Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012 – 2014 della regione Campania (Legge finanziaria regionale 2012)

La legge in esame, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012 – 2014 della regione Campania (Legge finanziaria regionale 2012)”, presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale : 1) L’art. 11, recante norme per il contrasto dell’evasione e dell’elusione dei tributi regionali e locali in materia fiscale e contributiva, al comma 4 dispone che la Commissione appositamente istituita “può proporre modifiche normative e specifici accordi volti al progressivo miglioramento e potenziamento delle modalità tecniche e operative nell’attività di accertamento, prevedendo ulteriori forme di riconoscimento premiale in relazione al maggior gettito derivante dall’azione di accertamento e di contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale, in attuazione dell’articolo 12 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42), compreso l’eventuale riutilizzo di una quota del maggior gettito riferibile all’attività di recupero fiscale per il finanziamento di programmi e interventi finalizzati al sostegno dell’economia, alla promozione di nuova occupazione e di assistenza socio-sanitaria in favore di soggetti a rischio di esclusione sociale nell’ambito del territorio regionale, da escludere dal complesso delle spese finali determinate ai fini del rispetto della disciplina del Patto di stabilità interno”. Tale disposizione, prevedendo che le spese finanziate con il maggior gettito riferibile all’attività di recupero fiscale siano escluse dal complesso delle spese finali valide ai fini del patto di stabilità interno, comporta oneri, in termini di saldi di finanza pubblica, privi di compensazione. Relativamente agli enti locali l’esclusione delle sole spese e non anche delle connesse entrate determina maggiori spazi finanziari che gli enti locali possono utilizzare aumentando la spesa. Con riferimento alle Regioni , la legge n. 183/2011, nel disciplinare il patto di stabilità interno delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, all’art. 32, comma 4, lettera i), dispone l’esclusione delle sole spese in conto capitale nei limiti delle somme effettivamente incassate entro il 30 novembre di ciascun anno derivanti dall’attività di recupero fiscale purché acquisite, con separata evidenza, in apposito capitolo di bilancio. La disposizione regionale, pertanto, nel prevedere l’esclusione dal complesso delle spese finali valide ai fini del patto di stabilità interno, delle spese finanziate con il maggior gettito riferibile all’attività di recupero fiscale, determinando quindi un peggioramento, non compensato, dei saldi di finanza pubblica, contrasta con i vincoli recati dal suddetto patto di Stabilità interno e viola i principi in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui agli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione cui la Regione, nel rispetto della sua autonomia, non può derogare. 2)Gli artt. 22, 37 e 50 prevedono rispettivamente: – la costituzione di una società di scopo per azioni, denominata Campania Ambiente e Servizi spa, con capitale sociale pari ad euro 500.000,00; – l’istituzione di un fondo per la gestione di crisi occupazionale e dei processi di sviluppo con un onere pari ad euro 1.000.000.000,00; – l’istituzione di un fondo di finanziamento delle università campane con un onere pari ad euro 1.000.000.000,00 di cui euro 500.000.000,00 coperto con le disponibilità del fondo di riserva per le spese impreviste (UPB 7.28.135). La copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle suddette disposizioni normative è data dal fondo di riserva per le spese impreviste (UPB 7.28.135) la cui dotazione finanziaria è però pari ad euro 868.000,00. Pertanto, le suddette disposizioni normative, non prevedendo adeguata copertura finanziaria, violano l’art. 81, comma 4, della Costituzione. 3) L’articolo 23, comma 6, dispone che “In attuazione del principio di buon andamento dell’attività amministrativa, il 50 per cento delle posizioni dirigenziali prive di titolarità alla data del 1° gennaio 2010, determinate sulla base di quanto previsto dall’articolo 6, comma 2, della legge regionale 4 luglio 1991, n. 11 (Ordinamento amministrativo della Giunta regionale), sono soppresse e, per l’effetto, dalla medesima data il fondo per il finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato dell’area della dirigenza della Giunta regionale è ridotto di un importo pari alla somma delle retribuzioni accessorie delle posizioni soppresse”. La norma, incidendo su un fondo già costituito nel suo ammontare e avente una “destinazione di scopo”, invade la materia del trattamento economico