La drammatica fine degli aerei che bombardarono Napoli

Nel corso della seconda guerra mondiale la città di Napoli subì numerose incursioni da parte dell’aviazione angloamericana che aveva come obiettivo la distruzione delle installazioni militari e delle industrie che producevano materiale d’importanza strategica ma anche quello di fiaccare il morale della popolazione civile.  I morti provocati dai bombardamenti furono migliaia. Molte vite furono risparmiate grazie alla particolare conformazione del sottosuolo napoletano che permise a tanti di trovare nei rifugi antiaerei in esso allestiti un riparo sicuro dalle bombe. Ben poco riuscì a fare la DICAT (la Difesa Contraerea Territoriale) che utilizzava spesso pezzi di artiglieria obsoleti ed era maldiretta. Unico baluardo contro il dilagare dei bombardieri alleati furono i piloti del 22° Gruppo Caccia formato da quattro squadriglie che operavano dall’aeroporto di Capodichino. Seppure spesso in condizioni di inferiorità di numero e di armamento rispetto alle squadriglie di bombardieri statunitensi, composte di solito da decine di velivoli ognuno dei quali poteva contare sulla difesa offerta da almeno 8 mitragliere antiaeree, essi riuscirono in varie occasioni a contenere gli effetti di tali sortite. Recentemente i SALERNO AIR FINDERS, grazie alla fattiva collaborazione di Giovanni Marino, Pietro Brundu, Gerardo Capuano e Adriano Napoli, hanno ricostruito la storia di un bombardiere Consolidated B-24 Liberator che lunedì 11 gennaio 1943 bombardò la città partenopea. L’aereo matricola 11593, soprannominato Black Maria II, che apparteneva al 515th Bomber Squadron del 376th Bombing Group dell’USAAF, decollò quella mattina insieme ad altri 7 velivoli della stessa squadriglia dall’aeroporto di Abu Sueir in Egitto. Tali quadrimotori dipinti di color sabbia rosata erano soprannominati “Pink Elephants”. Al comando vi era il capitano John H. Payne. Al suo fianco come co-pilota si trovava il tenente Norman R. Angell, di 22 anni. Il capitano Payne, l’11 giugno 1942, aveva fatto parte dell’Halverson Project n. 63, la prima operazione di bombardamento in Europa da parte dell’aviazione degli Stati Uniti. Gli altri 7 uomini dell’equipaggio erano: Merle J. Andrews, Cecil G. Buttram, Harold C. Vanness, Daniel W. Brown, Julius P. Lewis, Robert R. Krager e Theodore D. Drazkowski. Quell’11 gennaio del 1943 l’allarme aereo venne dato per tempo e l’aviazione italiana fece decollare i caccia per intercettare la formazione statunitense disposta su due squadriglie, una al comando di Payne e l’altra guidata dal maggiore Dick Sanders. Fra quanti si alzarono in volo vi erano il tenente Orfeo Mazzitelli di Salerno e il tenente Riccardo Monaco di Napoli. I piloti italiani disponevano da poco tempo degli ottimi Macchi C.202 Folgore i quali, seppur non potentemente armati, erano molto agili e veloci nelle manovre. Inoltre, giocò a loro favore, un problema che affliggeva gli americani in quel periodo: l’inceppamento delle mitragliatrici provocato dal gelo dell’alta quota e da un olio lubrificante non adatto. Infatti, nei resoconti statunitensi relativi alla missione di quel giorno il disguido viene segnalato