarti!”. Attila che dorme sempre vestito e con il pugnale sotto la pelle di orso che gli serve da giaciglio, si lava ed esce dalla tenda. Si stira e si stropiccia gli occhi. Sbadiglia, afferra l’arco e la faretra colma di frecce che stanno appesi davanti alla sua tenda e si avvicina a papa Leone e ai diaconi. Subito i guerrieri, le donne e i bambini gli lasciano il passo. Attila è alto, massiccio e tutto muscoli. I capelli nerissimi gli scendono sopra le spalle. Gli occhi a mandorla sembrano trafiggere la persona su cui sono fissati. Attila dice a Uruk: “Chiama il nostro interprete. Costoro parlano latino. Sentiamo cosa vogliono. Non si deve negare che hanno avuto coraggio ad arrivare fino a qui. Per adesso rispettiamoli. Abbiamo tutto il tempo per divertirci poi con loro. I cavalli che hanno mi sembrano buoni. I loro abiti sono scomodi”. Per mezzo dell’interprete, Attila chiede a Leone: “Chi sei e cosa voi?” Parla chiaro e svelto. Mi hai svegliato dal sonno e già questo è un motivo per ficcarti una freccia nel cuore”. Papa Leone, per niente intimorito, dice: “Parlerò chiaro. In nome del mio Dio, ti prego. Torna indietro. Abbandona l’Italia e lascia liberi i prigionieri che hai preso in questi ultimi giorni”. Gli Unni, dopo aver sentito la traduzione delle parole di papa Leone, scoppiano in una risata. Cominciano a gridare, a saltare dalla gioia. Pensano che subito Attila ordinerà loro di avventarsi su quegli sprovveduti. Tirano fuori dalle cinture i pugnali. Ma Attila dice ai suoi: “Oggi stesso lasciamo l’accampamento, Ci ritiriamo”. Papa Leone e i diaconi montano a cavallo e si allontano. Dice Uruk ad Attila, flagello di Dio: “Perché ti sei comportato da vile? Bastava una tua parola per massacrare quei signori!”. “Ho agito così nel mio e vostro interesse. Dietro a quell’uomo ho visto un fortissimo alto guerriero  che, con la spada sguainata, si è rivolto a me con queste parole: “ Se non ubbidirai a questo sacerdote, perirai tu e tutto il tuo esercito”. E l’incredibile si produce: Attila si lascia sedurre dal bottino in oro che gli offre il papa ed accetta di risparmiare Roma. In ringraziamento una chiesa è innalzata all’Arcangelo sulla Via Salaria, all’uscita di Roma, sotto il nome di San Michele e dei Santi Angeli (Non resta più nulla oggi della basilica di  San Michele sulla Via Salaria, salvo la festa della sua dedicazione, il 29 settembre, che è divenuta, poi, la festa universale, cioè per tutta la Chiesa Cattolica di San Michele). Non è che un inizio di un culto all’Arcangelo che i romani lungo i secoli sperimenteranno in un modo sempre più forte.