della dirigenza quale disciplinato dagli articoli 26, comma 3, 27, comma 9, e 28, comma 2, del C.C.N.L. 23/12/1999 della Dirigenza comparto Regioni – Autonomie locali. Pertanto, essa contrasta con l’art. 45 del d.lgs. 165/2001, che al comma 1 dispone: “Il trattamento economico fondamentale ed accessorio (?) è definito dai contratti collettivi”, e, in generale, con il titolo III del citato d.lgs. n. 165 (Contrattazione collettiva e rappresentanza sindacale), che obbliga al rispetto della normativa contrattuale e delle procedure da seguire in sede di contrattazione. Di conseguenza, viola l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che riserva l’ordinamento civile, e quindi i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile (contratti collettivi), alla competenza esclusiva dello Stato, come, peraltro, affermato dalla Corte costituzionale (sent. n. 339 del 2011) con riferimento alla utilizzazione delle economie risultanti dalla riduzione della pianta organica dirigenziale per la valorizzazione delle posizioni organizzative dei funzionari prevista dalla legge della Regione Lombardia n. 19 del 2010. Preme, peraltro, rammentare che secondo l’ARAN (parere n. AII29) non è possibile la riduzione delle risorse in occasione della soppressione di funzioni (e di posti) di qualifica dirigenziale, poiché in contrasto con la disciplina contrattuale. 4) L’articolo 23, comma 7, stabilisce che il fondo per le risorse finanziarie destinate all’incentivazione del personale del comparto della Giunta regionale per il triennio 2011-2013, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 9, commi 1 e 2bis del D.L. n. 78/2010, è pari a quello relativo all’anno 2010, comprensivo delle economie previste dall’art. 17, comma 5, del vigente CCNL di comparto. Tuttavia, proprio per il rispetto della citata normativa e qualora si siano verificate delle cessazioni, la Regione deve ridurre il fondo in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio. Pertanto, la norma di cui trattasi, non è in linea con la citata normativa nazionale di cui all’articolo 9, commi 1 e 2bis del D.L. 78/2010 comportando una lesione dei principi stabiliti dall’art. 117, comma 3, della Costituzione, nell’ottica del coordinamento della finanza pubblica, cui la Regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non può derogare. 5) L’articolo 23, comma 10, stabilisce che il personale di cui all’art. 3, comma 112, della l. n. 244/2007 in posizione di comando ed in servizio alla data del 31/12/2011 presso il Commissariato di Governo in base all’art. 9, comma 2, dell’OPCM n. 3849/2010, può essere immesso a domanda e nei limiti dei posti in organico, nei ruoli della Giunta regionale della Campania. In proposito si fa presente che il citato art. 3, si applicava solo al personale dell’Istituto Poligrafico dello Stato e delle Poste italiane SpA in posizione di comando dal 2007, ciò che non si evince dal testo di legge in esame. Peraltro, la proroga dei comandi, e, quindi, la scadenza per disporre il relativo trasferimento di ruolo riguarda il solo personale delle Poste (art. 21, comma 1, del d.l. n. 216/2011, che ha ulteriormente prorogato la scadenza al 31 dicembre 2012). Al riguardo si evidenzia una violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione, la quale riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile e, quindi i rapporti di diritto privato regolabili dal Codice civile (contratti collettivi). Inoltre, l’estensione di tale disposizione al personale che non ne abbia titolo comporta sia il rischio di richieste emulative da parte di altri settori pubblici, sia il contrasto con i principi di eguaglianza, ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli articoli 3 e 97, della Costituzione, nonché con il principio di coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, terzo comma, della Cost., cui la Regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non può derogare. 6) L’articolo 24, comma 2, prevede che il personale in posizione di comando da almeno 24 mesi alla data di entrata in vigore della legge regionale in oggetto, ed in servizio presso l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania (ARPAC), transita mediante selezione pubblica, nei ruoli del predetto ente strumentale, senza ulteriori oneri a carico del bilancio regionale. La disposizione in esame, contrasta con l’articolo 14, comma 9, del D.L. n. 78/2010, che stabilisce che gli enti possano procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20% della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente e configura un inquadramento riservato in violazione del principio costituzionalmente garantito dell’accesso ai pubblici impieghi attraverso il concorso pubblico, in contrasto quindi con il principio di ragionevolezza, uguaglianza, buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione, nonché con il principio di coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, terzo comma, della Cost., cui la Regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non può derogare. 