Castel San Giorgio: presentazione libro di Gaetano Izzo

  Anna Maria Noia

Un folto, assiduo e attento pubblico; un uditorio interessato all’argomento, quello intervenuto presso il convento delle suore crocifisse adoratrici in Castel S. Giorgio. Qui, il 12 febbraio scorso, domenica, l’umile storico autodidatta sangiorgese Gaetano Izzo ha presentato la sua ultima opera sulla conoscenza del territorio. Il volumetto, corredato di foto a colori in copertina e sul retro, è intitolato: “Monastero di S. Teresa alla Barra in Castel S. Giorgio. 1712-1891.” In tale opuscolo, alla cui realizzazione e stesura hanno collaborato Teresa Alfano e il priore della confraternita dell’Immacolata – alla quale anche Izzo appartiene – Gennaro Cibelli, vi sono tante notizie inedite, tratte da documenti originali e preziosissimi. Il tutto, frutto della paziente ricerca da parte di questo appassionato cultore, nella vita operaio, che riflette la passione e l’amore per il proprio comprensorio e per la storia locale. L’opera tratta del complesso monastico di S. Teresa, di cui ricorre il trecentenario dalla fondazione, voluta grazie ad un lascito testamentario da parte del barone Orazio De Sanctis. Il piccolo contributo alla storiografia dei luoghi, ovvero il libricino, percorre con competenza le fasi principali della costituzione del convento, ed è corredato di pagine sapientemente incentrate su importanti “pezzi” di vita della casa palaziata di De Sanctis. E veniamo, adesso, alla cronaca della serata. In questa occasione Izzo ha approntato, prima che avesse inizio la presentazione del suo libro, un pannello con vari carteggi e importanti scritti da lui consultati certosinamente presso gli archivi, in particolare quello di Stato e quello diocesano di Salerno. Tra foto e immagini, Izzo – amico e compagno di studi e di ricerche del compianto storico sanseverinese Gino Noia, più volte menzionato e commemorato durante la manifestazione – ci ha elargito la spiegazione del pannello e del libro, qualche minuto prima che cominciasse la presentazione: innanzitutto ci ha rivelato che il barone, quando si ebbero delle sommosse popolari, non si trovava sul territorio. Poi a questo personaggio successero delle sventure: morì prima la moglie, Claudia, il 10 luglio 1656, e poi – nel febbraio 1657 – il figlio Francesco Maria, unico maschio ed erede. Si presume, ma non è certo, che il rampollo fosse stato ucciso dalla peste che in quel periodo pullulava anche nelle nostre zone. Il giovane aveva solo 21 anni. All’origine del lascito – ci ha precisato l’autore – vi sono dunque state diverse concause, svariate condizioni. Il barone aveva sei figli: un maschio, come sopra citato, e cinque femmine: Dorotea, Maddalena, Teresa, Orsola e Caterina. L’eredità, a quanto dicono le carte, spettava a Dorotea. Il 10 agosto 1661, alla presenza del notaio Leonardo Figliolia, De Sanctis scrisse un codicillo, in cui riportava le sue volontà. Il giorno 11, sempre dinanzi allo stesso notaio, il nobile vendette la baronia di S. Giorgio ad Andrea Prignano, marito di Maddalena, secondogenita. Prignano era originario di Acquarola (frazione di Mercato S. Severino), e risultava l’ultimo discendente ed erede di papa Urbano VI, al secolo Bartolomeo Prignano, anche egli di Acquarola e con possedimenti nel Fiscianese in località Prignano. Secondo il testamento di De Sanctis, la casa palaziata dopo un anno dalla sua morte già doveva essere adibita a convento femminile (di Donne Monache), anche se inizialmente non si sapeva quali ordini ospitare. In realtà, prima di adempiere in pieno alla volontà del morente, passarono ben quarantuno anni, non uno solo; il 9 settembre 1702 Orsola De Sanctis si recò presso Alessandro Villani, suo nipote, e alla presenza del notaio Francesco Citro Orsola aderì finalmente alle volontà paterne. Ella nominò il Villani amministratore di tutte le rendite di Orazio, finalizzate alla fondazione del monastero. La donna morì il 27 maggio 1704, a settanta anni, e fu seppellita a S. Lorenzo Maggiore a Napoli. Dopo la morte della figlia di De Sanctis, l’allora altro barone di S. Giorgio, Geronimo De Sarno, dovette abbandonare il palazzo e trasferirsi con la famiglia in quel di Cortedomini, sempre a Castel S. Giorgio, in un altro palazzo di sua proprietà. Nel 1704 ebbero inizio i lavori di trasformazione del palazzo baronale – che comprendeva ben quaranta stanze – fino a giungere all’apertura della struttura il 29 febbraio 1712, appunto trecento anni orsono. Dai documenti affissi per l’occasione della serata lungo il pannello citato prima, emergono dati e curiosità interessanti, riguardo bolle, ricevute di pagamento per le maestranze e quant’altro. C’ è da dire – inoltre – che le monache furono, come molti religiosi, anche esse “vittime” delle famose cosiddette “leggi eversive”: tali norme