Ma mi faccia il piacere… i religiosi lavorano?

Padre Oliviero Ferro

“Ma mi faccia il piacere!” risponderebbe Totò a una domanda che mi è stata rivolta. Mi è stato chiesto se è vero che i religiosi (frati e suore) non fanno niente tutto il giorno. In parole povere, sono delle persone inutili e, se vogliamo, dannose per la società. L’ho guardato, mi ha guardato. Poi mi è quasi scappato da ridere. Lui sembrava un po’ scocciato. Allora, gli ho chiesto di mettersi seduto e ho cominciato a chiedergli se poi li conosceva davvero queste persone. O anche lui ragionava per sentito dire. E’ rimasto un attimo silenzioso. Forse non sapeva cosa dire, ma mi faceva capire che voleva qualche spiegazione in più. E così, piano piano, abbiamo cominciato un viaggio nel tempo per capire o meglio, per conoscere meglio chi sono i religiosi e le religiose. Naturalmente, sono partito dall’aspetto religioso, cioè di persone che hanno risposto con gioia a una vocazione, a un invito che Gesù stesso aveva loro fatto di seguirLo fino in fondo in povertà, castità e obbedienza. Poi mi sono permesso di ricordargli che ogni congregazione, famiglia religiosa era nata dal cuore, dall’entusiasmo, dalla compassione e dalla meraviglia di un fondatore o fondatrice che aveva intuito che è più bello dare che ricevere. Ma non bastava ancora. Quell’ideale non era rimasto da solo. Era stato condiviso nei secoli con tante persone che, in modi diversi, avevano deciso di giocare tutta la loro vita per esprimere con i fatti l’Amore che avevano ricevuto da Dio. Mi guardava, ma non pareva ancora convinto. Voleva dei fatti, delle cose concrete. E così abbiamo cominciato a viaggiare per la città e la provincia di Salerno, passando di comunità in comunità. La prima sosta è stata nei due conventi di clausura di Fisciano e di Eboli. Lui vedeva delle grate e dietro di queste delle suore che gli sorridevano e gli parlavano a bassa voce. Non capiva, ma le sorelle con dolcezza gli facevano capire che la preghiera, certo, era il primo loro lavoro, con la riflessione sulla Parola di Dio. Ma pure importante era la vita comunitaria. Ma non restavano con le mani in mano. Gli facevano vedere quello che facevano con le loro mani per guadagnarsi il pane quotidiano (il miele, i ricami, i lavoretti artigianali, le ostie per la messa….). Non sembrava ancora convinto. Siamo poi passati nelle case di riposo per anziani, negli orfanatrofi, nelle scuole,negli ospedali, nelle case di accoglienza. Bello l’incontro con le suore che lavorano con i sordomuti. Chi si interessa dei fratelli che vengono dai paesi del mondo (gli immigrati), chi lotta contro la prostituzione e lo sfruttamento dei minori. C’era gente che, insieme alla Caritas, dava da mangiare a tante famiglie che avevano perso il lavoro. I centri di ascolto erano pieni di persone in cerca di qualcuno che desse loro attenzione. Poi, chi lavorava con i giovani per entusiasmarli a costruire un mondo nuovo, nello sport, nell’accoglienza, nel servizio, nell’apertura alla mondialità. Non bastava ancora per lui. Aveva visto molto, ma si chiedeva come vivevano e perché lo facevano. Ognuno, mi sono permesso di ricordargli, fa la sua parte in comunità, non si fa servire, ma cerca di servire chiunque. Qualcosa sembrava cambiare nel suo  sguardo. Forse cominciava a capire. Il viaggio era ancora lungo, ma mi disse che poteva bastare. Mise la sua mano nella tasca e mi diede del denaro, dicendomi di portarlo a un centro di ascolto. E aggiunse che, appena poteva, anche lui sarebbe andato a fare un po’ di volontariato. Perché, aggiunse, certe cose non si pagano con i soldi, ma con la vita. Vidi che,mentre se ne andava, un’immaginetta era scivolata fuori dal suo giubbotto. La presi in mano. C’era l’immagine di san Giuseppe con scritto “patrono dei lavoratori”. Io mi permisi di aggiungere “protettore del lavoro dei religiosi”. Sicuramente anche Lui si è messo a sorridere. Lui che sapeva cosa vuol dire lavorare e farlo con gioia per qualcuno che si ama.