7) L’art. 24, comma 3, autorizza l’ARPAC ad utilizzare la graduatoria, esistente alla data del 31 dicembre 2009, del concorso bandito per il profilo professionale di dirigente ambientale. Al riguardo si fa presente che viene creato un ampliamento delle figure dirigenziali, con oneri che non risultano quantificati e di cui manca la relativa copertura finanziaria e senza che venga minimamente indicato un richiamo all’attuale normativa vincolistica in materia di personale, in contrasto con quanto specificato dal già citato articolo 14, comma 9, D.L. n. 78/2010. La norma in esame, pertanto, non è in linea con la vigente normativa nazionale in materia e comporta una lesione dei principi stabiliti dall’articolo 81, comma 4, e 117, comma 3, della Costituzione, nell’ottica del coordinamento della finanza pubblica, cui la regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non può derogare. 8) La norma contenuta nell’articolo 27, comma 1, lettera b) modifica l’articolo 44 della l.r. n. 3/2007 recante la disciplina dei lavori pubblici, servizi e forniture, prevedendo che “I bandi devono stabilire che se all’esito della valutazione, i concorrenti conseguono lo stesso punteggio, sono preferite le imprese che hanno la propria sede legale ed operative sul territorio campano, ovvero che svolgono almeno la metà della propria attività in territorio campano ovvero che impiegano almeno la metà dei lavoratori cittadini residenti in Campania. Lo svolgimento della metà della propria attività in territorio campano è valutato raffrontando il valore delle opere, servizi e forniture effettuate in Campania, rispetto al valore complessivo delle attività svolte dall’impresa considerando gli ultimi tre anni”. Si premette che l’articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 163/2006 ( Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture) attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato: la qualificazione e selezione dei concorrenti; le procedure di affidamento, esclusi i profili di organizzazione amministrativa; i criteri di aggiudicazione; il subappalto; i poteri di vigilanza sul mercato degli appalti affidati all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture; le attività di progettazione e i piani di sicurezza; la stipulazione e l’esecuzione dei contratti, compresa la direzione dell’esecuzione, la direzione dei lavori, la contabilità e il collaudo, ad eccezione dei profili di organizzazione e contabilità amministrative; il contenzioso; i contratti relativi alla tutela dei beni culturali; i contratti nel settore della difesa; i contratti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza relativi a lavori, servizi e forniture. Tali materie, come affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza 401/2007, essendo riconducibili alle nozioni di “tutela della concorrenza” e di “ordinamento civile”, di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettere e) ed l), della Costituzione, richiedono una uniforme disciplina su tutto il territorio nazionale. Quindi sono vincolanti per i legislatori regionali, le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 163/2006, recante il “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”, in relazione alle materie rimesse alla competenza esclusiva statale, di cui all’articolo 4, comma 3 , del d. lgs. 163/2006. Sulla scorta di tali argomentazioni, la norma regionale, ponendosi in contrasto con l’articolo 83 del d. lgs n. 163/2006 concernente i contenuti dei bandi di gara, eccede dalle competenze regionali in quanto prevede che i bandi contengano criteri di preferenza nella selezione dei concorrenti a favore delle imprese che hanno la propria sede legale ed operative sul territorio campano, ovvero che svolgono almeno la metà della propria attività in territorio campano ovvero che impiegano almeno la metà dei lavoratori cittadini residenti in Campania , in violazione dell’articolo 4, comma 3 dello stesso Codice di contratti pubblici e quindi della competenza statale in materia di ordinamento civile e tutela della concorrenza di cui all’articolo 117 comma 2, lettere l) ed s) Cost. 9) La disposizione contenuta nell’articolo 32, comma 2, prevede : “Le disposizioni di cui al regolamento regionale n. 10/2010 (Disciplina della ricerca ed utilizzazione delle acque minerali e termali, delle risorse geotermiche e delle acque di sorgente), che disciplinano il conferimento