da tutti gli equipaggi rientrati alla base. Il tenente Monaco, si diresse verso la formazione che, dopo aver sganciato gli ordigni, aveva virato a destra, per ritornare alla base nordafricana passando fra i monti dell’Irpinia. Insieme al tenente Mazzitelli fece fuoco sui bombardieri. I suoi colpi sortirono l’effetto sperato colpendo il motore di un B-24 che cominciò a rallentare e a perdere quota. Si trattava dell’ultimo aereo della formazione, quello del tenente Prchal. Ciò che accadde è riportato nella testimonianza resa dopo la liberazione dalla prigionia dall’unico supersite di questo velivolo, il navigatore sottotenente Theodore P. Schoonmaker. Altre preziose informazioni mi sono state fornite di recente dai figli di Schoonmaker, Donald e Peter. Il sottufficiale ricordava che il primo assalto da parte della caccia italiana fu indirizzato contro il mitragliere di coda. A seguito di questo attacco egli si accorse che il sergente Carr non rispondeva più al fuoco nemico. Il successivo assalto fu condotto sulla parte centrale del bombardiere quando furono colpiti i motori e il mitragliere della torretta dorsale. L’aereo si ritrovò privo sia di velocità che della maggior parte del suo armamento difensivo. Schoonmaker racconta che il tezo attacco fu quello più devastante e lungo. Per circa 15 secondi l’aereo fu mitragliato sul fianco destro, dalla parte centrale fino alla cabina di pilotaggio. I colpi provocarono un incendio a bordo, distrussero l’impianto per l’erogazione dell’ossigeno e l’impianto radio interno. Secondo la testimonianza del navigatore solo Earl G. Matheny sembrava essere rimasto incolume al devastante attacco ma le fiamme non gli permisero di abbandonare la parte anteriore dell’aereo in cui si trovava e dove venne in seguito ritrovato cadavere dalle autorità militari italiane. Theodore decise così di abbandonare l’aereo lanciandosi con il paracadute. Sporgendosi dallo sportello per il lancio il suo piede destro rimase incastrato nella struttura e per alcuni interminabili secondi egli rimase sospeso nel vuoto. Riusci però a sfilare il piede dalla scarpa e ad aprire il paracadute. Non vide altri seguirlo e dopo pochi istanti l’aereo precipitò ed esplose in una zona boscosa alle spalle di Acerno, dove qualche mese fa i SAF hanno rintracciato il punto d’impatto grazie al prezioso aiuto di Aniello Sansone e Gerardo Savino. Theodore atterrò su una montagna innevata. Con l’aiuto della copertura della scarpa sinistra e di un calzino riuscì a sostituire alla meno peggio la calzatura mancante e a raggiungere l’abitazione di un pastore al quale, visto che era stato ferito alla mandibola, chiese di essere condotto al più vicino paese. Quando l’uomo lo portò ad Acerno egli in segno di gratitudine gli donò il suo orologio da polso. Dopo aver visto cadere il B-24 in coda alla formazione, il tenente Monaco rivolse il suo attacco all’aereo caposquadriglia di Payne che si trovava al centro della formazione composta dai 3 aerei supersiti. Come riferirono i sopravvissuti, egli fu preso di mira sia dai mitraglieri di coda che da quelli laterali di tutti i velivoli. Ma le mitragliatrici non funzionarono o si incepparono dopo