Le Olimpiadi in TV: la sfida (per non morire) del servizio pubblico

Amedeo Tesauro
C’è da anni un movimento costante e dirompente, un movimento che sposta gli equilibri comunicativi, un movimento che trova a Londra il suo naturale punto d’approdo. Già, perché quando si parla di Olimpiadi c’è ben altro in gioco oltre alle medaglie e ai podi, altro al di là delle storie eroiche dei vincitori in discipline destinate a rimanere sul fondale per quattro anni prima di riemergere ancora una volta. C’è l’impatto dell’evento, ci sono i potenziali miliardi di persone dietro uno schermo pronti a farsi catturare dal gesto atletico o dal semplice patriottismo, figliol prodigo di ritorno in un paese come il nostro che si riscopre unito solo nelle circostanze estreme, nelle tragedie e nelle vittorie. Veicolare in modo efficace tutto ciò che le Olimpiadi rappresentano richiede competenza, dedizione, sforzi non differenti da quelli profusi dagli atleti in gara. La RAI, chiamata al difficile compito, va a scontrarsi col movimento devastante generato dalla piattaforma SKY. Sarebbe sciocco mettere a confronto un servizio a pagamento con un servizio pubblico che richiede un singola tassa annuale, altresì sarebbe da cechi ignorare l’assalto che la piattaforma satellitare ha mosso a eventi storicamente monopolizzati dalla TV di stato. Le manifestazioni sportive catalizzano l’attenzione come nessun altro evento sa fare, oltre alle Olimpiadi l’Italia pallonara smania per Europei e Mondiali di calcio, entrambi caduti nelle mani dell’emittente di Murdoch con buona pace della Radiotelevisione italiana. Una RAI che con la sua manciata di gare, complice il percorso azzurro, ha visto ascolti record in occasione degli ultimi europei calcistici, ma anche critiche spietate a un team di presunti esperti bersagliati sotto ogni fronte. Ma le Olimpiadi sono diverse, lì si gioca una sfida differente, una sfida non di quantità, confronto perso in partenza con sole 200 ore di trasmissione a fronte di una cifra dieci volte superiore della concorrente, ma da giocare sulla qualità. A viale Mazzini vantano infatti giornalisti e esperti impegnati da decenni, con stima da parte degli appassionati, nel commento di discipline a cui SKY si affaccia per la prima volta, un risvolto sottolineato dalle polemiche in proposito sviluppatesi nelle ultime settimane. Londra 2012 è un punto di svolta: da un lato le prime Olimpiadi nelle mani della piattaforma a pagamento, un banco di prova a tutti gli effetti per gli uomini del magnate australiano; dall’altro il definitivo tramonto del predominio pubblico e la necessità di difendere quanto si ha attraverso una competenza tecnica maturata dall’esperienza. I tempi sono cambiati, internet tra il legale e l’illegale è divenuto mezzo di accompagnamento delle giornate laddove una volta tale ruolo era affidato al tubo catodico, e se dallo sviluppo della rete è l’intero medium a patirne, è vero anche che un servizio pubblico ritenuto obsoleto e antiquato ne soffre ancor di più di un servizio a pagamento a cui si rivolgono i teledipendenti doc. Ovvero chi cerca contenuti di qualità si rivolge o alla rete dove tutto è reperibile o ai pacchetti a pagamento, a risentirne chi offre una programmazione debole e sorpassata. Le Olimpiadi sono un avvenimento speciale al di là delle competizioni sportive, sono percepite come evento pubblico per eccellenza, se la RAI vuole ispirare ancora fiducia negli spettatori deve giustificare la tassa del canone, la più insopportabile secondo vari sondaggi, offrendo una programmazione all’altezza seppur limitata nella durata. Un dovere che è necessità, quella di mostrarsi al meglio per non affondare e spianare la strada alle pay tv pronte già a banchettare sui resti del servizio pubblico italiano.

2 pensieri su “Le Olimpiadi in TV: la sfida (per non morire) del servizio pubblico

  1. I milioni di Murdock vs. i milioni della Rai. I primi vengono investiti egregiamente dal canguro, i secondi vengono sperperati tra festival, CarliConti vari, direttori generali, vice-direttori generali, portacaffè dei direttori generali e portacaffè dei vice-direttori generali etc. E’ davvero un miracolo che un’azienda come la Rai, che ha più burocrazia del Pentagono, riesce a fornirci 13 canali in chiaro sulla TDT e garantisce una copertura (seppur minima) di quasi tutti gli eventi importanti.
    Nel frattempo Sky ha fatto ricorso contro il consorzio TivuSat (perchè?), e la Rai ha bloccato il rilascio di nuove tessere per la visione dei canali Rai-Mediaset-Telecom gratuitamente sul satellite. Il tutto a vantaggio del colosso delle pay tv (che nel frattempo si è preso anche la MotoGP da Berlusca).
    G. A.

  2. Diciamo che l’analisi era prettamente riferita alle Olimpiadi. Per il resto che il grosso problema della RAI sia la sua burocrazia e la sua gestione è verissimo, a cui si aggiunge una visione vecchia del fare televisione. Aiuterebbe in ogni caso che fosse un vero servizio pubblico piuttosto che terra di conquista di questo o quel governo desideroso di piazzare i suoi uomini come ricompensa.

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