a terzi di concessioni oggetto di cessazione, non si applicano alle istanze di riassegnazione delle concessioni dichiarate cessate, inoltrate antecedentemente all’entrata in vigore del predetto regolamento, in conformità al disposto dell’articolo 44, comma 18, della legge regionale 8/2008, secondo cui nelle more dell’adozione dei regolamenti previsti dalla presente legge, non possono essere rilasciate nuove concessioni, fatte salve le riassegnazioni di quelle dichiarate cessate”. Il termine “riassegnazione” genericamente contemplato dalla norma regionale si presta ad una lettura costituzionalmente non conforme, essendo suscettibile di determinare un rinnovo automatico delle concessioni. La previsione regionale, quindi , sottrae alle procedure per il conferimento delle concessioni oggetto di cessazione, le istanze di “rassegnazione” di concessioni dichiarate cessate dando luogo ad una proroga della concessioni giunte al termine senza l’espletamento della previste procedure sia per la scelta del concessionario che relative alla compatibilità ambientale. In via preliminare, occorre considerare che è diritto dovere della amministrazione titolare del potere autorizzativo, alla scadenza di ogni singola autorizzazione, verificare sia l’eventuale mutamento delle condizioni territoriali ed ambientali sia gli aggiornamenti intervenuti nel quadro normativo di riferimento prima di poter assumere una qualsiasi decisione liberatoria, sia pure in termini prescrittivi, o, in alternativa, interdittiva. Inoltre, il limite temporale di una autorizzazione, sotto il profilo giuridico amministrativo, rappresenta il punto cronologico oltre il quale l’intervento autorizzato cessa di esistere. Tanto premesso, è evidente che la previsione regionale in esame consente la indebita sottrazione alla vigente normativa in materia di VIA di intere categorie di progetti, in aperta e palese violazione di quanto nello specifico stabilito dal D. Lgs. 152/06 e s.m.i., Allegato III alla Parte Seconda, lettera b) e allegato IV, punto 7, lettera d). Infatti, in primo luogo, verrebbero ad essere escluse dalle procedure VIA , al momento del rinnovo della concessione quelle attività in precedenza mai sottoposte a tale procedura in quanto precedenti all’entrata in vigore della normativa comunitaria. Tale esclusione risulta in netto contrasto con i principi sopra richiamati e con gli obblighi indicati dall’ampia e specifica giurisprudenza della Corte di giustizia Europea (v. causa C-201/02, sentenza 7 gennaio 2004, c.d. Delena Wells)Inoltre nella evenienza di rinnovo di una concessione già a suo tempo sottoposta a VIA,non sarebbe possibile verificare se gli eventuali mutamenti delle condizioni territoriali ed ambientali rendano necessario o meno subordinare l’eventuale rinnovo ad un, se del caso, doveroso aggiornamento della procedura in materia di VIA a suo tempo realizzata (VIA propriamente detta ovvero verifica di VIA). La norma regionale in esame, inoltre, presenta ulteriori aspetti di criticità in quanto non tiene conto di quei principi che il decreto legislativo n. 152/06 detta per la disciplina dei procedimenti di rilascio delle concessioni di derivazione di acque pubbliche nel rispetto delle direttive sulla gestione del demanio idrico. Infatti l’art. 95, comma 4 del 152/06, dispone che “tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del decreto ambientale sono regolate dall’Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio con apposito decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni”. E ancora, l’art. 97 del 152/05 dispone che le concessioni di utilizzazioni di acque minerali naturali e di sorgente siano rilasciate tenuto conto delle esigenze di approvvigionamento e distribuzione delle acque potabili e delle previsioni del Piano di tutela di cui all’articolo 121. La Corte Costituzionale, con sentenza n.1/2010 ha dichiarato costituzionalmente illegittima una analoga norma della stessa Regione Campania , affermando che il principio di temporaneità delle concessioni di derivazione, senza alcuna proroga per le concessioni perpetue in atto, rappresentano livelli adeguati e non riducibili di tutela ambientale individuati dal legislatore statale e che fungono da limite alla legislazione regionale, e che la dilatazione eccessiva del termine di durata delle concessioni urta peraltro con la necessità, in sede di rinnovo della concessione, di procedere alla valutazione sia di impatto ambientale (VIA), sia di incidenza, la cui riconduzione alla competenza esclusiva dello Stato, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost Pertanto, si rileva che la norma regionale , dettando disposizioni confliggenti con la richiamata normativa statale vigente, presenta