Studenti ignoranti o pessima scuola?

Aurelio Di Matteo

Credo che i professori che sono al governo stiano esagerando. Da professori, quali sono per mestiere, si sono trasformati in maestri. A dare l’esempio più emblematico ha pensato la Fornero con il suo ditino da maestrina-cattedratica. E l’ha fatto non solo nel settore di riferimento, ma sui giovani e sui mariti. Per ora parliamo dei primi. “I nostri giovani sanno troppo poco. Non conoscono le lingue, l’italiano compreso, e neanche i rudimenti della matematica. Non sanno fare di conto”. Questa la banalità del neo oracolo governativo! E ci voleva un Ministro e un cattedratico per una costatazione che le periodiche indagini OCSE rilevano dalla seconda metà degli anni novanta del secolo scorso? D’altra parte non si capisce perché non abbia, con la stessa supponenza cattedratica, fatto riferimento all’ignoranza che si respira in larga parte del Parlamento. Con un po’ di attenzione alla realtà si sarebbe accorta che la stigmatizzata ignoranza dei giovani non è certo da addebitare a loro, ma a un sistema scolastico che ha dimenticato la sua funzione primaria per diventare un pessimo ammortizzatore sociale. Ci si dimentica che questi giovani, ai quali ha dato il titolo di “ignoranti”, sono il risultato della nostra Scuola, che si sono formati e istruiti stando nelle aule scolastiche italiane, che sono il prodotto dell’insegnamento di quei Docenti che da decenni hanno il solo scopo di protestare contro i cosiddetti “tagli” e invocare con forza la stabilizzazione a tempo indeterminato, che la scuola è organizzata e diretta da Dirigenti che hanno rifiutato ogni forma di valutazione. La situazione disastrosa della scuola italiana è il risultato di una politica scolastica tutta centrata sulle politiche del personale, che non erano finalizzate alla sua qualificazione, alla differenziazione delle funzioni e della carriera, alla professionalizzazione del compito affidato, ma al solo inserimento in un elefantiaco apparato amministrativo-impiegatizio che ne ha condizionato l’atteggiamento culturale e massificato il ruolo. La scuola è stata trasformata in ammortizzatore sociale, in ufficio di collocamento e in strumento del Welfare. L’ignoranza ortografica, grammaticale, sintattica e lessicale (e si trattasse solo di questo!) riscontrata nei giovani non deriva forse dal degrado culturale in cui versano la formazione e la funzione del personale scolastico, a cominciare da quel ciclo elementare investito pienamente nel 1990 dalla riforma “occupazionale” e non didattica dell’insegnante trino, man mano quadruplicato, quintuplicato e più? E allora, anziché fare la “maestrina” saccente con i giovani, non sarebbe stato meglio, da Ministro di un Governo di “tecnici”, porsi prioritariamente il problema di una seria politica di formazione, selezione, reclutamento e valutazione del personale scolastico a tutti i livelli, senza escludere l’Università che in fatto di meritocrazia è il peggiore degli esempi? Quando un Ministro e un Governo avranno la forza e la chiarezza politica di risolvere i veri problemi della Scuola italiana che sono ben altri da quelli connessi a una salutare e necessaria razionalizzazione dell’impiego delle risorse umane? Dai dati OCSE risulta che l’Italia è il Paese nel quale gli alunni passano più ore a scuola, hanno a disposizione il maggior numero di docenti e globalmente costano alla collettività molto più degli altri Paesi industrializzati. Allora che cosa non funziona? Se la qualità della scuola non è legata alla quantità delle ore di lezione, alla quantità di risorse investite e al numero di personale impegnato, significa che a non funzionare è la qualità del personale preposto alla formazione e istruzione. Ed è ovvio che la conclusione non possa essere che una sola: per migliorare la scuola italiana, da una parte, non è più rinviabile l’introduzione di seri meccanismi che selezionino il personale in ingresso e che valutino annualmente il lavoro degli insegnanti e dei dirigenti con sistemi di valutazione che leghino al merito professionale retribuzioni, avanzamenti di carriera e qualità delle prestazioni. È ora che ci si renda conto della necessità di una scuola per i migliori, una scuola per chi è motivato, una scuola di eccellenza, nella quale lo studio non sia imposizione ma scelta responsabile e il rigore non il volto dell’autorità ma stile di vita e costume quotidiano, eliminando da subito il valore legale del titolo di studio, vero e proprio residuato bellico, buono a discriminare secondo criteri impropri, inutile a testimoniare di quali competenze sia portatore un giovane. I Paesi più avanzati, che sono ai vertici della classifica OCSE, non danno alcun valore al titolo di studio, allo stesso modo di come ignorano le marche da bollo. Il valore legale del titolo di studio mortifica il valore individuale perché rende uguali giovani che hanno conseguito uno stesso voto e uno stesso titolo in contesti e in percorsi didattici diversi. E magari in Albania, in Croazia o in Romania! In tal modo svaniscono le competenze e i meriti di ciascuno a favore di una valutazione burocratica e formale che livella e annulla la sostanza delle personalità culturali e le reali capacità. Dalla “maestrina” ci saremmo aspettati non un’insulsa reprimenda, ma una seria riflessione e un’organica proposta.

 

2 pensieri su “Studenti ignoranti o pessima scuola?

  1. Lo dice lei già con chiarezza, ma in parte. L’Italia ha il miglior rapporto Docente/Discente e nello stesso tempo i costi dell’Istruzione sono tra i più alti. Basta riflettere che il 97 % serve a pagare stipendi. I mali? 1) Troppo personale che si accontenta di un lavoro “di comodo” e spiega l’altissima percentuale di docenti “donne”; 2) Reclutamento che non analizza le motivazioni alla professione oltre che la preparazione professionale; 3) Scuola ancorata al ’68 con perdita di ore preziose per la didattica in attività da destinare in ore extracurricolari; 4) ingerenza capillare di genitori spesso ignoranti di cos’è una programmazione collegiale che pontificano sulla didattica; 5) Docenti troppo autoreferenti (per contro) con Presidi che, su più sedi, non possono svolgere le più basilari operazioni ispettive; 6) Troppe sistemazioni senza concorso a chi aveva il pedigree delle SSIS abolite dalla Gelmini e riscoperte (a pagamento) da lacune università, ignorando che l’abilitazione è una competenza del Ministero e non degli atenei.
    Rimedi? A lacrime e sangue, licenziando il personale in soprannumero e confinando le spese. Le signore con priorità la famiglia possono continuare solo con il par time, d’ufficio. La scuola italiana d’inizi ‘900 era all’avanguardia con pochi docenti titolari, spesso ricercatori, spesso con passaggi tra scuola e università e viceversa. Pochi sono a conoscenza di ciò. Soprattutto occorre mettere al lavoro con serietà gli Ispettori Ministeriali se è vero che in un Liceo Scientifico di Napoli un docente non ha mai fatto un’ora di Latino al triennio, commettendo così anche un falso in atti d’Ufficio. Ma gli Ispettori devono anche sapere difendere il docente “fuori dal coro” che lavora avendo per priorità i suoi studenti da genitori invadenti e ignoranti che vogliono condizionare la didattica.

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