pochi colpi. Nelle sue memorie, il mitragliere di coda Ted Drazkowski afferma: “Mi ritrovai il caccia nemico a poche decine di metri. Avrei potuto abbatterlo con una sola scarica ma quando provai a sparare le mitragliatrici rimasero in silenzio. A questo punto il caccia aprì il fuoco centrando in pieno la vetrata della mia torretta che andò in frantumi. Ero convinto di essere stato ferito. Sentii bussare alla porta dell’abitacolo; era il mitragliere laterale Bob Krager che cercava di tirarmi fuori. Non ci rendevamo conto di cosa stesse accadendo in quanto gli interfoni non funzionavano più. L’aereo sembrava fuori controllo ed era difficile mantenere l’equilibrio. Provammo ad aprire la porta che conduceva al vano bombe ma appena aperta fummo investiti dalle fiamme di un serbatoio di carburante che aveva preso fuoco. La richiudemmo e ci dirigemmo verso l’uscita di emergenza sul retro. Dopo aver verificato le cinghie del paracadute aprii la botola e mi lanciai. Bob mi seguì subito dopo”. Le fiamme continuarono ad estendersi nell’aereo. Gli altri 2 equipaggi videro l’aereo di Payne iniziare una lenta discesa verso le colline alla loro sinistra. Udirono ripetutamente la richiesta “Payne to Sanders”. Evidentemente il capitano Payne cercava di mettersi in contatto con il caposquadriglia della seconda formazione. I suoi commilitoni suppongono che egli avesse dei feriti a bordo e, come era nella sua indole, avesse deciso di restare con loro fino alla fine. A questo punto fa luce sull’accaduto il racconto di un testimone oculare dell’evento, Ettore Ciotta, che in quel freddo giorno del 1943 aveva solo 13 anni. Egli ricorda: “Osservai un grosso aereo provenire dalle montagne che si trovano alle spalle della nostra abitazione. Si vedeva che era in difficoltà in quanto del fumo usciva dalla fusoliera. Aveva appena oltrepassato la casa di mio padre che esplose in volo. Una parte dell’ala venne a cadere nel vallone ai margini del nostro terreno. Altri frammenti caddero vicino alla masseria che si trova dall’altro lato della collina. Quando accorsi sul posto vidi alcuni corpi carbonizzati in mezzo alle lamiere contorte”. Da diverso tempo ci giungevano segnalazioni di questo abbattimento avvenuto a poca distanza da Lioni. Rocco Vincenzo Calabrese, avendo appreso delle nostre attività, ci ha gentilmente inviato alcune fotografie che ritraggono suo padre e la sua famiglia sui resti del B-24 11593. Grazie poi alla ricerca di Giovanni Marino e di Pietro Brundu è stato possibile rintracciare il sig. Ciotta che molto gentilmente ci ha permesso di effettuare delle ricerche nel terreno di sua proprietà. Un ringraziamento va anche a Geremia Soriano per lo stesso motivo. I frammenti che sono emersi sono chiaramente riconducibili al bombardiere di Payne. Infatti, il prefisso 32 rinvenuto su alcuni elementi della struttura identifica in maniera inequivocabile questo tipo di aereo. Adesso è nostro obiettivo rintracciare i familiari degli aviatori coinvolti in questa tragica vicenca onde informarli di quanto abbiamo appreso e, come facciamo di solito riscontrando grande commozione e gratitudine, fagli pervenire qualcuno dei pezzi recuperati. Matteo Pierro