profili di illegittimità con riferimento all’art.117, comma 2, lett.s) della Costituzione, ai sensi del quale lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Inoltre sono illegittime ulteriori disposizioni in materia sanitaria. Si premette che la Regione Campania ha stipulato in data 13 marzo 2007, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 1, comma 180, della legge 311/2004, l’Accordo sul Piano di rientro dai disavanzi sanitari 2007-2009. Successivamente, a luglio 2009, essendo stato disatteso l’Accordo stipulato dalla Regione, il Governo ha esercitato i poteri sostitutivi previsti dall’articolo 4, comma 2 del decreto-legge 1 ° ottobre 2007 n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, procedendo alla nomina del Presidente della Regione quale Commissario ad acta per la realizzazione del piano di rientro. Con la legge finanziaria 2010 è stata, poi, concessa alle Regioni che si trovavano in gestione commissariale, come la Regione Campania, la possibilità proseguire il Piano di rientro attraverso programmi operativi, precisandosi ai commi 80 e 95 dell’articolo 2 della legge n. 191/2009, che “gli interventi individuati dal Piano sono vincolanti per la Regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del richiamato Piano di rientro”. Con l’approvazione del citato Accordo, la Regione si è impegnata all’attuazione del suddetto Piano di rientro ed al rispetto della legislazione vigente con particolare riferimento a quanto disposto dall’articolo 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296. In attuazione delle previsioni della legge finanziaria il Commissario ad acta per la Regione Campania ha adottato il decreto n. 41 del 14 luglio 2010 avente ad oggetto “Approvazione del nuovo Programma Operativo per l’anno 2010”. Successivamente, con decreto n. 22 del 22 marzo 2011, in attuazione del punto t) del mandato Commissariale, conferito con delibera del Consiglio dei Ministri del 24 aprile 2010, ha approvato il Piano sanitario regionale 2011-2013 in coerenza con il decreto n.49 del 29 settembre 2010, adottato in attuazione del punto c) del mandato Commissariale. Il Tavolo per la verifica degli adempimenti ed il Comitato LEA nella riunione del 26 ottobre 2010 hanno prospettato un forte disavanzo non coperto per l’anno 2010 a causa della non completa attuazione del Programma Operativo 2010 ed hanno invitato il Commissario ad approvare entro l’anno il programma operativo 2011-2012. Il Commissario ha trasmesso il 6 aprile 2011 il Programma Operativo 2011-2012. Nelle more, il risultato di gestione per l’anno 2010 ha registrato, nella riunione dei Tavoli Tecnici del 14 aprile 2011, un disavanzo non coperto di 248,888 mln di euro. Questo disavanzo ha determinato, per la Regione Campania, l’applicazione degli automatismi fiscali previsti dall’art. 1, comma 174, della l. n. 311 del 2004, vale a dire “l’ulteriore incremento delle aliquote fiscali di IRAP e addizionale regionale all’IRPEF per l’anno d’imposta in corso, rispettivamente nelle misure di 0,15 e 0,30 punti, l’applicazione del blocco automatico del turn over del personale del servizio sanitario regionale fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in corso e l’applicazione del divieto di effettuare spese non obbligatorie per il medesimo periodo”. La suddetta norma statale stabilisce, inoltre, che gli atti emanati e i contratti stipulati in violazione dei predetti vincoli sono nulli. Dispone altresì che in sede di verifica annuale degli adempimenti la Regione certifichi il rispetto dei vincoli medesimi. La Corte Costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi in materia di piani di rientro dal disavanzo sanitario e di gestione commissariale degli stessi. In particolare, con la sentenza n. 100/2010 nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Campania 28 novembre 2008 n. 16 recante “Misure straordinarie di razionalizzazione e riqualificazione del sistema sanitario regionale per il rientro dal disavanzo”, ha affermato che una norma statale (vedasi l’allora vigente articolo 1, comma 796, lettera b) della legge n. 296 del 2006) ha reso vincolanti, per le Regioni che li abbiano sottoscritti, gli interventi individuati negli atti di programmazione “necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico, oggetto degli accordi di cui all’articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ivi compreso l’Accordo intercorso tra lo Stato e la Regione Campania”. La Corte ha affermato, inoltre, che la suddetta norma statale che assegna a tale Accordo carattere vincolante, per le parti tra le quali è intervenuto, può essere qualificata come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica. La Corte Costituzionale inoltre, con