Il gioco: divertimento e perdizione

Aurelio Di Matteo

Due convegni, uno organizzato nel mese di marzo a Roma a Palazzo Marini, l’altro svoltosi di recente a Salerno, hanno ridestato l’attenzione sul gioco e sui pericoli che esso costituisce per l’uomo. La passione per il gioco è chiamata con termine accattivante ludopatia, ma è una delle patologie più pericolose e diffuse. Si calcola che oltre un milione sono affetti dalla dipendenza dal gioco d’azzardo. Secondo un’indagine dell’Eurispes, la febbre del gioco coinvolge in modo massiccio gli Italiani. Non si è lontani dalla realtà determinare in circa trenta milioni coloro che sono coinvolti nelle sue varie forme. Con circa 500 euro annui pro capite spesi tra slot machine, gratta e vinci, lotterie, scommesse sportive e quant’altro l’Italia può vantare il non invidiabile primato mondiale. La Provincia di Salerno non sfigura di certo in quanto a partecipazione: tre su quattro sono presi dal gioco d’azzardo!  Diceva il prof. Giuseppe Imbucci che bisognava “fare in modo che Las Vegas non sia un luogo di perdizione, ma di divertimento”. Il problema e la soluzione sono in questa contraddizione e in questa integrazione. Leggiamo in Diogene Laerzio: “Eraclito entrò nel Tempio di Artemide e si mise a giocare a dadi con i fanciulli”. L’attività del gioco unisce l’attività e la presenza divina con quelle dei bambini: gratuità, libertà, inventiva e onnipotenza, come categorie dello spirito che accompagnano l’uomo dall’infanzia all’età adulta! È espressione di creatività, strumento di comprensione della realtà, socialità e piacere dello stare insieme; ma nello stesso tempo è fuga dalla realtà, desiderio di onnipotenza. Il fatto che il gioco, che impegna un filosofo e i fanciulli all’ombra della divinità, comporti la casualità, la sfida al caso e che possa implicare vincite o perdite lo trasforma in comportamento estremamente serio. Con chiara incisività ancora Imbucci: “Febbre del gioco e fuga dalla realtà coincidono perché segnalano l’impotenza dell’uomo e l’ingovernabilità del reale”. Ecco allora la radice della perdizione allignare proprio nella molla essenziale del gioco: desiderio infantile di onnipotenza, aspettativa di successo personale basata su un’analisi fallace della realtà che sopravvaluta le probabilità di successo. Dopo il Congresso di Roma non potevano mancare da subito le dichiarazioni e i propositi di intervento da parte governativa. Due Ministri, ovviamente tecnici, hanno avanzato proposte e soluzione. Per Balduzzi, Ministro della Salute, “la ludopatia va curata secondo le regole di una malattia. Sarà inserita nell’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza”. Tanto il bilancio della sanità pubblica gode di ottima salute! Riccardi, Ministro per l’Integrazione con delega alla Famiglia, come tutti i tecnici che hanno sempre nostalgia per una concezione etico-autoritaria dello Stato, ha chiesto il blocco totale e definitivo degli spot sui giochi d’azzardo. Quest’ultimo, tra l’altro, ha dimenticato che una flessione del gioco d’azzardo creerebbe un buco nelle entrate da riparare con altro prelievo fiscale che toccherebbe anche chi non gioca. La soluzione di certo non è nella proibizione e nemmeno nella medicina, perché il gioco, come si desume dalla testimonianza di Diogene Laerzio, unisce volontà divina e volontà umana, è espressione del destino e sfida alla sua ineluttabilità.  Nell’antichità, infatti, le scelte, le decisioni, le dispute venivano affidate ai dadi il cui risultato era considerato espressione della volontà degli dei. Il gioco è una categoria fondamentale dello spirito. Su di esso e con la sua attività si costruisce la personalità dell’uomo a cominciare dalla culla, per proseguire come strumento didattico ed esigenza psicologica nell’infanzia e nell’adolescenza. La serietà è la sua connotazione costante ed essenziale sia quando appartiene come finzione reale ai fanciulli sia quando, nell’adulto, la posta è costituita dal denaro. Oltre a questa connotazione, come diceva Huizinga, esso, anche se legato ad un’azione nei limiti di spazio e di tempo, si accompagna alla gioia e alla coscienza di essere diversi dalla vita ordinaria. Di conseguenza la soluzione non può essere data né dalla medicina, che interviene soltanto quando il danno è avvenuto, né nella proibizione, che porterebbe al gioco clandestino collegato inevitabilmente solo alla criminalità. La scuola, che dà al gioco la dovuta importanza nell’attività didattica, esaltandone solo l’aspetto espressivo-strumentale, può molto per prevenire la “perdizione”, andando oltre la strumentalità per assumere un obiettivo più ampio, quello della cultura globale del gioco. Attraverso l’assunzione della “cultura del gioco” quale momento di formazione si educa al gioco responsabile. La funzione educativa della scuola è quella di dare consapevolezza dell’ordinario, costruendo personalità consapevoli, per le quali il gioco non sia mai perdizione pur mantenendo la tensione del rischio e il desiderio di sfidare il destino.