Il giurista Giuseppe Capograssi e gli angeli

don Marcello Stanzione

Nato a Sulmona (AQ) il 21 marzo 1889 (da una antica casata della provincia di Salerno trasferitasi nella cittadina abruzzese nel 1319, al seguito del vescovo Andrea), Giuseppe Capograssi è stato un filosofo del diritto di fama internazionale. Iniziò la carriere accademica a Macerata, dove venne nominato rettore; quindi si trasferì a Padova, Napoli e, infine, a Roma, dove ricoprì l’incarico di consigliere superiore della Pubblica Istruzione e di giudice presso la Corte costituzionale (3 dicembre 1955 – 23 aprile 1956). Fu tra i fondatori dell’Ugci (Unione giuristi cattolici italiani) di cui fu anche primo presidente. Evento centrale nella vita del giurista fu l’incontro e il matrimonio, nel 1924, con Giulia Ravaglia che condivise con lui la cura, nelle varie sedi universitarie, di una cerchia di discepoli riuniti intorno al maestro – “Socrate cattolico”, secondo la definizione di Arturo Carlo Temolo” -; un “sodalizio che educò molti futuri giuristi alla scienza giuridica, ai valori cristiani (sant’Agostino, Pascal, Vico e Rosmini) e alla civile religione della libertà”. Durante i 5 anni del fidanzamento , Capograssi scrisse ogni giorno a Giulia, comunicandole pensieri, riflessioni, idee scaturite dalle molte letture, per annullare le distanze che separavano i due giovani. Il risultato sono circa 2000 foglietti, piegati in quattro, che sono stati raccolti nel 3 volumi dei “Pensieri a Giulia, in cui, tra l’altro, scriveva: “Il mondo chiama spesso uomo fortunato colui che ha molte fortune. Come sempre il mondo è in errore. Fortunato è colui che riesce a trovare rispecchiato il proprio essere nell’essere di un altro spirito. Si vive solo quando si ama”. Capograssi morì il 23 giugno 1956. Fondamentalmente nella speculazione filosofica di Capograssi, il concetto di persona. L’originalità del suo personalismo risiede nell’idea che l’individuo, nel mondo sociale, sia costante relazione con le istituzioni come “organismi etici collettivi”. Altrettanto importante la sua concezione dello Stato. Fu critico nei confronti dello Stato corporativo che non si limitava ad avere una funzione conciliativa e pacificatrice, ma intendeva formare una nuova realtà sociale: non più “Stato soggetto alla realtà sociali, essenzialmente formato da esse, (…) ma Stato a sé stante, vera forma sostanziale”. Egli, che intende restituire lo Stato alle sue vere funzioni di definitore e gestore di tutti gli interessi nazionali, è per l’autonomia regionale si pone a difesa dell’individuo e delle singole realtà sociali. Hanno detto di lui, “La vera individualità di Capograssi – ha scritto p. Giandomenico Mucci s.j. intima e nascosta, fu quella di umanistica cattolico e uomo di riflessione e di preghiera”. E se: “non si considera a fondo questa sua anima segreta, non restano sufficientemente illuminate le sue qualità di finissimo giurista e originale filosofo, di penetrante moralista e prosatore vigoroso. Anche chi leggesse i 7 volumi delle sue opere, tra le quali Introduzioni alla vita etica, Analisi dell’esperienza comune e Il problema della scienza del diritto, conoscerebbe il meno di lui, se suo continuo anelito ignorasse la sua interiorità, il suo continuo aneliti all’unione con Cristo vissuta nei Sacramenti, nutrita di Scrittura, sostenuta dai prediletti Dante e Manzoni”. Commentando i tre volumi di “Pensieri a Giulia, padre Mucci sottolinea: Sono pagine lievi e profonde, nelle quali la fede genuina si compone senza reticenze e strappi con la cultura e la cultura si trasforma in una vasta apertura sul mistero dell’uomo, in stupefatta meraviglia per l’opera di Dio negli intelletti e nei cuori: meraviglia che il crocifisso Dio dell’amore ci abbia dato la sua stessa carità e voglia che l’uomo la diffonda intorno a sé”. “Non è puro caso – conclude padre Mucci – che Paolo VI abbia confidato a Giulia, dopo la morte di Capograssi, il suo desiderio di vedere iniziato il processo canonico di beatificazione di un così esemplare servitore di Dio, dell’uomo e dello Stato”. Riguardo agli angeli così scriveva Giuseppe Capograssi alla sua fidanzata il 29 settembre 1919: “La credenza in queste pure sostanze spirituali le quali veggono Iddio continuamente, continuamente cantano a Dio le lodi sue, e da Dio sono deputate alla custodia, e alla guida, e alla direzione, e al reggimento degli uomini, delle cose e dei movimenti cosmici dell’universo, popola il mondo di intelligenza e di amore, amplia la creazione di un ampiezza infinita di amore e di mente”.  “L’universo umano, poi, è terribile di passioni, di egoismi, di peccati, di disordine, di rovesciamenti, di disobbedienze, di cattivi usi della libertà, di sataniche schiavitù, di fiamme livide di vizi, di oscuramenti improvvisi e totali del santo Lume di Dio”. Ancora sugli spiriti celesti Capograssi scive: “se gli angeli fossero mancati nella creazione, sarebbe mancata la intelligenza pura che contempla Iddio senza mistione, senza composizione di materia, che va a Dio con puro amore, senza alcuna mistione di questi interessi, di quei fini, di quelle sensibilità, di quelle imperfezioni che in noi esistono, per la nostra condizione di anime immerse nella materia; sostanze che sanno , contemplano e lodano e amano Dio, e eseguono le sue Leggi sante, senza quelle interruzioni, quelle sospensioni, quegli oblii che la nostra condizione materiale impone” (G. Capograssi, Pensieri a Giulia, 1918-1924, Milano, Bompiani, 2007, 356).