la sentenza n. 78/2011, ha avuto modo di “rammentare – come già sottolineato in passato con la sentenza n. 193 del 2007 – che l’operato del Commissario ad acta, incaricato dell’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la Regione interessata, sopraggiunge all’esito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti – malgrado il carattere vincolante dell’accordo concluso dal Presidente della Regione – ad un’attività che pure è imposta dalle esigenze della finanza pubblica ((articolo 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007»). E’, dunque, proprio tale dato – in uno con la constatazione che l’esercizio del potere sostitutivo è, nella specie, imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell’unità economica della Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale qual è quello alla salute (articolo 32 Cost.) – a legittimare la conclusione secondo la quale le funzioni amministrative del commissario ad acta, ovviamente fino all’esaurimento dei suoi compiti di attuazione del piano di rientro, devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli Organi regionali. Ciò premesso, la legge in esame presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale: 1) L’art. 45, comma 1, prevede che “ferme restando le competenze attribuite al commissario ad acta, nominato ai sensi dell’articolo 4 del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito, con modificazioni, in legge 29 novembre 2007, n. 222, la Regione e le università, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, allo scopo di ristabilire l’equilibrio economico delle Aziende ospedaliere universitarie (AOU), definiscono uno specifico piano di riorganizzazione, su base pluriennale, con la previsione di provvedimenti, anche in deroga alla programmazione vigente, in materia di assetto organizzativo, accorpamenti, integrazione delle AOU”. La disposizione regionale in esame, che prevede una deroga alla programmazione vigente in materia di assetto organizzativo, accorpamenti e integrazione delle Aziende ospedaliere universitarie si pone in contrasto con il punto 1 lett. i) del mandato commissariale di cui alla Delibera del Consiglio dei Ministri del 23 aprile 2010 e con il punto 9 del Programma operativo della Campania 2011-2012 che attribuiscono tali compiti esclusivamente al Commissario ad acta. Ne consegue la lesione dei principi fondamentali diretti al contenimento della spesa pubblica sanitaria di cui all’art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009, secondo i quali in costanza di Piano di rientro è preclusa alla regione l’adozione di nuovi provvedimenti che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano, essendo le previsioni dell’Accordo e del relativo Piano vincolanti per la regione stessa. La disposizione regionale in esame pertanto viola anche l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasta con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica. La medesima disposizione, inoltre, intervenendo in materia di organizzazione sanitaria in costanza di Piano di rientro dal disavanzo sanitario, interferisce con l’attuazione del Piano, affidata al Commissario ad acta con il mandato commissariale del 12 dicembre 2009. In particolare la disposizione sopra menzionata, menoma le attribuzioni del Commissario, in violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost. 2) L’articolo 45, comma 3, della legge regionale in esame definisce i finanziamenti che la Regione garantisce in applicazione del Piano di riorganizzazione per le Aziende ospedaliere universitarie sopra menzionato, individuando alcune specifiche fonti di finanziamento. Le disposizioni contenute nell’art. 45, comma 3, in esame non trovano riscontro nei contenuti del Programma Operativo 2011-2012 e non sono accompagnate da altri provvedimenti che ne garantiscono la copertura finanziaria. Anche in questo caso, pertanto, si ravvisa il contrasto col citato art. 2, commi 80 e 95 della legge n. 191/2009 secondo i quali in costanza di Piano di rientro è preclusa alla regione l’adozione di nuovi provvedimenti che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano, essendo le previsioni dell’Accordo e del relativo Piano vincolanti per la regione stessa. Ne consegue la violazione dell’art. 117, comma 3, della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, nonché dell’art. 120 Costituzione, per interferenza con le attribuzioni conferite al Commissario ad acta. L’art. 45, comma 3, in esame viola anche l’art. 81 della Costituzione in quanto omette di individuare la copertura finanziaria per gli oneri da essa derivanti. Per tali motivi le disposizioni sopra indicate debbono essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 127 Cost.