I miei rifugi salernitani

Claudio Di Mella

Io sono un uomo solare, come i miei genitori, come le mie sorelle, come le mie belle nipotine ed il maschietto Carmine che è un vero asso. Però, nonostante la mia solarità, ho attraversato periodi di depressione. In quei giorni non volevo vedere nessuno, soprattutto le mie colleghe salernitane, mie colleghe di liceo, che abitavano in case lussuose che affacciavano sulla linea di bagnasciuga. C’erano stati screzi ed anche di più. Il preside non volle ricevermi, adducendo sempre forte mal di testa, ma, un giorno entrai nella presidenza, lo chiamai come meritava e poi gli dissi quello che gli dovevo dire. Fu la prima aggressione all’ultimo preside che ho avuto, uomo di Andretta, ma sindaco socialista, poi social comunista e poi social democristiano. Passò un po’ di tempo e gli venne l’uzzolo di ritornare in politica, ma fu un fiasco e lui era nervoso e questo nervosismo gli procurava mal di testa. Io, intanto, lo misi di fronte alla realtà, denunciando anche le sue colpe. Ma lui non si diede per inteso, sicuramente supponendo che io non fossi senza peccato. Io, però, non lanciai per primo la pietra. Ho sempre pensato che io non sono senza peccato, ma quello che so con certezza è che anche nel peccare sono stato estremamente fedele, a meno che non sia stato scopertamente provocato, in una maniera in equivoca anche lontano da Salerno. Il vice preside, che aveva orecchie dappertutto, che era informato di tutto, mi disse: “Non posso parlare, ma con quello perdi tempo. Semmai prepara una vendetta che lo farà saltare sulla sedia, come facesti una volta con l’On.le Bernardo D’Arezzo o come recentemente hai fatto con l’On.le Gargani.” Verrà un giorno… disse fra’ Cristoforo. Abbandonato a me stesso cercai come difendermi. Da casa mia parte una strada interna, via Spinosa, all’epoca molto malandata, che costeggia i giardini della Minerva, piantati dal medico Matteo Silvatico, che sono considerati il primo orto botanico dell’Europa. Questa strada è stretta e incassata, che copre da un lato il mare e dall’altro si inerpica verso il castello. Era sporca, bagnata dall’acqua che scende dalla collina, coperta di siringhe e di escrementi di cani. Pochi metri e poi si passa da Villa Avenia a via Tasso, che era ed è un altro grande capolavoro. Si camminava a piedi a rischio di caduta, mai sole, sempre molto sporco, esposti ad incontri con i malandrini di Salerno e spesso sormontata da elicotteri e sorvegliata da carabinieri con i moschetti spianati. Poi superata la parte più buia, piazza Abate Conforti con una fontana artistica, il Convitto Nazionale, l’archivio di Stato, largo Plebiscito, l’ex seminario diocesano, piazza Porta Rotese, via Velia e la mia scuola. Via via che mi avvicinavo arrivavo alla meta, mi guardavo attorno tranquillo, temendo qualche cattiva sorpresa. Terminata la scuola prendevo un’altra strada per tornare a casa. Era quello uno stratagemma per evitare di incontrare miei ex amici interessati, diventati poi nemici giurati. Io non li ho più frequentati né visti.

*Il novello mio rifugio salernitano è sotto casa mia, debbo solo scendere in pianura per potermi sentire padrone di questo salotto, dove incontro gli amici dell’ultima generazione che sono quelli della prima generazione. È una piazza ovale e ben dotata di monumenti e di negozi: una chiesa del seicento intitolata alla Santissima Annunziata – dicitura esatta: Santa Trofimena nell’Annunziata – , una farmacia ben fornita, un’edicola di giornali che oggi è una rarità, fruttivendoli, due bar e cinque salumerie. Un negozio di detersivi ben fornito ed una cartoleria gestita da una signora dinamica e gentile, sempre accogliente e dotata di una buona clientela. La signora, Pina Benincasa, purtroppo, è sola nel gestire questo negozio piccolo, ma molto frequentato da adulti e da bambini e quindi meritoriamente si sottopone ad un lavoro che dovrebbe dividere con altri. Tuttavia, un vecchio proverbio, che noi tutti conosciamo, recita: “Meglio soli che male accompagnati”.