prevedevano e sancivano la chiusura dei conventi con meno di dodici membri; i beni di queste strutture andavano allo Stato. Le suore, tuttavia, resistettero anche a questo e rimasero fino al 1791. Dopo alcuni anni, la suora Maria Pia Notari, fondatrice delle suore crocifisse adoratrici dell’eucarestia, riscattò il convento delle carmelitane – anche sotto la spinta del vescovo di allora – e nel 1794 si aprì la nuova casa di questo ordine, che continua a risiedere in questo luogo anche adesso. Ma veniamo a noi per ciò che concerne la presentazione: sono intervenuti il primo cittadino di Castel S. Giorgio Franco Longanella, il priore Cibelli, Teresa Alfano, il parroco don Graziano Cerulli, lo studioso Francesco Di Pace e altre personalità, tra cui anche Franco Lauro e Ciro Altomare. Presente l’autore. Ha aperto le “danze” il sindaco, con un saluto istituzionale.Dapprima egli ha intessuto lodi a Izzo, gratificandone “l’impegno, la passione, la diligenza, l’attenzione nella ricerca storica, come cultore locale.” Poi Longanella ha attuato degli amarcord, parlando dei bei ricordi di fanciullezza e di gioventù che ha trasmesso l’educazione ma soprattutto la presenza delle suore a S. Giorgio; ha espresso quindi la gratitudine – condivisa da molti presenti in sala – a questo ordine che in passato ha sopperito alla mancanza di possibilità economiche e/o culturali che le vecchie generazioni vivevano. Il primo cittadino ha rimembrato le attività sempre di queste suore, alternatesi nel corso di tutti questi anni, che hanno dato molto a tanti Sangiorgesi, supportati dalle loro cure. Longanella ha discusso delle radici di Castel S. Giorgio e della civiltà contadina, che ha lasciato il posto a “una realtà in piena evoluzione”, come attualmente è ritenuta S. Giorgio stessa. L’autore stesso ha fatto il punto sulle varie epoche che hanno visto protagonista il palazzo di De Sanctis, palazzo baronale appartenente al castello della cittadina. Egli ha ripercorso, in un intervento brevissimo, le modifiche subite dagli edifici circostanti e alcune “chicche” e curiosità inerenti il monastero. Il sito assume la denominazione di “Barra” perché – ha spiegato Gaetano Izzo – c’era il “passo”, la “dogana”, sulla via che da S. Croce conduce a Cortedomini. In tal luogo, infatti, si controllava il passaggio verso il castello e c’era anche il notaio con altre attività e uffici commerciali. È intervenuta la Alfano, esprimendosi soprattutto sulla presenza, nel monastero, di cognomi di suore particolarmente altisonanti, appartenenti a famiglie importanti, nobili. Circa duecento il numero di religiose e consacrate che hanno vissuto anticamente nel monastero. La terra, è poi venuto fuori nell’ambito del convegno, non apparteneva proprio a De Sanctis, bensì al padre della moglie Claudia. Poi si è fatto il punto sulla “posizione strategica” assunta da Castel S. Giorgio nella fattispecie del complesso monastico, che occupa la via Popilia; una strada consolare che da Nocera, passando per S. Severino, conduceva alle Calabrie. Importante, inoltre, il collegamento con l’acquedotto locale, che andava da Serino a Miseno. Nel volumetto di Izzo, insomma, si parla degli atti di vita del monastero, con tante “perle” a indicare la vita quotidiana, ad esempio il giuramento delle monache, come le suore hanno resistito alla peste, e così via. Sono per di più riportati atti con “forte valore linguistico”, essendo questi manoscritti vergati in un Italiano imperfetto ma comprensibile, proprio l’Italiano in auge nel ‘700. È seguito un vivace dibattito, un dialogo a più voci; hanno infine detto la loro, nell’ambito di alcuni interventi: Francesco Di Pace, che ha ricordato l’amico Gino Noia e ha poi tracciato altri amarcord rivolgendosi alle consorelle presenti; don Graziano Cerulli, che ha dissertato brevissimamente dal punto di vista spirituale; Franco Lauro e suor Josepha, la superiora del convento, che grazie alla sua modestia ha intrattenuto l’uditorio con simpatici aneddoti.

 

Un pensiero su “Castel San Giorgio: presentazione libro di Gaetano Izzo

  1. Presentazione del lavoro del cultore di storia locale, Gaetano Izzo sul 300° anniversario della fondazione del Monastero a Castel San Giorgio.
    L’opera frutto di interessanti ricerche, si arricchisce di copie fotostatiche di documenti originali di indubbio valore documentale e si intitola: “Monastero di Santa Teresa alla Barra”.
    L’autore si ripromette un ulteriore impegno di studioso per completare l’”excursus” del Monastero, cosi legato alle vicende locali ed ai sangiorgesi.
    Vi hanno contribuito la concittadina Teresa Alfano e l’Arciconfraternita di Maria SS. Immacolata Concezione nella persona del priore Gennaro Cibelli, animati da esemplare dedizione civica e religiosa.

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