Scuole di giornalismo, la strada (elitaria) della discordia

Amedeo Tesauro

Sull’home page dell’Università degli Studi di Salerno campeggia in primo piano il bando per l’iscrizione alla locale scuola di giornalismo di durata biennale, definizione affiancata in modo onesto dalla dicitura “Master post-laurea”. Le scuole di giornalismo sono un’innovazione relativamente recente: basta un giro sul sito dell’ODG, Ordine dei Giornalisti, per leggere di come da una sperimentazione del 1990 nascano gli attuali master destinati a studenti in possesso di una laurea. Ciò che rende tanto speciali questi corsi è la possibilità al termine del biennio di poter sostenere l’esame per divenire giornalisti a tutti gli effetti con regolare iscrizione all’albo dei professionisti, una possibilità che, si badi bene, non garantisce un posto di lavoro ma una buona credenziale da infilare nei curriculum; i due anni passati nelle scuole di giornalismo sostituiscono dunque i diciotto mesi di praticantato richiesti dall’associazione di categoria per definirsi professionisti. In considerazione dell’impossibilità, o quasi, di ottenere un praticantato presso una redazione che soddisfi i criteri richiesti, è evidente come queste scuole siano non una semplice via, ma il percorso preferenziale a chiunque aspiri a fare giornalismo. Un ruolo non da poco in considerazione di un desiderio perenne che anima molti giovani, un sogno coltivato da tanti come dimostrano i sempre numerosi iscritti ai corsi di Scienze della Comunicazione che seppur eternamente sconsigliati accolgono perlopiù giovani interessati a sviluppare una carriera in redazione. L’enorme richiesta va però a scontrarsi con un mercato di professionisti chiuso e sempre più ristretto, tanto che molti optano per la carriera da pubblicisti, definizione che accomuna chi effettivamente lavora nel mondo dell’informazione ma solo come attività collaterale a un ulteriore occupazione. L’enorme richiesta non si scontra solo col mercato poco propenso a introdurre i nuovi Montanelli e le nuovi Fallaci, ma con le modalità di selezione alla base di quel mercato. Le scuole di giornalismo sono in realtà master, e come tali richiedono denaro, tanto, per quello che assume le sembianze di un obbligo se si intende perseguire l’obbiettivo prefissatosi. L’Università degli Studi di Salerno richiede 15.000 euro netti per il suo corso, la Suor Orsola Benincasa a Napoli si “accontenta” di 13.800, e i due atenei campani non sono certo i più dispendiosi nell’ambito di riferimento che può richiedere anche, se non oltre, 20.000 euro. L’alta formazione si paga, si sa, certo non si frequenta Oxford e Harvard da nullatenenti. Date le contingenze risulta però evidente come la via pressoché esclusiva a un tipo di lavoro sia divenuta elitaria. In epoca di crisi è impensabile per le famiglie meno abbienti sostenere simili costi, a cui vanno aggiunti naturalmente quelli di vitto e alloggio in caso di trasferimento. Sarebbe poi interessante avere uno studio che fornisca in modo esplicito i numeri occupazionali di chi fuoriesce da questi master, l’atteggiamento restio degli istituti nel fornire dati ci costringe invece ad affidarci alle testimonianze sparse pronte a alimentare la dialettica dei pro e dei contro. Ci si interroga inoltre sull’effettiva alta formazione delle scuole di giornalismo, scuole di quello che a suo tempo fu definito un mestiere e non una professione, e anche lì si dibatte tra chi inneggia al valore formativo delle scuole e dei loro stages in redazioni di prestigio, e chi causticamente parla apertamente di diplomifici e vede l’ombra lunga del profitto, della speculazione sulle aspettative dei giovani. L’ODG ha più volte giustificato le scuole di giornalismo come unica modalità di selezione, ribadendo che l’istruzione di livello necessità del finanziamento adeguato (e quindi alti costi). Tanti brontolano, tanti in Campania protestano addirittura. Nella regione, come evidenziato, esistono due master giornalistici, troppi per uno dei mercati considerati più deboli. Quando fu proposto di intitolare ad Avellino una nuova scuola di giornalismo a Biagio Agnes, che della scuola di Salerno fu direttore, il Coordinamento giornalisti precari della Campania presentò uno studio parziale che metteva in luce come il mercato attuale non fosse in grado nemmeno di integrare i membri dei due master attivi. Senza cifre, se non quelle richieste dai bandi, rimangono disattese le domande. Fatto sta che vi è sempre una maggiore consapevolezza di un sistema iniquo di ingresso alla professione: il master attivo presso l’Università di Bologna quest’anno per la prima volta in vent’anni non ha raggiunto il numero di iscritti necessari. Casualità o un segnale preciso?

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