 

 

 

5 pensieri su “La drammatica fine degli aerei che bombardarono Napoli

  1. Ottimo articolo e grande ammirazione per la bontà d’animo dello storico , scrittore signor Matteo Pierro a cui vanno i miei vivi complimenti.
    Sono del ’33, e ricordo bene quei famigerati giorni quando gli aerei anglo-americani passavano appesantiti dalle bombe per Salerno per dirigersi a Napoli. Ero un ragazzino di dieci anni ed ero uso a contare gli aerei delle varie squadriglie. Si, quegli aerei andavano a Napoli
    per bombardarla, e tutti noi lo sapevamo, tanto è vero che mio padre che era napoletano, essendo preoccupato per la sorte dei propri stretti parenti che vivevano a Napoli, ebbe la tentazione di andarli a trovare per verificare se fossero rimasti incolumi dai numerosi bombardamenti. Ma il caso volle che proprio lui si salvò la vita per miracolo perché, avendo sentito la sirena d’allarme che preannunciava l’arrivo di aerei nemici, si precipitò ad occupare un posto in un più vicino rifugio antiaereo . Così, dopo le prime bombe, uscì dal rifugio per correre dai suoi parenti al Vasto e al Vomero .. Dopo pochi minuti giunse un’altra squadriglia , le cui bombe colpirono in pieno il rifugio dov’era stato, pochi minuti prima, mio padre . In quel rifugio morirono quasi tutti.
    Non mi stanco di raccontare che quando passavano gli aerei nemici per il cielo di Salerno li contavo ad uno ad uno. Fu proprio in una di queste occasioni che , nell’indimenticabile 21 giugno del 1943, mentre ero appena rientrato dalla scuola di via Roccacocchia di Pastena, sentii il solito rumore cupo di squadriglie di aerei. Mia madre , per sfamarmi un po’ , aveva preparato un’insalata di patate bollite con pomodori e cipolle tritate, senza pane, non vedevo l’ora di partire in attacco con la forchetta quando fui appunto distolto dall’arnese per precipitarmi fuori e contare i soliti quadrimotori. Volavano ad ala di rondine come il solito, ed io che abitavo a fronte strada nazionale a pian terreno uscii di corsa per non perdere la conta, anche mia madre , per paura , era postata sulla soglia della porta, quando, all’improvviso, caddero numerose bombe a pochissime centinaia di passi da casa nostra. Mia madre rimase impalata tra i due stipiti della porta che, per via dello spostamento d’aria , non aveva la forza di staccarsi . Le bombe caddero un po’ alla rinfusa e i danni non furono da poco.. Ci riunimmo in famiglia e , dopo qualche ora, ci nascondemmo sotto il ponte di pisciotta che era appunto dirimpetto alla vecchia caserma dei carabinieri che sta tra Pastena e Mercatello. Aspettavamo un’altra ondata di bombardamenti e non ci eravamo sbagliati. Tra noi si era rifugiato anche il maresciallo dei carabinieri il quale apparve più pauroso di noi . Passata quella temibile giornata, decidemmo di trascorrere , assieme ad un’altra famiglia, la notte sotto gli agrumi in una terra nei pressi di Mercatello ,di proprietà di una certa Gesualda che conosceva mia madre per poi darci da fare l’indomani mattina.
    Era una notte di luna piena e noi ci sistemammo sotto gli alberi di mandarini. Le donne si ficcarono addosso le coperte scure e gli uomini, fumando qualche spinello di tabacco, ragionavano del più e del meno e per decidere dove sfollare l’indomani mattina, .
    In quel momento sorvolò su di noi una squadriglia di aerei da combattimento nemica che, avendoci notato dall’alto, anche per via delle sigarette accese, e , forse, scambiandoci per militari, tornò indietro uno degli aerei e ci mitragliò. I colpi di mitraglia passarono a pochi centimetri dal mio corpo, e devo dire che fui davvero graziato da Dio perché, per qualche centimetro in meno risparmiai la vita. Ci sarebbe ancora tanto da dire, ma , fermo restando che mi resteranno sempre nel cuore quelli che perirono senza alcuna colpa, e. per non dimenticarli, volgo a loro una prece.
    Alfredo Varriale

  2. BELLISSIMO ARTICOLO !!!!!!!!!!!!111 GRANDE DIRETTORE E BRAVO MATTEO PIERRO

  3. Gentilissimo signor Matteo, innanzitutto Le porgo i migliori auguri di buon onomastico che si festeggia proprio nella giornata di domani , 21 settembre.
    La ringrazio infinitamente per avere apprezzato il mio modesto commento sul ottimo articolo, così come ringrazio il signor Ciccio per il medesimo motivo.
    Lei mi chiede di voler pubblicare il mio commento sul suo sito. Per me è certamente un piacere, però, per correttezza penso che bisognerebbe menzionare la fonte da dove è stato rilevato, cioè da Dentro Salerno. Comunque, Le esprimo tutta la mia ammirazione per il rispettabile lavoro che state facendo, mettendo assieme gli innumerevoli cocci di ricordi della nostra storia che riguarda lo sbarco a Salerno e i suoi risvolti. Bravi.
    Cordiali saluti Alfredo (myfreddy@alice.it)

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